martedì 24 febbraio 2015

Intelligenza artificiale?

di
Francesco Zanotti

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Anche oggi sul Corriere si ripropone il tema dell’intelligenza artificiale. Come al solito non si ha il coraggio di andare alle origini. E, così, si coltivano illusioni o paure insensate.
Oggi un autorevole esperto sostiene che anche i computer più intelligenti sono “imbranati” perché sono privi di ogni abilità manuale. E’ assolutamente vero.
Ma questo non significa che possiamo mettere le mani ad un computer …
Tutti gli specialisti lo sanno, ma nessun giornale ne parla perché, anche se è fondamentale, non è scandalistica, drammatica o “strana” … Cosa? Che anche il computer più potete continua ad essere quella che viene definita una “Macchina di Turing”. E questo tipo di macchine non funziona come un cervello, non potrà mai avere le mani. Infatti.
Un computer segue solo programmi “lineari” che non riusciranno mai a descrivere esattamente fenomeni non lineari, come tutti coloro che costruiscono soluzioni numeriche alle equazioni differenziali alle derivate parziali (gli ingegneri ad esempio) sanno benissimo.
Un computer non riuscirà mai a descrivere la dimensione olistica di un sistema.
Un computer ha delle limitazioni funzionali irrimediabili descritte dai Teoremi di Godel (se volete guardare la cosa dal punto di vista della “struttura”) e dal problema dell’alt di Turing (se volete guardare le cose dal punto di vista del “processo”).
Se non teniamo conto di tutto questo, creiamo miti. Forse il più comune: vi sono computer che apprendono. Quando si legge che un computer apprende, questo apprendere non ha nulla a che vedere con l’apprendimento del cervello.
Ma allora costruiamo computer che non siano macchine di Turing così apprenderanno davvero e potremo dargli le mani. Ma lo stiamo facendo da sempre: la riproduzione e la crescita sono il processo attraverso il quale costruiamo macchine non di Turing, capace di sostituire gli esseri uomini … con altri esseri umani. Certamente questo tipo di “computer” ha le mani …


domenica 22 febbraio 2015

Cent’anni di Relatività Generale … e l’umano

di
Francesco Zanotti


Su “Letture” l’inserto culturale del Corriere Paolo Giordano presenta la teoria della Relatività generale che quest’anno compie cent’anni.
Affronto l’argomento per tentare una innovazione epistemologica.
Come tutti sanno la fisica del novecento ha costruito due grandi teorie: la relatività (prima ristretta poi generale) e la fisica quantistica (prima meccanica quantistica e poi Teoria quantistica di Campi). Il problema di fondo è che queste due teorie sembrano incompatibili: non si riesce proprio a costruire una teoria del tutto.
Dove sta l’innovazione epistemologica?
Ora, tutti sono convinti che queste teorie siano adatte al mondo microscopico (la fisica quantistica) e al mondo macroscopico (la scala dell’Universo: la relatività generale). E siano contro-intuitive perché estranee all'esperienza umana di tutti i giorni.
Io ho (ecco l’innovazione tecnologica) una convinzione contraria: è proprio la vita di tutti i giorni che diventa comprensibile se si usano queste due teorie. E faccio degli esempi.
Il primo è l’emergere della massa (una parte della massa) delle particelle elementari dovuta alla rottura di simmetria del vuoto quantistico a causa di campi di Higgs.
Teoria astrusa? No! L’impresa viene creata da un processo di rottura di simmetria del vuoto quantistico costituito dalla società dall'azione del campo costituito dall'azione imprenditoriale. Per chi volesse approfondire il tema trova un mio articolo qui
Il secondo esempio riguarda proprio la Relatività Generale. La storia dell’impresa procede costruendo la competizione che la fa precipitare in un buco nero. Esattamente come accade ad un stella sufficientemente massiccia quando esaurisce il suo carburante nucleare.
Detto questo si può fare un ulteriore passo avanti: perché non si comincia a pensare che non ha senso cercare di conciliare le due teorie perché spiegano due fasi diverse (la nascita e la morte) di un sistema qualunque? Possiamo dire che sono due rappresentazioni non equivalenti del mondo. Propongo, insomma, di allargare l’utilizzo dell’approccio che il Prof. Gianfranco Minati suggerisce per la sistemica: l’uso dinamico dei modelli (Dysam).




venerdì 20 febbraio 2015

Non negoziati, ma progettualità

di
Francesco Zanotti

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Vorrei parlare delle crisi internazionali. Brevemente, perché le idee importanti non hanno bisogno di retorica.
Nelle situazione di crisi dove tante parti confliggono all'interno di un mondo che offre immense potenzialità di futuro, negoziare è controproducente.
Infatti, negoziare significa distribuire il potere sull'esistente. Ma il problema è proprio l’esistente. In un modo che offre immense potenzialità di sviluppo, l’esistente (gli stati, le istituzioni, le imprese) sta perdendo senso. Stati, istituzioni ed imprese stanno perdendo il loro mordente sulla società. Allora chi ambisce al potere sulla società cerca di recuperare la perdita di mordente di stati, istituzioni e imprese cercando di governarne sempre di più. Insomma a mano a mano che l’esistete perder di senso, la battaglia per impadronirsene diventa sempre più cruente.
Pensate a un gruppo di affamati (di potere) che vedono la quantità di cibo (potere) diminuire. Il conflitto tra di loro sarà sempre crescente e, conseguentemente, il negoziato (che cerca compromesso) funzionerà sempre di meno e i suoi risultati saranno sempre più provvisori. Ovviamente i mediatori di professione non accetteranno questa mia analisi. Il fatto che i negoziati falliscano sempre di più non li scuote: ognuno di essi penserà che i negoziati sono falliti perché non c’era lui a gestirli.
Cosa sostituire al negoziato? La progettualità. Invece di riunirsi a Minsk (oggi) o in quale località della Libia (domani) per  negoziare tregue (solo quello, poi, riusciamo a negoziare), ci si ritrovi in quegli stessi posti e in mille altri per definire progetti di sviluppo dei territori contesi.

Ovviamente non serve una classe di negoziatori, ma di professionisti che abbiano le conoscenze e le metodologie (non qualche magica, cioè, inesistente potere taumaturgico personale) per attivare e portare a sintesi processi progettuali complessi.

lunedì 16 febbraio 2015

Articolo vergognoso

di
Francesco Zanotti

Oggi sul Corriere, Galli della Loggia firma un articolo vergognoso. Anche per le tesi che sostiene, ma soprattutto per la povertà di pensiero che lo porta a queste tesi. Soprattutto povertà di pensiero sistemico.
La sua tesi è che solo con la guerra che si fa la storia. E cita Hegel secondo il quale (la citazione è dall’articolo di Galli della Loggia) le vera storia è come un banco di macelleria nel momento che gli uomini sono sempre quelli del peccato originale. Gli europei non vogliono fare la guerra, quindi sono destinati a rimanere fuori dalla storia.
A corollario sostiene che non si possono giudicare i fatti storici in base al numero dei morti e che anche le due disastrose guerre del Novecento hanno prodotto risultati positivi.
Che dire? Cominciamo dai “risultati positivi”. Ma non gli viene in mente che con altre vie si sarebbero potuti raggiungere risultati ancora più positivi senza ammazzare nessuno? Possibile che uno storico sia così superficiale nella ricerca di rapporti causa effetto?
Ma continuiamo: possibile che con tutti i risultati delle scienze cognitive siamo rimasti ancora all’ Homo homini lupus?
Le guerre nascono dalla incapacità di costruire uno sviluppo tra diversi popoli. E questa incapacità è frutto di povertà cognitiva che costruisce pensieri ideologici. Ecco la povertà del pensiero sistemico. Povertà estrema perché le due affermazioni precedenti non sono figlie del pensiero nascosto di una qualche élite. Ma sono risultati noti.
Il problema del nostro tempo è che le classi dirigenti possiedono un pensiero troppo povero per comprendere e costruire uno sviluppo etico ed estetico in una società complessa.
Le future guerre saranno figlie di povertà di pensiero. E ricadranno nella responsabilità di chi questa povertà di pensiero ha spacciato come cultura.
Poi ci possiamo mettere l’indignazione umana. Sì, gli eventi storici si giudicano in base ai morti che generano. Ed occorre mettere una barriera di civiltà: nessun evento storico che genera morti è positivo. Siamo noi che costruiamo il futuro. Se sappiamo solo costruirlo con le armi, allora meritiamo il disprezzo delle future generazioni.


sabato 14 febbraio 2015

Se produco cose emozionanti, che mi importa delle riforme?

di
Francesco Zanotti


Giovanni è un imprenditore che produce “cose emozionanti”. Quali? Non ha importanza!
Chi produce cose emozionanti, qualunque esse siano, fa gli stessi discorsi di Giovanni. Ascoltiamolo, allora.
Dice Giovanni … Se produco cose emozionanti, me le comprano “bene”. Cioè: aumento la mia capacità di generare cassa.
E, quindi, cosa mi importa …
… della riforma del mercato del lavoro? Io i miei dipendenti me li tengo stretti, ne cerco altri della stessa qualità, divido con loro i miei risultati. Anche se ci fosse “licenziamento selvaggio” perché dovrei licenziare chi mi aiuta a produrre cassa?
… della riforma della giustizia? Non ho tempo di litigare. Né con i fornitori, né con i clienti e tanto meno con i dipendenti.
…della riforma della scuola? Sì, mi interessa, ma mi interesserebbe quello di cui non si parla: quale conoscenze insegniamo? Con che processi di insegnamento? Come immaginiamo siano i processi di apprendimento? Io sogno una scuola che crei conoscenza, non si limiti a trasmetterne una vecchia.
… della riforma del fisco? Certo, ma non perché voglio pagare meno tasse! Guadagno così tanto che mi posso permettere di pagare molto. L’unica cosa di cui mi rammarico e che i miei soldi vengano gestiti da una classe politica ignorante (nel senso che ognora molte, troppo e cose) e ridicolmente rissosa.

Ma, caro Giovanni, cosa proponi allora per uscire dalla crisi? Che le imprese si pongano l’obiettivo di produrre cose emozionanti e non perdano dietro a stupidaggini come la competitività.


martedì 10 febbraio 2015

L’Ucraina terra di mezzo

di
Francesco Zanotti


Oggi l’ambasciatore Sergio Romano rispondendo sul Corriere ad un lettore avanzava l’auspicio che l’Ucraina diventasse Terra di mezzo per favorire gli scambi economici tra Europa e Russia.
Sottoscrivo e aggiungo: un ponte tra il pensiero russo profondo (messianico) e la visione occidentale del progresso che si sono da lungo tempo “scontrati” all'interno della Russia.
Invece, parliamo di armi e confini. Meglio: ne parlano Francia, Russia, Germania e USA.
L’alto rappresentante della politica estera Europea (italiana, imposta da un italiano) viene bellamente surclassata dai due leader dei paesi più forti dell’Unione Europea.
E certamente non sa far valere la forza culturale di un Paese che da sempre è terra di mezzo e può insegnare il mestiere del dialogo tra diversità.

Perché tutti non si studiano un po’ storia e pensiero russi prima di lanciarsi nel parlare di armi e sanzioni? Perché non è previsto che il pensiero conti qualcosa.

sabato 7 febbraio 2015

Il Papa contro la competitività

di
Francesco Zanotti


Riporto dal discorso di Papa Francesco ieri alle donne ed agli uomini dell’Expo:

A voi desidero ripetere quanto ho scritto in Evangelii gaudium: “No, a un’economia dell’esclusione e della inequità. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa” (ibid., 53). Questo è il frutto della legge di competitività per cui il più forte ha la meglio sul più debole.

I lettori dei nostri blog sanno che noi, da anni, sosteniamo che la ricerca della competitività è fallimentare non solo per le ragioni alte e forti sostenute dal Papa, ma anche per motivi tecnici.
La battaglia della competitività non ha vincitori. Spegne le persone e l’economia in una lotta per il prezzo di prodotti che perdono di senso, costruiti da imprese che finiscono per perdere la loro capacità di generare cassa.
Non si dica che il Papa fa discorsi ideali, e le imprese sono costrette a combattere con la cruda realtà. La cruda realtà è che, alla fine, la ricerca della competitività distrugge la capacità di generare cassa delle imprese. Anche il più egoista degli imprenditori la dovrebbe piantare con la ricerca della competitività perché è la via migliore per fare fallire la sua impresa.
Non dico di più in questo post perché i lettori possono trovare un pensiero più completo.
Cito soltanto due post del passato, presi tra i molti che cercano di convincere della stupidità della ricerca della competitività:
Mi piacerebbe davvero conoscere l’opinione di governanti ed economisti che ripetono come un mantra tragico la parola competitività senza esattamente sapere cosa significa.
Cari lettori, aiutatemi a liberare le imprese (e le persone e la società) dalla battaglia della competitività.



mercoledì 4 febbraio 2015

L’arbitro serve quando si litiga …

di
Francesco Zanotti


Il nuovo Presidente della Repubblica, ricevendo applausi da tutti, ha dichiarato solennemente che sarà arbitro imparziale. E chiesto che i giocatori siano corretti.
Io credo, però che un arbitro serva quando si gioca un gioco competitivo: dove qualcuno vince e qualcuno perde. L’arbitro serve a garantire che chi vince lo faccia rispettando le regole. E chi perde non cerca di rifarsi infrangendo le regole.
Ma l’Italia non ha bisogno di giochi competitivi. Quando occorre costruire un Progetto Paese le idee delle persone non possono essere in competizione. Sono inevitabilmente parziali e con un gran bisogno di essere messe insieme perché non diventino ideologiche.
Abbiamo bisogno di chi costruisce sintesi, non chi garantisce che si litighi bene.
Leggevo stamattina l’ultimo libro di Lee Smolin (fisico) scritto insieme a Roberto Mangabeira Unger che la biografia informa essere filosofo, teorico sociale e delle leggi (sì, le regole) e politico.
Il tema? Tradotto in italiano “L’universo unico e la realtà del tempo”.
Ma che c’entra con il Presidente della Repubblica? Bene, leggete il capitolo scritto da Smolin sulla matematica scoprirete come si costruisce la conoscenza matematica. Questo processo è lo stesso che occorrerebbe avviare per costruire un Progetto Paese. E non parla dell’esigenza di arbitri perché è un processo dove si ricerca insieme, il risultato è comune, non si litiga per mettere pezzi di teorie l’una contro l’altro.
Ma chi volete se ne interessi? Noi continuiamo a voler competere (che è litigare) e il risultato è che, come sostiene Vittorio Carlini oggi sul Sole 24 Ore, questo litigare ci sta portando, insieme a tutta l’Europa, lungo il cammino di stagnazione che sta opprimendo il Giappone da un decennio.


domenica 1 febbraio 2015

Anche Naomi Klein ha capito …

di
Francesco Zanotti


In una intervista, oggi sul Corriere, Naomi Klein ammette che i no global sono stati sconfitti per non aver mai detto di sì.
Beh è dal mitico ’68 che dovrebbe essere chiaro che la protesta, anche giustissima, senza la proposta finisce in tragedia. La mia generazione dovrebbe averlo profondamente inciso nella mente e nel cuore se guarda al mondo che ha costruito: protesta profetica, proposta banale. Da disadattati.
Il problema è che la proposta è più difficile, sempre più difficile. La protesta è puntuale: si identifica un nemico (spesso veramente dannoso) e lo si bastona. Qualche volta non metaforicamente. E momentaneamente tutti applaudono.
Ma poi quando si è distrutto occorre costruire. E la proposta non può essere monodimensionale: deve essere complessiva.
Ed allora emerge il vero problema: le risorse cognitive di cui si dispone. Anche un sistema di conoscenza banale è in grado di vedere ingiustizie e combatterle. Per costruire proposte complessive è necessario un sistema di risorse cognitive complesse. Purtroppo oggi non disponiamo ancora delle risorse cognitive necessarie per disegnare un nuovo mondo. Allora la proposta ha bisogno di ricerca. Sarà costruttore di futuro chi disporrà delle risorse cognitive per farlo. Prima di lui sarà costruttore di futuro chi queste risorse cognitive le svilupperà.
Una efficace capacità di governo dei sistemi umani (volete chiamarla democrazia profonda?) si fonda solo su di una nuova conoscenza dell’Uomo, della Società e della Natura.


...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.