giovedì 30 giugno 2011

Il motorino, il debito greco, un congruo stipendio fisso e le conoscenze che non si usano

di
Francesco Zanotti


Ai miei tempi, quando un giovane chiedeva al papà il motorino si sentiva rispondere: guadagna i soldi per comprarlo. Se il papà era ammalato o in crisi, il figlio si dava da fare (ma lo fa anche ora) per procurarsi le risorse che il papà non gli può garantire.
Generalizzando: l’obiettivo è sempre stato quello di darsi da fare per produrre valore.
Quando siamo usciti dalla distruzione della guerra, l’obiettivo che ci siamo dati è: produrre di più per avere più ricchezza.

Oggi, quando un' impresa o un Paese è in crisi, la ricetta è: tagliare i costi. Del tipo: altro che motorino, comincia a mangiare meno! Oppure: non fare sogni di una nuova società,diminuisci i tuoi bisogni ed adattati a vivere tra le macerie. Oppure: fai efficienza e butta fuori le persone.

Insomma: ieri costruivamo mondi, oggi dobbiamo accontentarci di vivacchiare in quei mondi che sono tutta una crepa!

Ovvio che poi in Grecia si scatena la violenza …

lunedì 27 giugno 2011

La TAV, le riforme, De Rita e la Sistemica

di
Francesco Zanotti

In questi giorni siamo nei guai con la TAV. E si tratta di guai di difficile soluzione. Tanto che il Corriere di oggi titola “Due eserciti ai piedi di una scarpata: Tempo scaduto, lo scontro annunciato che nessuno ha saputo evitare”. Che pensare? Che fare?

Credo che si possa trarre ispirazione da un articolo di qualche giorno fa di Giuseppe De Rita dal titolo “Le trappole della semplicità”. Guardiamolo un po’ da vicino.
De Rita afferma una indiscutibile evidenza: che i grandi problemi sono “sistemici”. Ed aggiunge che oggi, nel cercarne la soluzione con  grandi progetti sistemici, stiamo miseramente fallendo. Egli si riferisce non solo al problema della TAV, ma anche a quelli dell’acqua, della scuola, delle grandi infrastrutture, del welfare.

De Rita imputa queste incapacità ad una ondata di soggettivismo (libertà molecolare, per usare una sua espressione) che auspica possa essere sostituita dal ritorno ad una serietà sistemica.

lunedì 20 giugno 2011

Il lavoro: diritto o valore?


di
Francesco Zanotti



Io credo che il cambiare parole sia la pietra angolare di ogni cambiamento. Non si cambia nulla se non gli si cambia nome.
Questa massima vale anche per il lavoro. Io propongo di cominciare a dire che il lavoro è un valore. Se è un valore, è automaticamente un diritto: chi non acquista qualcosa che ha un intenso valore? Il valore va oltre il diritto …

Lasciatemi dettagliare …Oggi siamo fermi al lavoro come diritto. Questo cosa comporta?
Se il lavoro è solo un diritto, allora si cerca qualcuno presso il quale far valere questo diritto. Ed oggi non lo si trova. Chi dovrebbe garantire questo diritto? Le imprese? Purtroppo non hanno i soldi per farlo. La competizione ha oramai azzerato i margini di troppe imprese. Anche se volessero garantire il diritto al lavoro, anche se gli fosse imposto per legge di garantirlo, potrebbero farlo solo formalmente: assumendo. Ma, poi, non potrebbero farlo sostanzialmente: pagando lo stipendio. Dovrebbe garantirlo lo Stato? Al di là del fatto che se è lo Stato che garantisce il lavoro, significa che stiamo costruendo una società collettivista di uno stampo che abbiamo già visto non funzionare, vi sta il fatto che anche lo Stato non ha i soldi per farlo. Se le imprese non guadagnano, non pagano le tasse.  Le crisi dei debiti pubblici impedisce ulteriori debiti. Se il lavoro è solo un diritto, allora, non c’è nessuno che sia in grado di soddisfare questo diritto. Un diritto senza interlocutori.

giovedì 16 giugno 2011

Trasformare conoscenza in cultura

Per sollevare lo sguardo dalle contingenze e respirare aria nuova che serva a capirne il senso profondo, abbiamo chiesto al Prof. Gianfranco Minati di aiutarci a comprendere un fenomeno davvero strano: l'emergere di mille nuove conoscenze in tutte le scienze naturali ed umane che non vengono usate, mentre sarebbero preziosissime per comprendere le ragioni della crisi attuale e iniziare a costruire un nuovo sviluppo. La sua risposta è stata …


Trasformare conoscenza in cultura

Gianfranco Minati

Associazione Italiana per la Ricerca sui Sistemi www.AIRS.it

La sfida che la discontinuità tra la società industriale e quella post-industriale, in cui la conoscenza è la risorsa principale, ha posto è ancora da capire, affrontare e accettare.
La cultura che si continua ad usare è quella ontologicamente corrispondente alla scienza dell’epoca industriale basata, ad esempio, su concetti quali:

lunedì 13 giugno 2011

Santa Margherita, il Vescovo, la Sony e le conoscenze di strategia

di
Francesco Zanotti

Ieri, in prima pagina sul Sole 24 Ore, vi era un articolo di S.E. Rev.ma Mons. Bruno Forte,  Arcivescovo di Chieti e Vasto. Ma cosa c’entra con il Convegno di Santa Margherita e, di più, con la Sony e le conoscenze di strategia d’impresa? C’entra per tutti coloro che hanno voglia di costruire un nuovo sviluppo non solo sostenibile, ma etico ed estetico.

Comincio dalle parole dell’Arcivescovo. Ne faccio una lettura laica, ovviamente sminuendone il significato, ma basta ed avanza. Se, poi, qualcuno ci volesse aggiungere Dio …

Le parole dell’Arcivescovo, allora. Citate non proprio alla “letterissima”, ma credo fedelmente, con una aggiunta di cui dirò dopo.

"L’imprenditore deve mantenere alta la tensione fra il già e il non ancora".
E ancora: "L’imprenditore deve essere coscienza critica della prassi in nome della permanente ulteriorità del mondo che deve venire".
L’imprenditore, insomma, come profeta di nuovi mondi, mai soddisfatto del presente.

“L’imprenditore che si apre alla più profonda qualità della vita”. L’imprenditore, insomma, che dimostra che il mondo che immagina genererà un salto di qualità nella vita umana e che lo persegue proprio per quello.

“Uno sforzo collettivo che ispiri un nuovo ordine mondiale”. Nel nostro piccolo, l’imprenditorialità di popolo che ha costruito, sulle macerie della guerra il nostro Paese.

“L’imprenditore che coniuga efficacemente logos e ethos”. Richiamo un articolo di Affari e Finanza di qualche tempo fa dove si parlava della noiosità dei Piani strategici delle banche, ricordo a tutti la banalità degli Information Memorandum che vengono usati nel mondo della finanza, costituiti da miriadi di fogli excel e da una descrizione da brochure commerciale dell’impresa in oggetto. Richiamo le mille scienze, naturali ed umane, che descrivono la stretta necessità di collegare logos ed ethos per costruire significato, anche commerciale. A questo proposito metto a disposizione di chi lo richiedesse un  paper scritto da me e da Stephen Cummings, docente di strategia alla Victoria Management School (Nuova Zelanda,) dal titolo “Ethos as a new strategic resource”.

Da ultimo, una citazione dell’Arcivescovo: una frase di Antoine de Saint-Exupery “Se vuoi costruire una nave non radunare gli uomini per raccogliere il legno, distribuire i compiti e dar ordini, ma insegna loro la nostalgia del mare, ampio ed infinito”. Padri, quando lasciate l’azienda ai figli, non insegnate loro qualche tecnica contabile o commerciale, insegnate loro la passione e la forza dei sogni.

Questo è l’articolo dell’Arcivescovo. Vi rivelo l’aggiunta che ho fatto alle sue parole: ho aggiunto la parola imprenditore. L’ Arcivescovo non l’ha usata, ma ci sta così bene …

E dimostra  che ho fatto bene a fare questa aggiunta il “Foundation Prospectus” della Sony", datato maggio 1946.

E’ la dichiarazione appassionata di chi vuole ricostruire, attraverso le competenze tecnologiche, la gioia dell’innovazione e del bello del Giappone dopo la guerra. E chiama a raccolta un popolo che ha la stessa voglia.

Dopo aver ascoltato le parole dell’Arcivescovo in una mia interpretazione che, credo, suffragata dalla storia delle imprese di grande successo (non quelle che badano a sopravvivere) … andate a leggere le cronache degli interventi di Santa Margherita, partendo da quello del Ministro Tremonti. E decidete che tipo di imprenditori volete essere, che tipo di imprenditorialità volete promuovere …

Forse mi si potrà obiettare che l’ispirazione imprenditoriale è come il coraggio di manzoniana memoria “chi non ce l’ha non se lo può dare”. Non è vero! Io sto con il Cardinale Federigo: il coraggio può essere costruito, l’ispirazione imprenditoriale può essere raggiunta.
Come? Semplicemente con la conoscenza. Noi siamo le conoscenze (gli schemi mentali) di cui disponiamo. Oggi usiamo schemi mentali che parlano di battaglie competitive. E con questi schemi costruiamo competizione, quella competizione che poi ci uccide e ci costringe a vedere nello Stato l’ultimo rifugio.

Proviamo ad impadronirci di altri schemi. Proviamo ad usare tutte le conoscenze ed i modelli che ci vengono suggeriti dalle scienze naturali ed umane per comprendere il “funzionamento” dei sistemi complessi ed il modo di governarli. Essi permettono di costruire nuovi modelli e conoscenze di strategia d’impresa. Ritroveremo in queste conoscenze e questi modelli  lo spirito dell’Arcivescovo (con una forte tentazione verso Dio), lo spirito dei fondatori della Sony e lo spirito dei nostri padri che hanno costruito questo Paese. Scopriremo che lo spirito imprenditoriale dei nostri padri può essere addirittura moltiplicato, costruendo quella nuova imprenditorialità “aumentata”, non solo economica, ma anche sociale, politica, istituzionale e culturale, che ci potrà permettere di costruire cieli nuovi ed una nuova terra.

Perché non cercare queste nuove conoscenze?

giovedì 9 giugno 2011

Debiti sovrani e privati insostenibili

di
Francesco Zanotti

Tre titoli su Sole 24 Ore di oggi: “Anche da Fitch allarme debito USA” di Daniela Roveda, “Berlino vuole allungare le scadenze sui bond” di Beda Romano, “Draghi: no alla ristrutturazione (del debito greco)” sempre di Beda Romano.

Poi una storia di debito privato. Un’ impresa che ha negoziato una ristrutturazione di un debito di 220 milioni di Euro, nell’anno in cui ha fatturato 150 milioni di Euro con un piccolissimo utile di 450 mila Euro. E impegni nei conti d’ordine di circa 70 milioni.

Poi il pensiero alla montagna di debiti che hanno non tanto le grandissime imprese, quanto le PMI.

Complessivament,e si tratta di un debito che non potrà mai essere restituito. Al massimo i creditori potranno continuare a ricevere gli interessi, ma non i soldi investiti. Possiamo fare in modo che i creditori si accontentino degli interessi e non osino chiedere il rimborso del capitale. Ma sarebbe un’ ipocrisia che si sfalderebbe quando qualcuno non rispettasse più questo patto tacito. Sempre sul Sole di oggi: “Il mercato teme lo scenario Lehman Brothers” di Morya Longo. Non si può che concludere che i bilanci dei creditori andrebbero riscritti perché i loro crediti non potrebbero essere considerati “sani” (senza rischi).

Ma nel caso delle banche, almeno, ci sono le garanzie. Certo, e così trasformiamo le banche in immobiliaristi che possiedono schiere di capannoni cadenti e macchine che si arrugginiscono.

Ed allora?!

Allora, occorre davvero riprogettare il sistema finanziario, economico e la società. Un “piccolo” indizio trasgressivo. Oggi cosa è considerato “bene” da valorizzare, da dare in garanzia, sulla base del quale emetter moneta etc.? Solo i beni materiali con qualche puntatina sui brevetti, il software e cose simili. Ma non viviamo nella società della conoscenza? Non è la conoscenza un bene a valore infinito perché lo scambio continuo lo moltiplica? Ovviamente no, direbbe un banchiere! Io voglio garanzie reali. Altrimenti come faccio a guardarle tutte le mattine che arrugginirsi tra le mie mani (le attrezzature per le quali non mi hanno pagato il leasing) o cadere a pezzi (i capannoni per i quali non pagano il mutuo?).

Chissà cosa ne pensano coloro che affidano i loro risparmi a questo ipotetico banchiere. Si faranno invitare a verificare se i loro risparmi si sono trasformati in macchine che si arrugginiscono e capannoni che cadono a pezzi?

lunedì 6 giugno 2011

Draghi … sistemicamente “biased”: apriamo un dibattito! Parte seconda

di
Francesco Zanotti

Per rispondere alla domanda con cui ho chiuso il post precedente (la prima parte del mio Commento sulle Considerazioni Finali del Governatore della Banca d’Italia 2011) aggiungo un’ opinione.
Stamattina su Affari e Finanza appare un articolo di denuncia/proposta di Marco Panara.
La denuncia è breve perché i problemi sono noti. Le soluzioni caldeggiate sono quelle proposte dal Governatore della Banca d’Italia nelle sue “Considerazioni Finali”.
Otto obiettivi per la riforma dello Stato e cinque obiettivi di competenza delle imprese. Dei primi ho già detto nel post del 1 giugno 2011. Gli altri, di competenza delle imprese, appunto, sono: dimensione troppo piccola per le imprese, la proprietà familiare molto spesso chiusa all’inserimento di manager, l’internazionalizzazione, il patrimonio insufficiente.

Guardiamoli da vicino. Il riferimento è al nostro imprenditore con problemi impellenti di liquidità: quelli che portano al fallimento ed alla dispersione di immensi patrimoni imprenditoriali.

mercoledì 1 giugno 2011

Draghi … sistemicamente “biased”- Parte prima


di
Francesco Zanotti

Il riferimento, ovvio, è all’Assemblea della Banca d’Italia di ieri. Ed alle “Considerazioni finali” del Governatore Mario Draghi.

Il giudizio che mi sento di esprimere è fondato su conoscenze diffuse di “sistemica”. Usando conoscenze avanzate di sistemica si potrebbe dire molto di più. Ma voglio fermarmi al noto e consolidato.

Il mio giudizio è: le proposte del Governatore hanno senso all’interno della realtà sistemica nella quale vive. Non nella realtà sistemica (gli spazi competitivi) nelle quali vivono le imprese.

Provo a spiegarmi.


Draghi immagina che esistano analisi oggettive e proposte che possono essere dimostrate scientificamente migliori delle altre. E propone le proprie analisi ed avanza le proprie proposte con l’intima convinzione che siano “vere” ed “inevitabili”.
La teoria dei sistemi spinge a pensare che questo punto di vista sia … errato… Ma non solo la teoria dei sistemi,anche le scienze che stanno dando ad essa nuovi modelli di riferimento: ad esempio, la matematica e la fisica

Per spiegare questa mia tesi … scendo giù. E mi metto nei panni di un piccolo imprenditore medio che, presumibilmente, non è un teorico dei sistemi. Il suo problema è pagare stipendi e fornitori. Per riuscirci deve incassare soldi da qualcuno che gli compri quello che produce.  Oggi egli trova con sempre più grande difficoltà chi gli compra i prodotti, vende sempre meno per quei prodotti a causa della imperante competizione di prezzo e incassa sempre più tardi e con difficoltà. Le banche avanzano sempre maggiori riserve a garantire quella liquidità che l’imprenditore oggi non riesce a procurarsi da solo.

Le proposte del Governatore dovrebbero facilitare la vita a questo imprenditore. Perché sarà il miglioramento della vita di questo imprenditore che genererà occupazione, che non metterà in crisi le banche, che permetterà di migliorare le entrate fiscali per aumentare la capacità di servizio dello Stato. Almeno così dovrebbe essere nelle società liberali.

Allora guardiamo queste proposte. Sono le proposte di cui tutti parlano, che nascono da un conclave ideale di esperti, ma che non si attuano mai. Sentendole, tutti gli appartenenti al Gotha dell’Economia italiana (presenti o non presenti) hanno  tirato un sospiro di sollievo perché tutti qui fannulloni attaccabrighe dei politici forse ora capiranno che è ora che sia diano una mossa …

Ma, supponiamo che esista una bacchetta magica fatta di fiducia, speranza, impegno, spirito di servizio, competenza e tutto (il fare le riforme e vederne i risultati) finisca in un anno.
Ma … in questo anno che ne è di quel piccolo imprenditore e delle migliaia di colleghi che sono nelle sue condizioni? Chi mantiene, in questo anno,  lui, i suoi operai e i suoi fornitori?

Beh, le banche o lo Stato. E, no! Le banche no! Il Governatore è stato chiaro: i soldi si danno solo alle imprese meritevoli (anche se non specifica come si fa ad individuarle, lasciando credere che esiste il modo di farlo. E questo non è vero! Se qualcuno è convinto di sapere come fare si faccia avanti e ne discutiamo). Lo Stato? Beh sarebbe un bel rivolgimento verso una società collettivista: non è più l’impresa che produce ricchezza e permette lo sviluppo dello Stato, ma è lo Stato che deve mantenere l’impresa.

Sì, sono stato un po’ brutale, ma davvero sarebbe importante giudicare ogni proposta in base al suo impatto sulla capacità di produrre cassa delle imprese.
E’ molto difficile raccontare (prevedere) come è quando la strategia delle riforme permetterà alle imprese di produrre cassa.

Allora perché questa insistenza sulle riforme?
Perché rappresenta il punto di vista tipico del Gotha dell’economia italiana che è un gruppo chiuso e che considera, appunto,oggettivo il suo punto di vista e inevitabili le sue proposte. Ma le proposte che nascono da gruppi chiusi sono sistemicamente auto riferite. Hanno l’obiettivo (inconscio) di perpetuare il gruppo che ha condotto le analisi ed ha progettato le cose da fare. Per i riferimenti in dettaglio, si vedano Maturana, Varela e Luhmann che descrivono la relazione di un sistema chiuso con l’ambiente esterno come “accoppiamento strutturale”.

Detto diversamente, la visione di Draghi raccoglie il consenso di coloro che fanno parte del suo sistema. Chi sta fuori, probabilmente, non la condivide. Nei fatti non può essere efficace.
Per tornare al nostro piccolo imprenditore, credo che egli condivida questa impostazione quando si trova in Confindustria. Quando entra dentro il sistema con cui dialoga e legittima Draghi. Quando torna a casa si trova a “leticare” con problemi che, scopre, non possono essere risolti dalle riforme.

In aggiunta c’è da dire che… Le riforme non si attuano non perché esistono i “cattivoni” che non le applicano. Ma perché è sistemicamente impossibile che si realizzino proprio per il modo in cui sono generate. Una democrazia rappresentativa e semplificante non può governare una società complessa. In essa, i Governanti costituiscono anch’essi un sistema chiuso. Ogni proposta di riforma avanzata da governanti, scelti attraverso semplificazioni e deleghe con il voto, si scontrerà con la contrarietà di tutti coloro che non hanno partecipato ad elaborarle. Non solo il Gotha dell’economia, ma anche le parti politiche sono inevitabilmente autoriferite. Detto più scientificamente: le proposte sono la manifestazione dell’autopoeisi del sistema. Non sono il frutto di analisi “oggettive” e progettualità necessitanti.

Concludendo: le riforme non sono la soluzione. E, tanto, non si realizzeranno mai in questo tipo di società.

Ed allora? Allora la proposta alla parte seconda …

...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.