domenica 24 maggio 2015

Prima che alla scuola pensiamo alla conoscenza

di
Francesco Zanotti


Sul Sole 24 Ore di oggi, in prima pagina, Luca Ricolfi riaffronta il problema della scuola. Si sofferma prima sulla riforma in discussione, ma concludendo che forse ogni commento è prematuro perchè è ancora in fieri (al Senato può accadere di tutto).
Ed allora attacca a parlare del bagaglio cognitivo culturale degli studenti che arrivano all'università giudicandolo povero ed inadeguato.
Non discuto l’opinione del prof. Ricolfi, ma mi permetto di sollevare un problema più di fondo: il problema della conoscenza.
Non esiste buona scuola se questa è costretta ad insegnare conoscenza “problematica”.
Mi rendo conto di aprire un dibattito vastissimo, ma è indispensabile farlo. La conoscenza di cui oggi disponiamo è davvero problematica.
Provo a descrivere questa problematicità.
Partiamo dalla Fisica. Oggi abbiamo una teoria che pretende di essere quasi definitiva: il modello standard delle particelle elementari. Esso funziona, anche se il perché funziona è abbastanza oscuro. Il problema è che funziona per il 4% della materia energia che costituisce il nostro universo. Passiamo alla biologia. Abbiamo introdotto il concetto di DNA codificante (che, attraverso l’RNA, costruisce specifiche proteine)e siamo andati ad analizzare il genoma umano per comprenderne i segreti. E ci siamo trovati in una situazione simile a quella della fisica: il DNA codificante è solo una piccola parte (di nuovo meno del 5%) di tutto il DNA. Il resto siamo stati costretti a definirlo DNA spazzatura perché non si sa a cosa serva.
Arriviamo alle scienze umane: esse si trovano a scimmiottare il metodo di conoscenza della fisica classica che è superato da decenni. A questo proposito mi permetto di suggerire l’ultimo libro di Lee Smolin, scritto insieme al filosofo Roberto Mangabeira Unger: "The singular universe and the reality of time”.
Di fronte a questa problematicità, anche la scuola che sa insegnare meglio e che funziona meglio si trova nei guai per mancanza di “materia prima”.
Allora quale dovrebbe essere la mission di tutte le scuole di qualsiasi ordine e grado? Dovrebbe essere quello di contribuire a costruire una nuova conoscenza. I suoi metodi di insegnamento, le sue  modalità organizzative e di governo dovrebbero essere finalizzate a questo obiettivo.


lunedì 18 maggio 2015

L’unico interesse è costruire insieme un Progetto di Sviluppo

di
Francesco Zanotti

Risultati immagini per progetto insieme

Angelo Panebianco sul Corriere di oggi ci spiega che nella situazione attuale di conflitto generalizzato non si riesce a capire bene da che parte stare. E neanche bene quali siano i nostri interessi da difendere.
L’analisi è convincente, anche perché è a tutti evidente che il nemico di ieri diventa troppo spesso l’amico (inconfessabile) di oggi. Ad esempio, Assad.
Ma il Prof. Panebianco, però, la soluzione non la propone.
Egli indica solo due obiettivi (certo irrinunciabili) da perseguire: evitare una nuova Shoah e proteggere le minoranze cristiane.
Ma, innanzitutto, ve ne solo altri altrettanto importanti.  E di “costruzione, non di “impedimento”. Ad esempio, lo sviluppo dei Paese del Medio Oriente e dell’Africa.
E, poi, il problema è come fare.
Se si pensa ad obiettivi di impedimento, di contenimento, l’unica soluzione che viene alla mente è costituita dalle armi. Soluzione che, però, non ha mai funzionato.
Se si allarga l’orizzonte, emerge una soluzione: costruire tutti insieme un grande Progetto di Sviluppo. Un grande progetto di sviluppo che parte dai Paesi del Mediterraneo e si irradia verso l’Africa e il Medio Oriente.
Ma è una soluzione che richiede conoscenze e competenze che l’attuale classe dirigente non possiede.
 E allora?

Allora diamo le conoscenze e le competenze che mancano all'attuale classe dirigente. Invece di mandarle in televisione e perdere il tempo in baruffe chiozzotte, mandiamola a casa a studiare.

giovedì 14 maggio 2015

Scuola: ma chi parla di contenuti e processi di “apprendimento” e di “insegnamento”?

di
Francesco Zanotti


In una società che ha avuto una rilevante funzione storica, ma che ora l’ha persa, si danno per scontate le cose importanti (che si considerano eterne ed immutabili mentre stanno perdendo di significato) e si discute dei dettagli. Come quando l’impresa invecchia. Parla di organizzazione (come funziona) e non del suo significato (strategia) che considera, sbagliando, eterno nei secoli.
Nel caso della scuola il dibattito si svolge come se le cose importanti fossero chiare e condivise. Fossero chiari e condivisi: quali sono i contenuti da insegnare, come deve svolgersi il processo di insegnamento, come avviene il processo di apprendimento che, ovviamente, è “complementare” al processo di insegnamento. Si parla solo di come organizzare la scuola. Ancora più limitatamente, si discute di chi comanda e di chi valuta.
Il problema è che sono proprio queste tre cose a non essere chiare e condivise. Siamo ancora legati a considerare differenti tra di loro le scienze naturali, umane, sociali e storiche. Siamo di fronte a crisi strutturali in tutte queste aree di conoscenza: in ognuna di esse si scontrano ortodossia (quello che si considera acquisito) e trasgressioni che stanno marginalizzando quello che si considerava acquisito. Siamo di fronte al fatto che non sappiamo bene cosa significhi “insegnare” ed “apprendere”. Con il sospetto che siano parole legate proprio alla visione del mondo su cui si fonda la nostra attuale società e che stiamo riconoscendo superata. E, quindi, debba essere considerata superata anch'essa. Sta emergendo l’evidenza che non si insegna e non si apprende. Ma insegnanti e allievi creano conoscenza insieme.
Ecco forse questa è la chiave per immaginare una nuova scuola: non sappiamo esattamente cosa è importante insegnare ed apprendere, non sappiamo neppure cosa voglia dire insegnare ed apprendere …
Allora non vale la pena di organizzare una scuola progettuale? Sì, una scuola dove insegnanti ed allievi auto risolvono i problemi relativi ai contenuti ed ai processi di insegnamento e di apprendimento?

lunedì 11 maggio 2015

Integrazione finanziaria. Una leva di sviluppo economico

di 
Daniele Frigeri
Direttore Osservatorio Nazionale sull'Inclusione Finanziaria dei Migranti in Italia

Secondo le stime di Banca Mondiale oltre la metà della popolazione mondiale adulta, circa 2,5 miliardi di persone e 450 milioni di imprese, non utilizza servizi finanziari ufficiali in quanto finanziariamente esclusa. In Italia, secondo i dati pubblicati da Eurobarometer la percentuale della popolazione che non ha accesso ad un conto corrente presso un’istituzione finanziaria regolamentata è pari al 25%.
Il tema dell’inclusione finanziaria è entrato a far parte dell’agenda internazionale già nel 2009, quando i paesi del G20 a Pittsburgh ne hanno fatto un impegno formale, fissando le linee di quello che sarà il G20 Financial Inclusion Action Plan, che ha portato all'elaborazione dei “Principles for Innovative Financial Inclusion” adottati durante il Summit di Toronto del giugno 2010 e l’avvio alla Global Partnership for Financial Inclusion (GPFI).
L’inclusione finanziaria costituisce un tassello sempre più necessario perché l’individuo possa agire ed essere soggetto attivo nel sistema economico e quindi anche in quello sociale di riferimento.
Tra le categorie maggiormente a rischio di esclusione ci sono gli immigrati, motivo per cui nasce il progetto “Osservatorio Nazionale sull'Inclusione Finanziaria dei Migranti”  (progetto pluriennale, nato dalla collaborazione fra il Ministero dell’Interno e l’Associazione Bancaria Italiana - ABI http://www.migrantiefinanza.it/) che considera l’inclusione finanziaria come un complesso di attività finalizzate ad aiutare l’individuo non solo ad accedere ma anche ad utilizzare in modo adeguato (rispetto al contesto di riferimento) servizi e prodotti finanziari presenti sul mercato.

Il migrante da un punto di vista socio-economico si configura come un soggetto caratterizzato da una maggiore vulnerabilità. Privo di una storia finanziaria e creditizia, di un patrimonio finanziario a cui attingere e con un maggior livello di precarietà lavorativa, abitativa e di riconoscimento e valorizzazione delle competenze, e scontando anche le difficoltà linguistiche e culturali legate alla sua condizione di immigrato, si trova maggiormente esposto al rischio di esclusione sociale.

venerdì 8 maggio 2015

Quattro squarci di Fato

di
Francesco Zanotti


Fabrizio Galimberti oggi sul Sole 24 Ore, innanzitutto ci fa una salutare lezione di statistica: guardate che tutte le previsioni hanno una forbice. Non guardate solo al dato medio, ma quanto è ampia la forbice. Poi ci dice che egli ha speranza che la realtà si collocherà nella zona alta delle forbici di previsione perché si sono aperti quattro squarci di sole. Il primo è la perdita di valore dell’Euro che aumenta la competitività (strana cosa l’economia dove quando si perde valore si gioisce). Seguono la diminuzione del prezzo del petrolio e dei tassi di interesse: gli altri due squarci di sole . Da ultimo la combinazione dei tre, visto che “… in questi casi, il tutto è più della somma delle parti.”.
Ora... la prima cosa da dire è che questi squarci di sole li avevamo visti tutti e tutti siamo convinti che siano effimeri. Cioè che non potranno perdurare neanche fino al 2016 in modo da collocare la realtà nella zona alta delle forbici di previsione.
E, poi, sembrano più squarci di Fato che di sole, visto che sono capitati non si bene da dove e come, visto che nessuno li aveva previsti.
Galimberti ne è consapevole e risponde: certo tocca a noi impegnarci a sfruttare l’energia degli squarci di sole. Ma purtroppo rimane solo una esortazione retorica alla Renzi perché non dice come. Noi abbiamo una proposta: occorre fornire alle classi dirigenti nuove risorse cognitive. Quali e perché lo abbiamo già scritto alla noia in questo e negli altri nostri blog.


mercoledì 6 maggio 2015

La sindrome dell’uomo solo al comando

di
Francesco Zanotti


L’uomo solo al comando era Fausto Coppi che stava arrivando primo sullo Stelvio. L’uomo solo al comando va bene per le competizioni sportive. Per governare il Paese è una sciocchezza cognitiva, psicologica sociologica e antropologica.
Sciocchezza cognitiva: l’uomo solo al comando va forse bene quando occorre decidere. Ma noi non abbiano nulla da decidere: abbiamo un’economia ed un Paese da riprogettare. E riprogettare è una operazione cognitiva completamente diversa dal decidere.
Sciocchezza psicologica: se fare politica diventa il vincere una competizione, allora avremo solo politici gigioni e infantili. Alla ricerca della battuta e della retorica.
Sciocchezza sociologica: la complessità sociale non può essere costretta ad incanalarsi in due partiti contrapposti. Anche se ci si riuscisse a causa di qualche arzigogolo elettorale, poi questa suddivisione forzata si frantumerebbe subito dopo.

Sciocchezza antropologica: si immagina che le comunità umane siano solo e soltanto macchine decisionali deleganti. Invece sono la fonte del futuro. Il problema è trovare il modo di convogliare le loro ricchezze verso una progettualità feconda.

sabato 2 maggio 2015

Avete letto la carta di Milano?

di
Francesco Zanotti
Presidente Associazione per l’Expo della Conoscenza


Io credo che alla fine l’Expo potrà anche essere un buon successo commerciale e darà anche un contributo allo sviluppo delle nostre produzioni agro alimentari. Ovviamente, come tutti, condanno tutti coloro che contestano violentemente anche fosse solo in termini verbali.

Ma non credo che un successo commerciale significhi il successo dell’Expo 2015. Questa manifestazione voleva essere il momento in cui si iniziava a cambiare il mondo da Milano. Si sarebbe dovuto iniziare da Milano un cammino di riprogettazione  complessiva sulla nostra società partendo dal cibo che poteva davvero essere tema catalizzatore di un dibattito complessivo.

Che ne è di questo obiettivo?
Leggiamo la Carta di Milano per farcene un giudizio. Ah, caro lettore, comincio una analisi critica della Carta di Milano, ma non mi fermerò alla critica. Arriverò alla proposta, anche se con il timore di annoiare, perché ho descritto in questo blog più volte la proposta dell’Associazione per l’Expo della Conoscenza. E tanti documenti scaricabili da questo stesso post la dettagliano.

Cominciamo da qualche osservazione strutturale. Beh, la prima cosa che balza all'occhio è che, pur non essendo così vasto, nel documento si continuano a ripetere le stesse cose.

Ecco una prima analisi del testo che riguarda l’issue “educazione”, ma discorsi analoghi si possono fare per energia, cibo e molte altre issues.

A pag. 4 la Carta dichiara che “Siamo consapevoli che una corretta educazione alimentare, a partire dall'infanzia, è fondamentale per uno stile di vita sano e una migliore qualità della vita;”

Conseguentemente, a pag.5, dichiara che “In quanto cittadine e cittadini ci impegniamo a promuovere l’educazione alimentare e ambientale in ambito familiare per una crescita consapevole delle nuove generazioni.”

E, poi ripete, a pag. 6, che “In quanto membri della Società Civile ci impegniamo a promuovere l’educazione alimentare e ambientale perché vi sia una consapevolezza collettiva della loro importanza.”

Da ultimo ripropone pag. 8: “Quindi noi donne e uomini, cittadini di questo Pianeta chiediamo con forza a governi, istituzioni e organizzazioni internazionali di impegnarsi a sostenere e diffondere la cultura della sana alimentazione come strumento di salute globale.”

Le imprese, invece, non si assumono, invece, alcun obbligo verso l’educazione.


Che ne dite?

...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.