mercoledì 30 novembre 2011

Ho partecipato ad un incontro con Piero Ostellino

di Cesare Sacerdoti
c.sacerdoti@cse-crescendo.com

Ho partecipato ad un incontro con Piero Ostellino organizzato dal Rotary Arco della pace (22 novembre 2011). Credo importante proporre una mia sintesi del pensiero di Ostellino perché egli ci ha proposto un punto di vista sulla crisi e sul Governo Monti che è diverso da quello un po’ stereotipato e noioso che leggiamo tutti i giorni sul giornale.
Seguirà un Commento di Francesco Zanotti che aggiunge la nostra visione della crisi che è altrettanto alternativa a quella di Ostellino, e non è ad essa contrapposta, ma complementare.
Ecco la mia sintesi del pensiero di Piero Ostellino.

martedì 29 novembre 2011

Né decidere né concertare

di
Francesco Zanotti


Oggi ho letto con amarezza e sgomento un articolo di Dario Di Vico sul Corriere, in prima pagina. Mi scuso da subito con Dott. Di Vico che seguo ed apprezzo: la mie parole saranno dure. Ma sui contenuti, non certo sulla sua Persona.

Egli sostiene che, certo, bisogna ricostruire il rapporto tra parti sociali ed il governo, il modello dei corpi intermedi, ma ora occorre fare subito alcune cose urgenti. A cambiare il mondo ci si penserà dopo, quando quello che viviamo oggi sarà sopravvissuto. “Meglio decidere che concertare” titola il suo articolo.

Pensiero apparentemente saggio, forse un po’ “scarica ansie”, ma che rivela quella che a mio parere è la vera causa della crisi: il cercare di comprendere e gestire una società complessa usando la cultura scientifica dell’ ‘800.

Ma che c’entra la cultura scientifica?

sabato 26 novembre 2011

Lettera aperta a Roberto Napoletano

di
Francesco Zanotti

Egregio Direttore,
ho letto il suo articolo di fondo sul Sole 24 di oggi.
Il titolo riassume eloquentemente il suo pensiero: “Il Ritardo in casa del Professore”.
Appena si è insediato il Governo Monti, ho scritto un post sul nostro blog
dove spiego quali sono le ragioni per le quali il Prof. Monti non può che fallire.
Credo non abbia avuto occasione di leggere in nostro blog. Mi permetto allora di sottoporlo pubblicamente alla sua attenzione e chiederle una Sua opinione in merito.
Se le ragioni che io propongo a sostegno della tesi che è inevitabile che il Governo Monti fallisca si riveleranno effettive, allora tutto il dibattito intorno alla crisi ed alle soluzioni per uscirne sarà da riscrivere.
Un cordiale saluto
Francesco Zanotti

lunedì 21 novembre 2011

Perché il top management è disinteressato alla conoscenza?

di
Francesco Zanotti

Considero top manager un Signore che ha la responsabilità del Governo complessivo di un sistema umano: da un’impresa ad un Paese.
Bene coloro che hanno responsabilità complessiva di Governo non hanno alcun interesse alla conoscenza. Intendo alla nuova conoscenza che emerge ogni giorno in una società complessa. Lo dimostrano due fatti.

Il primo è che il tempo che dedicano all’aggiornamento del loro patrimonio di conoscenze è molto scarso.

La seconda ragione è che nei loro progetti (i loro racconti strategici) e nelle loro azioni usano una conoscenza antica ed inadatta ad una società complessa. Usano come filosofia di relazione con il mondo il modello della meccanica classica che è adatto a Governare società semplici. E dimenticano totalmente di dare una occhiata alla rivoluzione quantistica che propone una visione opposta del mondo a quella della meccanica classica ed è adatta a governare una società complessa.

La “scusa” per il disinteresse alla conoscenza è quella della mancanza del tempo: il “day by day” uccide ogni desiderio di conoscenza. Purtroppo si tratta di una scusa auto costruita. E’ proprio l’utilizzo del metodo di Governo suggerito dalla visione “classica” del mondo che genera, in una società complessa, l’emergere di mille urgenze. Esse rappresentano la ribellione di una società ricca, complessa, autonoma che resiste sempre di più al tentativo di ingabbiarla in sistemi umani visti come macchine che hanno bisogno di autisti e meccanici. Una società complessa vuole esser vista come una rete di attori protagonisti capaci di costruirsi autonomamente la loro identità. Che abbisognano di qualcuno che li aiuti ad evitare che questo loro processo di sviluppo autonomo finisca nel buco nero dell’autoreferenzialità.

Discorso troppo generale? Certamente sì! Ma è un post …
Se qualcuno fosse interessato a capire la differenza tra una visione del mondo ed una modalità di Governo di tipo classico e la visione e il governo quantistici mi scriva o segua le nostre attività.

giovedì 17 novembre 2011

Il prof. Monti non può che fallire … purtroppo

di
Francesco Zanotti

Ne ho già parlato negli ultimi due post. Ma forse mai così direttamente. Lo voglio fare perché, quando veramente sarà evidente il fallimento, si potrà discuterne in forme nuove. In modo da evitare che al successore di Monti accada la stessa cosa.

Perché non può che fallire?

Innanzitutto, perché il programma che si propone di realizzare non ha nessuna influenza sulle cause della crisi attuale. Non siamo di fronte ad una crisi finanziaria, ma alla crisi di un modello di società. Il programma del nuovo governo non vuole avviare un processo di progettazione di una nuova società, ma vuole cercare di far funzionare meglio la società attuale. Compito impossibile anche (certamente non solo) per banali limiti fisici. La natura non sopporta un’ ulteriore crescita dell’attuale società industriale.

Poi perché la conoscenza da cui parte (l’economia) è una pseudo scienza che vuole scimmiottare, irragionevolmente, la fisica classica. Si tratta di un corpus di conoscenze da ricostruire integralmente. Da ricostruire perché suggerisce azioni di ristrutturazione, invece che di riprogettazione.

Ancora: perché non ha cambiato il metodo di governo. E’ vero che si propone di consultare, far partecipare, ma sono buone intenzioni generiche. Il Governo di una società complessa richiede che chi governa avvii processi di creazione sociale di nuove realtà. Con tutto il rispetto, la formazione e le esperienze del Prof. Monti non hanno nulla a che fare con i processi di creazione sociale. Voglio dire che, anche se le cose che vuole fare fossero corrette, non riuscirebbe a farle per “incompetenza processuale”.

Da ultimo, non ci riuscirà perché nessun grande sviluppo può nascere da sacrifici (proposte da una classe dirigente che non farà alcun sacrificio) e azioni impopolari. Un grande sviluppo nasce da un movimento di popolo che si incammina verso una nuova storia. E certamente non sarà il Prof. Monti a risvegliare la voglia di un futuro diverso in un popolo che oggi sembra davvero un volgo disperso.

lunedì 14 novembre 2011

Cambiamo conoscenza invece di cambiare burocrazie

di
Francesco Zanotti


Nell’affrontare la crisi che ci pervade stiamo sbagliando analisi e strategia.
Analisi: non stiamo vivendo le conseguenze di una crisi finanziaria. Stiamo vivendo la crisi di un intero modello di società: la società industriale.
Strategia: non dobbiamo riformare il modello della società industriale, farlo funzionare meglio: dobbiamo, cambiare questo modello.

Per cambiare modello sociale, dobbiamo cambiare le basi di quello vecchio. Se non cambiamo le basi, ogni riforma diventa solo un rimescolamento, quindi, una strategia di conservazione.

Quali sono le basi della società industriale? Sono costituite da quella visione della scienza che trova la sua massima espressione nella meccanica classica e che è diventata la filosofia di fondo, il linguaggio, il modo di ragionare, la mappa cognitiva della società industriale. Usando un’espressione più “popolare”: gli occhiali della società industriale. La visione classica della scienza è un fondamento così pervasivo che ambedue le interpretazioni estreme della società industriale (il capitalismo ed il collettivismo) sono fondate su di essa. Sono società “classiche”.

Cambiare le basi della società industriale non è difficile: basta non chiudere gli occhi ai progressi della scienza. Così facendo, si scopre che da tutte le scienze sta piano piano emergendo una nuova visione del mondo che, credo, si posa definire “quantistica”. Questa nuova visione del mondo potrà essere il “linguaggio” fondamentale per progettare una nuova società.

Coraggio: cambiamo conoscenza, invece di cambiare burocrazie.

giovedì 10 novembre 2011

Non basta la persona. Servono visione, metodo, conoscenza … diversi

di
Francesco Zanotti


Oramai sembra chiaro che a provare a guidare il prossimo Governo sarà Mario Monti. Nessuna riserva sulla sua qualità umana, ci mancherebbe. Ma una persona colta, equilibrata con alto senso dello Stato e del bene comune, come è il Prof. Monti, non basta.
E se poi anche lui immagina che il televisore sia il tradizionale teatrino delle marionette e prova ad aggiustarlo a martellate? Le martellate sono martellate chiunque le meni …

Fuori di metafora, alla persona occorre aggiungere visione, conoscenza e metodo.
Io non propongo certo di fare l’esame al Prof.Monti. ma qualche domanda me la permetto: sulla visione, sul metodo e sulla conoscenza.

Sulla visione e sulla conoscenza.
Crede il prof Monti che esistano soluzioni, strategie inevitabili per fare uscire tutti noi dalla crisi e il problema sia solo quello di convincere litigiose forze politiche con scarso senso dello Stato a piantarla con le baruffe chiozzotte e adottare queste soluzioni, queste strategie?
Oppure pensa che non esistano soluzioni già individuate, ma sia necessario attivare un intenso processo di creazione sociale per individuarle?
La differenza tra queste due prospettive non è banale. A me sembra che tutta la conoscenza attualmente disponibile sui processi di evoluzione e sviluppo dei sistemi umani porti a credere che le soluzioni, le strategie immaginate da qualunque classe dirigente, non possano essere altro che manifestazione di autoreferenzialità. Non possono essere comprese e realizzate da chi non fa parte della classe dirigente che le ha prodotte. E se anche fossero realizzate non sarebbero efficaci.

Sul metodo.
Oggi, nella discussione politica, per metodo si intende qualcosa di molto generale. Tanto è vero che si descrive il metodo attraverso valori o slogan generali: equilibrio, senso dello Stato, partecipazione o concertazione. E via dicendo.
Credo che occorra essere più specifici.
Se si pensa che esistano le soluzioni, ma bisogna convincere i poco saggi a metterle in pratica, allora si usa la metodologia della persuasione, della negoziazione, del richiamo ai valori. Si butta in campo la propria autorevolezza personale, si chiede aiuto a qualche potere superiore. L’Europa, ad esempio. Come se l’Europa fosse un vecchio saggio che dispensa consigli ai nipoti e non un sistema complesso di visioni e di interessi autoreferenzialmente chiuso che ha come unico obiettivo (ma ogni sistema autoreferenziale può avere solo questo obiettivo) affermare la propria identità.
Se si pensa, invece, che occorra progettare socialmente soluzioni allora occorre usare metodologie di progettazione sociale. Quali pensa di usare il Prof.Monti?

Ancora sulla conoscenza.
Il credere che esistano soluzioni e strategie inevitabili e che basti convincere tutti ad applicarle è frutto di una visione della società che ha come modello ideale di conoscenza la meccanica classica.
Purtroppo (o per fortuna) una società non è classica, ma quantistica. Soprattutto quella italiana. E’ fatta di mille luoghi (modellizzabili attraverso il vuoto quantistico) che continuamente producono potenziali novità. E’ fatta di attori imprenditoriali che catturano alcune di questa potenzialità e, realizzandole, costruiscono imprese, gruppi etc.
In una società, proprio perché è quantistica, si attivano processi emergenti che, soli, possono costruire disegni di futuro condivisi e realizzabili.
Il governare, quindi, non può significare cercare di semplificare per legge questa complessità e incanalarla il soluzioni etero progettate. Si scatenano solo conflitti.
Da quale visione “sistemica” (classica o quantistica) della società parte il Prof.Monti?

Se egli pensa che la società sia classica, che le strategie e le soluzioni esistano e basti applicarle, allora ci avviamo allegramente a costruire ulteriori e più gravi guai.
Se attiverà un grande processo di progettazione sociale (usando le metodologie disponibili di cui abbiamo a lungo parlato in questo blog) per costruire un nuovo ed emozionante Piano di Sviluppo del nostro paese, allora riusciremo a costruire un nuovo Rinascimento per noi e per il mondo.

martedì 8 novembre 2011

Esame di coscienza o produzione di valore. Lettera aperta al Direttore del Sole 24 Ore

Egregio Direttore,

ho letto stamattina (8 novembre 2011) il suo richiamo sul giornale che dirige ad un esame di coscienza collettivo della classe politica e il suo invito ad un Governo fatto di persone che “aiutino il mondo a percepirci come seri e credibili ed abbiano alle loro spalle il sostegno determinato, magari a termine, della politica italiana”.

Apprezzo, ma mi sembra … poco.

Le propongo una strada più … ecco … precisa. Purtroppo, credo, inaudita ed inascoltabile dalla attuale classe politica e mediatica. Dobbiamo ancora fare qualche altro passo nella giungla della crisi per accettare di cambiare i nostri schemi di riferimento, le nostre conoscenze.

Anche se inaudita ed inascoltabile, questa strada gliela propongo lo stesso. Mi permetto di pubblicare questa lettera aperta sul nostro blog e di mandarla a qualche opinion leader per avviare un dibattito nuovo nei contenuti e nelle speranze .

Credo che l’ “urgenza più urgente” sia quello di riavviare il meccanismo di produzione di valore del nostro sistema industriale ed economico. E’ ovvio che se ci si riuscisse il problema della disoccupazione, della stabilità delle banche e delle risorse per costruire infrastrutture, per migliorare il sistema formativo del welfare sarebbe risolto. Si avvierebbe anche un processo di riduzione del debito pubblico. Mi lasci usare un paradosso (che poi voglio trasformare in speranza, indicando come fare a realizzarlo): se in Italia ci fossero 50 Apple, con la capacità di produrre valore della Apple, la pianteremmo di tirare una coperta sempre troppo corta.

Come fare a riavviare il meccanismo di produzione di valore?

Cambiando il rapporto banca-impresa. Mi spiego. Perché il nostro sistema industriale ed economico aumenti la sua capacità di produrre valore è necessario che le imprese riprogettino profondamente le loro identità. Non basta l’innovazione tecnologica. Anzi il continuo ed insistito richiamo alla innovazione tecnologica rischia di essere un alibi per tutti. Anche per gli imprenditori che possono dire: ma se lo Stato non ci dà le risorse …


La riprogettazione delle imprese non deve essere fatta con l’obiettivo della competitività. Ma con l’obiettivo di uscire dal pantano della competizione. Con l’obiettivo di costruire originalità ed unicità. Una strategia “imprenditoriale”, capace di creare nuovi mercati. Come ha fatto Steve Jobs, appunto. O per rimanere a casa nostra, come ha fatto la FIAT con la prima 500.

Come fare perché le imprese riescano compiere questa rivoluzione imprenditoriale? Occorre fornire loro conoscenze. In particolare le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa per valutare quanto sono invischiate nel pantano della competizione e per progettare la via per uscirne.
Chi può fornire alle imprese queste conoscenze e metodologie? Io credo non possano che farlo le banche perché ne hanno un diretto interesse. La prossima grande crisi sarà generata dall’attuale trend di perdita della capacità di produrre valore delle imprese. Se non si avvia un trend di riprogettazione profonda l’attuale trend non si ferma, ma peggiora. E le banche si troveranno a non riuscire ad affrontare tutte le sofferenze che si genereranno. E, quindi, diverranno un altro assorbitore di risorse che, a quel punto, non si sa chi potrebbe produrre.

Ovviamente le banche si dovranno dotare di queste conoscenze e metodologie perché attualmente non ne dispongono. Anzi, dovrebbero avviare un grande progetto di ricerca per migliorare le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa.

La proposta che ho avanzato è solo un ologramma di una proposta più generale che riguarda la conoscenza. I lettori del nostro blog la conoscono: si tratta dell’Expo della conoscenza.

Le propongo una sintesi “estrema” di questa proposta più generale e le mando, come approfondimento, il Manifesto della Associazione per l’Expo della conoscenza (APEC) che ha, appunto, l’obiettivo di realizzare l’Expo della conoscenza.

Davvero in estrema sintesi: noi siamo la visione del mondo (i modelli ed i linguaggi di cui disponiamo) che utilizziamo. Oggi le nostre classi dirigenti utilizzano una versione ideologizzata della visione delle “sensate esperienze e certe dimostrazioni” di Galileo. Detto diversamente, il nostro modo di guardare al mondo e di ragionare sul mondo è quello della meccanica classica. Questa visione del mondo ha generato la società industriale, ma ora questa società ha esaurito il suo ciclo vitale e serve progettarne un’altra. Per progettarne un’altra non si può, però, partite dalla stessa visione del mondo che ha generato quella attuale: occorre cambiarla. Nel corso del XX secolo (ma anche nel secolo precedente) sona nati, proprio all’interno delle due scienze “fondamentali” (la matematica e la fisica), i prolegomeni di una nuova visione del mondo: dai teoremi di incompletezza alla fisica quantistica. Questi stimoli iniziali hanno poi fecondato tutte le altre scienze naturali ed umane. Oggi tutte queste stille di “innovazione concettuale” sparse in ogni scienza stanno coagulandosi in una visione del mondo radicalmente “diversa” da quella che sta a fondamento della società industriale. Essa può permette alle classi dirigenti di sviluppare una visione “diversa” della società e della Natura e suggerire “diverse” forme di Governo della società e della natura.

Come, per far si che i nostri imprenditori ricostruiscano la loro capacità di produrre valore, occorre fornire loro nuova conoscenza (le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa), così occorre fare anche con tutte le nostre classi dirigenti. Occorre fornire loro la nuova visione del mondo che sta emergendo e che costituisce la materia prima per la costruzione di una nuova società.

E’ possibile raggiungere questo obiettivo attraverso un Evento che potrebbe dare il via alla nascita di una nuova imprenditorialità economica, sociale, politica, istituzionale, culturale che abbiamo chiamato, appunto, Expo della Conoscenza e che trova descritto nel Manifesto della nostra Associazione.

Ritengo che questa mia visione/proposta meriti di essere diffusa e dibattuta. Le chiedo la possibilità nei modi e nelle forme che Ella riterrà più opportune, di diffondere questa proposta attraverso il suo giornale.

La ringrazio e cordialmente La saluto

Francesco Zanotti
Presidente
Associazione per l’Expo della Conoscenza

venerdì 4 novembre 2011

Terra sconosciuta o conoscenza sconosciuta? Lettera aperta ad Antonio Polito

di
Francesco Zanotti

Egregio Dott. Polito,
ho letto il Suo pregevole fondo di stamattina (4 novembre2011) sul Corriere della Sera dal titolo: “Una terra sconosciuta”.
Se la mia interpretazione è corretta, il suo articolo esplora eventi che le sembrano “strani” ed arriva alla conclusione che “si ha l’impressione di avventurarsi in una terra sconosciuta”.
Le propongo una visione completamente diversa della “stranezza”: ci sembra di addentraci in una terra sconosciuta perché non vogliamo cambiare gli “strumenti concettuali” che stiamo usando. Detto diversamente: questi eventi ci sembrano strani perché gli strumenti concettuali che usiamo non sono adatti ad interpretarli. E ci rifiutiamo di imparare i mille altri strumenti concettuali (di analisi e di progetto) che sono disponibili.

Le faccio un solo esempio di strumenti: la teoria dei sistemi autopoietici ed autoreferenziali.
Usandola si capisce che il continuo riapparire di ideologie, il manifestarsi di prigioni logiche (come applaudire i mercati quando danno addosso a Berlusconi e combatterli quando chiedono sacrifici) e, aggiungo io, l’incapacità attuativa dei Governi sono frutto del fatto che le classi dirigenti sono diventate sistemi autoreferenziali. Questa espressione non vuole essere etica: come siamo cattivi perché siamo diventati autoreferenziali. Ma ha un suo significato tecnico preciso: significa, che i sistemi autoreferenziali sono in accoppiamento strutturale con l’esterno, cioè con la società e con il mondo che dovrebbero guidare. Questo fa sì, da un lato, che il modo in cui guardano la società e il mondo è distorto dagli strumenti concettuali che hanno sviluppato al loro interno. Si tratta di distorsioni molto più gravi di quella della caverna di Platone: si tratta di vere ricostruzioni della realtà che hanno un rapporto casuale con la realtà stessa.
E, poi, significa che i contenuti delle nostre comunicazioni non vanno presi sul serio. Essi sono strumentali, funzionali all’auto rappresentazione ed al posizionamento degli appartenenti al sistema della classe dirigente.

I fenomeni strani sono frutto di accoppiamento strutturale. Le faccio solo l’esempio delle difficoltà realizzative di progetti, proposte. Queste sono generate da “ribellioni” di coloro che dovrebbero attuarle. E queste ribellioni non sono contro i contenuti delle diverse proposte, ma nascono dal modo in cui sono costruite. Sono costruite da poche persone che le voglio imporre agli altri con la presunzione che queste proposte siano “scientifiche”, cioè le uniche possibili. Ma questa pretesa è destituita da ogni fondamento. Le proposte dipendono dagli strumenti concettuali (e che non sono leggi scientifiche) che si usano per formularle. Se vengono fatte da élite dipendono dagli strumenti concettuali di queste élite. Chi li riceve, innanzitutto, li trova incomprensibili perché, inevitabilmente, usa altri strumenti concettuali. Se aggiungiamo che queste proposte sono solo da realizzare (al massimo si possono esprimere opinioni, ma poi decide chi le ha formulate) allora sono proposte che lasciano come unica via di autorappresentazione (l’obiettivo fondamentale dei diversi gruppi sociali) quella della opposizione.


...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.