lunedì 30 maggio 2011

E’ insensata la competizione politica: Roosevelt epigono di Berlusconi e … degli altri


di
Francesco Zanotti


… lo è anche la competizione economica, ma non ne parlo in questo blog. Il Lettore può leggere della mia convinzione che il competere sia distruttivo, che occorra l’intraprendere e che le due cose non sono compatibili sul nostro blog http://imprenditorialitaumentata.blogspot.com/.

Qui voglio parlare di politica, non di economia. E sostenere che la competizione politica è insensata.

Primo indizio di insensatezza, quando scrivo stanno ancora svolgendosi le operazioni di voto dei ballottaggi per le Amministrative 2011. Ho seguito gli sforzi dei giornali per differenziare le proposte (i programmi) dei due candidati. Tutte le tabelle che sono state presentate per confrontare i due candidati nelle città principali (Milano e Napoli) hanno individuato grandi somiglianze.
Le differenze esistono e sono ispirate da sensibilità politiche diverse, grosso modo ancora legate al vecchio dibattito pro o contro l’iniziativa privata e l’industrializzazione.
Ma, se non si è sfegatatamente partigiani, si fa in fretta a concludere che sono due sensibilità complementari che ogni persona di buon senso (interessata al proprio e altrui benessere) vorrebbe sintetizzare.

Ed allora perché proposte molto “sovrapponibili” e, quando diverse, integrabili e da integrare, scatenano battaglie ferocissime con colpi bassi immiserenti?
Io credo che le risposte siano le seguenti.

La prima: una sintesi non è neanche pensabile proprio perché abbiamo costruito una democrazia fondata sul concetto di competizione. E sembra che una democrazia non possa che essere fondata sul concetto di competizione. Il ragionamento che si fa è il seguente.Tutte le idee e le proposte hanno diritto di cittadinanza. Poiché esistono idee opposte, opzioni opposte di società, allora occorre creare attori politici (i partiti) che portano avanti queste opzioni e trovare un meccanismo decisionale per scegliere tra le une e le altre: le votazioni precedute da una campagna elettorale. Nella campagna elettorale, le diverse parti politiche organizzate raccontano le loro proposte. Nel momento ritualmente forte delle elezioni, il cittadino sovrano sceglie.

In queste elezioni (ma anche nelle altre precedenti) si è visto che il presupposto iniziale della competizione (esistono opzioni opposte) si è squagliato. Così profondamente che ogni persona di buon senso vede che i programmi dei due candidati sono molto simili e che potrebbero e dovrebbero essere integrabili. Ma le parti politiche hanno senso solo se sono diverse le une dalle altre. E se i loro programmi non sono diversi, allora occorre costruire quelle differenze che non ci sono. E così la vera differenza che si riesce a costruire è la demonizzazione dell’avversario che impedisce di ammettere che esistono proposte comuni, che impedisce a maggior ragione di tentare sintesi.

Ma da dove proviene questa ansia, questa voglia perversa di diversità a tutti i costi? Da una ragione profonda e da bassi interessi di bottega.

La ragione profonda sta nella visione del mondo che sta alla base della nostra società. Essa è sostanzialmente una caricatura della visione del mondo di Galileo che mi chiamerei “riduzionismo ideologico”.
E’ questo riduzionismo che mi fa scambiare la mia visione delle cose come “oggettiva”. E che mi fa dire che quelli che non concordano sono ciechi, che tutte le visioni diverse  sono errate.
E’ questo riduzionismo  che mi fa credere che il mio modo di ragionare sia quello “logico”.
Sommando una visione oggettiva con un ragionare logico, si arriva a concludere che quello che si propone è il meglio. Chi non lo capisce o è scemo o è in malafede.

E’ una visione così profonda che la condividono personaggi così diversi come Roosevelt e Berlusconi. Se il lettore si va a rileggere il primo discorso di insediamento di Franklin Delano Roosevelt (4marzo 1933) trova il seguente passo: : “Nel caso però che il Congresso non riesca ad aderire a queste direttive e che la situazione del paese rimanga critica non fuggirò dalle evidenti responsabilità che mi troverò di fronte. Chiederò al Congresso l’unico elemento per affrontare la crisi: il conferimento di ampi poteri all’esecutivo per ingaggiare una guerra contro l’emergenza, poteri paragonabili a quelli che mi sarebbero assegnati se fossimo davanti ad un nemico straniero.”
Chi non sente echeggiare queste parole nel desiderio del nostro Premier di maggior potere per guidare un Paese che non capisce?.

Questa voglia di potere è  frutto della voglia smodata di potere e di ricchezza? Credo proprio di no! E’ frutto di una visione del mondo “ideologica” che fa credere che il proprio modo di vedere le cose e le proprie proposte sono le uniche efficienti ed etiche. Se ci aggiungete un grande “ego” … trovate questa filosofia del “non disturbate il navigatore che .. lui sì che sa come va il mondo” in ogni dimensione della società industriale. Lo trovate anche nella sciocca filosofia del “Macho Management”, troppo simile alla filosofia dell’ “Uomo del Destino”.

E’ chiaro che quando questo gioco della competizione diventa il riferimento del fare politica, esso viene anche usato per bassi giochi di bottega. La società industriale è fondata sui beni materiali, si crede che il benessere sia generato dal possedere il più possibile, una carica politica importante serve a possedere di più (e gratificare il proprio io perché il comando è segno di eccellenza) ed allora occorre vincere il gioco delle elezioni. A tutti i costi: ne va del “posto”. Che può lo scranno di Montecitorio o Palazzo Madama, per tanti onorevoli che così campano egregiamente. Oppure un posto nella storia, come è ambizione del Nostro.

Poi, gli esseri umani sono essere umani e la convinzione di essere “unti del Signore” e i piccoli interessi di bottega si sommano. Aggiungete un pizzico di infantilismo (presente egualitariamente nelle diverse parti politiche) e troverete le ragioni di una campagna violentemente fondata sul nulla.

E’ ovvio che una campagna fondata sul costruire conflitti intorno al nulla non serve a nessuno. Anche perché i risultati che verranno fuori dai risultati elettorali che genera saranno occasione di nuove campagne elettorali fondati sul nulla.

Che fare?

Prima di tutto, cominciare a diffondere l’idea che alla radice dei nostri problemi c’è una voglia di ideologia che nasce dalla nostra cultura profonda. Poi, cambiare questa nostra cultura profonda: tutto il mondo della scienza sta proponendo una visione del mondo alternativa: non ideologica, ma costruttiva. E, poi, trovare una nuova visione più profonda di democrazia nella quale il metodo di governo sia radicalmente diverso. Noi ce la siamo immaginata e l’abbiamo chiamata Sorgente Aperta.

mercoledì 25 maggio 2011

Fincantieri, TAV e conoscenza …


di
Francesco Zanotti


Come si fa a gestire le imprese (Il caso Fincantieri)  lo si sa! Basta affidarle ad un bravo imprenditore o ad un bravo manager. Come si fa a gestire il nostro sistema di infrastrutture, lo si sa: basta scegliere una classe politica “etica” che, magari, scelga managers altrettanto etici. “Etico” significa: non privilegiare gli amici, ma solo il bene comune.
Se, poi, l’azienda va male o è colpa di circostanze esterne particolarmente sfavorevoli, come il nostro  sistema paese (come scrive Gian Maria Gross Pietro sul Sole 24 Ore di oggi). Ed allora basta avviare le famose riforme. Oppure si è sbagliato a scegliere il management e basta cambiarlo (come sembra proporre Dario di Vico sul Corriere della Sera di oggi).
Se  il costruire infrastrutture scatena conflitti sociali, allora la soluzione è anche in questo caso è cambiare Il “capo”, cioè la classe politica.

lunedì 23 maggio 2011

Cultura, scienza, economia e sviluppo

di
Francesco Zanotti

Ancora oggi, con l’espressione “Interventi per la Cultura” si intende il miglioramento della fruibilità del nostro patrimonio museale. Nulla in contrario, ovviamente sul migliorare la fruibilità del gigantesco patrimonio di opere d’arte che possediamo. Tutto in contrario al considerare che la Cultura si esaurisce in questo patrimonio.
Tutto in contrario oggi, quando dobbiamo urgentemente costruire sviluppo (economico, sociale, politico, istituzionale, culturale) e non ci riusciamo. E’ inutile elencare le mille geografie sociali dove non riusciamo a costruire sviluppo.
E non ci riusciamo perché è necessario costruire un nuovo sviluppo. Non si può immaginare un ulteriore sviluppo dell’attuale società. Voglio solo citare il "casino” che hanno fatto in Cina costruendo la più grande diga del mondo sullo Yangtze. Il Governo ha dovuto ammettere che le peggiori previsioni degli ambientalisti si sono verificate. Il riparare i danni sarà una impresa ciclopica, il sostituire l’energia prodotta dalla diga comporterà un massiccio ritorno al carbone con tutte le conseguenze che questi comporta.
E questo nuovo sviluppo non lo cerchiamo: stiamo continuando a cercare di rimettere in sesto la vecchia società industriale.

Bene, ma cosa c’entra la cultura? Ecco, entra subito in scena. Ogni processo di sviluppo, ogni società che da questo processo di sviluppo è generata, sono fondati su di una specifica visione del mondo che si manifesta, lasciatemi usare una vecchia espressione, nelle lettere, nelle arti e nelle scienze. Possiamo vedere anche le cose al contrario, così sarà chiara la stretta correlazione tra sviluppo e … una visione della Cultura che non rimanga chiusa nei musei. Ecco il ragionamento al contrario: lo sviluppo delle lettere, delle arti e delle scienze si sintetizza in una visione del mondo che sta a fondamento dell' economia, della socialità, della politica e delle istituzioni della società dove le lettere le arti e le scienze si sono sviluppate.

Se questo è vero la conclusione è banale: per costruire una nuova visione del mondo (che, sola, darà origine ad una nuova società) è necessario rivoluzionare le lettere, le arti e le scienze perché possano, insieme, costruirla.

Questo significa, innanzitutto, che ci dobbiamo convincere di una cosa che dovrebbe essere entrata nella coscienza comune da decenni: la cultura non è solo capolavori passati,  spolverati e esposti. E' l’insieme di tutto il sapere dell’uomo. Non è una persona colta solo chi va per musei o legge i classici. E’ una persona colta chi fa tutte  queste cose e, poi  passeggia anche per la scienza …

No, non basta! Per costruire un nuovo sviluppo occorre che tutti diventino persone colte di nuova generazione. Ecco la mia proposta.

Per spiegarla, riprendo il concetto di opera d’arte. Le conoscenze attuali non sono più in grado di produrre opere d’arte. Non si producono più rappresentazioni del mondo che possano essere paragonate a quelle che stanno nei musei. Non si producono più teorie scientifiche capolavoro. Sembra che il mondo tenda a rintanarsi sempre di più in mondi specialistici dei quali pochissimi, fuori da quei mondi, ne capiscono il significato. E questi mondi devono essere sovvenzionati perché non sono in grado di produrre valore.
La ragione di tutto questo è che non ci si riesce a staccare dalla visione del mondo attualmente prevalente che una volgarizzazione assolutizzante della visione della scienza di Galileo.
Posso ora spiegare cosa intendo quando propongo che tutti diventino persone colte di nuova generazione. Intendo dire che la responsabilità di costruire una nuova visione del mondo dalla quale potrà nascere una nuova società non può essere lasciata agli attuali specialisti delle lettere, delle arti e delle scienze perché sono troppo legati al loro specialismo che è figlio diretto della visione del mondo oggi prevalente. Essa potrà nascere dall’impegno di menti libere dal desiderio di perpetuare recinti specialistici, ma interessate a costruire un nuovo futuro per tutti. Persone che passeggiano per i musei delle lettere, delle arti e delle scienze con la voglia di costruire nuovi capolavori che si condenseranno in una nuova società che sarà il nostro capolavoro complessivo.

Credo che la mia proposta sia davvero diversa da una difesa piagnisteistica ed interessata della cultura. Del tipo: la cultura è dove opero io. "Salvare la cultura significa mantenermi".

E l’economia? E' l’ambito di conoscenza dove l’esigenza di rinnovamento è più forte. Dove è più forte l' impronta di una visione della scienza che è oramai superata, forse che non c’è mai stata. L’ambito di conoscenza che più ci opprime con teorie insostenibili, ma prescrittive che perseguono il perverso obiettivo della stabilità e non dello sviluppo.

martedì 17 maggio 2011

La nuova realtà politica “emergente”…sia a casa nostra che altrove

di
Francesco Zanotti

I nostri politici (anche i commentatori politici) pensano davvero che la conoscenza non serva a nulla. E pensare che, oramai, quasi nessuno discute che la nostra capacità di analisi e progetto dipende dai nostri “modelli mentali”. Più sono ristretti più facciamo analisi banali e progetti banali. E dobbiamo scatenare l’enfasi (fino all’urlo) e la retorica per cercare di dare sostanza alla banalità.

Le analisi del voto amministrativo dimostrano questa triste realtà: si ragiona ancora in termini di chi ha vinto e chi ha perso. Oppure si ammette candidamente (Stefano Folli in prima pagina sul Sole 24 ore di oggi) che “L’Italia sta cambiando … (ma) … non si intravede una prospettiva chiara, una coerente direzione di marcia”.

Io credo che questo ragionare in termini di “chi vince e chi perde” o questo non intravedere dipenda dai modelli mentali che si usano.
Infatti, usando nuovi modelli mentali, ad esempio, usando la nuova teoria dei sistemi che noi definiamo “Sistemica Quantistica”, si capisce esattamente dove si sta andando e come si possa governare questo andare.

Innanzitutto, si sta andando verso un aumento della complessità sociale e culturale. Non si tratta di frammentazione, si tratta dell’emergere di una nuova ricchezza di idee, consapevolezze che vogliono essere riconosciute e diventare protagoniste della vita economica, sociale, politica e culturale. Sta accadendo a Milano, in Italia e nei paesi del Nord Africa e del Medioriente. Si tratta di ricchezze forse ancora grezze, da coltivare, far sviluppare. Ma il come farlo è semplicissimo: occorre arricchire i modelli mentali di chi ha intuito, rappresenta, propone l’emergere di queste novità. E, poi, occorre costruire nuove sintesi, emergenti, inaudite.

Diffondere conoscenza e costruire sintesi, ecco come si valorizza l’emergere di una complessità economica, sociale, politica. Diffondere e costruire sintesi … e il risultato sarà una nuova società.

La nostra classe politica, purtroppo, fa esattamente il contrario. E’ una classe politica di parte che cerca la vittoria come via per “cambiare”. Ovviamente questo “cambiare” rimane in sospeso, non si concretizza nella proposta di una nuova società. Si concretizza solo nel sostituire l’avversario. Vede il crescere di complessità come una frammentazione da eliminare attraverso la concentrazione in due poli che diventano inevitabilmente “due poli di verità”. E come tali non possono che considerarsi alternativi e cercare la vittoria. Così, il fare politica non può che diventare una continua battaglia per far vincere la propria scatola di (presunta) verità. Una battaglia “etica” che porta alla demonizzazione dell’avversario, con tutte le conseguenze che questo comporta.

Mentre sto scrivendo, ricevo una mail di propaganda politica (a favore di uno dei due candidati che affronteranno il ballottaggio: non è importante quale) che, dopo la ovvia sollecitudine a votare per il candidato appoggiato dall’inviante la mail, si conclude con “Ad majorem gloriam Mediolani”. Ecco da nessuna vittoria di una parte sull’altra verrà una maggiore gloria di Milano. Nascerà una nuova società (il nascere di una nuova società più bella e più giusta è la vera vittoria di tutti) solo dal coltivare e sintetizzare la crescente complessità economica, sociale, politica e culturale che sta emergendo a Milano.

E’ ovvio che, guardando la crescita della complessità come un guaio, non immaginando neppure che esista la via della sintesi, non si intravede nessuna strada di futuro, ma si vive una grande incertezza. L’incertezza, però, non è nella società: è nello sguardo. Se si cerca di capire chi vincerà, non si trova una risposta. Perché, a mano a mano che cresce la complessità, la vittoria netta e completa di una parte diventa sempre meno probabile.

Quindi? E la sistemica quantistica? La sistemica quantistica è quell’insieme di modelli che permette di vedere, leggere, valorizzare e portare a sintesi questa crescente complessità, invece di combatterla.

Quindi, banalmente, ma efficacemente, la proposta è inevitabile: diffondere presso la nostra classe politica questa nuova cultura… Non ha importanza chi vince il ballottaggio: ambedue i candidati, anche se non sembra, usano la stessa visione del fare politica come battaglia. Sarebbe meglio usare questo tempo per formare tutte e due alla nuova conoscenza sistemica. Una battuta: diventa sindaco chi la “impara prima” …

Aldilà dei paradossi, non attendiamo che una vittoria possa costruire il futuro. Solo con occhiali nuovi, con strumenti progettuali nuovi si riuscirà a guidare l’emergere di una nuova società.

venerdì 13 maggio 2011

Il debito greco, i debiti delle PMI e la classe dirigente

di
Francesco Zanotti

Quali sono le ricette che vengono proposte per risolvere il problema del debito greco? Beh … ridurre le spese pubbliche ed aumentare le tasse. Più, dice Daniel Gross sul Sole 24 Ore di oggi, 12 maggio 2011, spostare il debito pubblico da creditori esteri a creditori interni. Cioè: convincere (o costringere?) i cittadini greci a comprare i loro titoli di stato.

Bene, immaginiamo che lo Stato Greco sia una PMI. La soluzione aumentare i ricavi e diminuire i costi è, anche in questo caso, la soluzione regina. Ma c’è qualche differenza fondamentale: una impresa non può costringere i clienti a comprare e neanche può ridurre la qualità dei prodotti. Può rivolgersi agli azionisti, ma non può costringerli a comprare nuovi titoli della società. E sa benissimo che questa soluzione funziona solo se i soldi degli azionisti vengono investiti in azioni di sviluppo.

lunedì 9 maggio 2011

Ho partecipato ad Italia Camp

di Francesco Zanotti


Sabato 7 maggio 2011, ho partecipato alla manifestazione di Italia Camp, una associazione che ha (riposto testualmente dal sito www.italiacampi.it): l’obiettivo di costruire - partendo dai centri universitari nazionali e internazionali - una rete progettuale, permanente e intergenerazionale. Una rete di persone che dia vita ad un nuovo processo di coinvolgimento e partecipazione di tutte le componenti della società civile del nostro Paese e che, attraverso la discussione, la raccolta e l’elaborazione di idee sia in grado di realizzarle.

Iniziativa assolutamente da sostenere. Per dare il mio contributo, provo ad indicarne qualche punto di forza, di debolezza e provo ad indicare qualche suggerimento.

lunedì 2 maggio 2011

Il lavoro e Bin Laden.

di
Francesco Zanotti


Che strana società la nostra… festeggiamo il lavoro senza lavorare e il Presidente della nuova America pensa che il futuro lo si costruisca uccidendo un uomo ed esponendone il corpo…

Festeggiare il lavoro senza lavorare significa considerare il lavoro un momento di fatica e sfruttamento. E considerare che i momenti di autorealizzazione possono esistere solo fuori dal lavoro. Oggi il lavoro non è più così e lo deve essere sempre meno. Meglio: il lavoro è stabile quando è passione, creatività, orgoglio. Le migliori imprese stanno cercando faticosamente di andare in questa direzione. Faticosamente significa che sentono la difficoltà culturale (ma l’imperativo competitivo) di abbandonare una concezione puramente “industriale” ottocentesca del lavoro. Le imprese: sia le dirigenze sia i lavoratori …
Passione, creatività, orgoglio nell’innovare e nel produrre. Ma anche, ad esempio, nel costruire sicurezza.
La sicurezza non è solo tecnologia e investimenti. Questi sono necessari, ma non sono sufficienti. L’obiettivo “incidenti zero” lo si costruisce solo con la passione condivisa per la sicurezza. Aggiungendo ai controlli un processo di costruzione di una Comunità che costruisce sicurezza.


...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.