lunedì 31 ottobre 2011

Il conflitto tra giovani ed anziani: una "strategia" disinformata.

di
Francesco Zanotti


Avrei voluto scrivere una strategia frutto di ignoranza, specificando, poi, che l’ignoranza era da intendere in senso “tecnico”: come non conoscenza. Ma avrei attivato rifiuti pregiudiziali e i lettori si sarebbero chiesti da che parte stavo (dei giovani o dei vecchi?).
Allora ho preferito usare un aggettivo meno aggressivo: “disinformato”, appunto.

Ah, credo che il lettore sappia che mi riferisco allo stramediatizzato conflitto tra Renzi e Bersani, ulteriore manifestazione di quel conflitto strutturale tra giovani ed anziani che è inevitabile in una società industriale.

Perché la strategia del conflitto tra giovani ed anziani è frutto di “disinformazione”? La risposta è banale: le scienze cognitive stanno dimostrando con “evidenze” sempre più “evidenti” che le prestazioni del cervello dell’uomo non degenerano (almeno fino a che non interviene qualche  problema fisico), ma evolvono con l’avanzare dell’età. Da giovani si è più portati al particolare, da anziani al generale. Questo significa che giovani ed anziani hanno prestazioni cognitive “complementari”. La disinformazione riguarda la scienza.

Guardano anche solo a livello informativo alle scienze cognitive si scopre, allora, che non ha senso che giovani ed anziani si stiano a scontrare. I giovani hanno bisogno della “saggezza” (è proprio questa espressione che usano alcuni scienziati cognitivi) degli anziani per non perdersi nei confitti o negli specialismi. Gli anziani da soli non possono cambiare alcun che.


Due morali “generali”.
La prima: in un avversario c’è sempre la rivelazione dei nostri errori, dei nostri personali limiti, delle “cose” (valori, issues, profezie) che non abbiamo considerato.
La seconda: una classe dirigente, giovane, vecchia o mista, non può immaginare di cambiare il mondo senza conoscere nulla di come funziona. In questo post ho parlato di scienze cognitive. Ma potevo parlare di fisica quantistica e di mille altre innovazioni in tutte le scienze. Esse sono importanti praticamente (per le innovazioni tecnologiche che generano), ma costituiscono anche (io dico: soprattutto) nuovi linguaggi per parlare dell’uomo e della società. Oggi la nostra classe dirigente (salvo eccezioni, ovviamente) non conosce nulla delle nuove scienze, ma usa, inconsapevolmente, come riferimento concettuale la meccanica classica …
Non illustro ulteriormente questa tesi che è ampiamente discussa in altri post.

Non riesco, però, a non concludere con una serena recriminazione: quando la disinformazione è troppa, diventa davvero ignoranza.

martedì 25 ottobre 2011

Manifesto di ApEC III (Associazione per l’Expo della conoscenza): la sua vision e la sua mission.

Una Associazione globalmente e continuativamente poietica per superare la crisi economica, sociale, politica, istituzionale, esistenziale che ci sta sovrastando, costruendo una nuova cultura ed una nuova società partendo da
un intero universo di nuove conoscenze “trasgressive”.


Parte terza

Far accadere un nuovo Rinascimento
I nuovi modelli, le nuove metafore, i nuovi linguaggi che sono nati nelle scienze naturali ed umane, che, forse da sempre, hanno risuonato nell’arte, nella filosofia e nelle religioni sono solo frammenti sparsi.

Allora la prima cosa da fare è organizzare un processo di raccolta e di sintesi della nuova conoscenza dispersa in una nuova visione del mondo. Non si tratta, però, di cercare un nuovo Galileo che dica, definisca che cosa è la scienza, ma di concepire approcci multipli e concettualmente dinamici capaci di acquisire coerenza, robustezza, affidabilità e consistenza che classicamente erano caratteristiche di un solo approccio considerato quello vero. La strategia non è quella di aspettare.

Una nuova visione del mondo potrà nascere solo da uno sforzo corale, da un processo di creazione sociale di un’intera comunità.

Forse è il caso di specificare che questa comunità non può e non deve essere professionale o specialistica. Non può essere partecipata solo da scienziati, intellettuali, politici o artisti. I protagonisti devono essere tutti. La responsabilità e la passione del futuro deve essere la motivazione e il collante di questa comunità.
L’obiettivo di una comunità “densa” e diffusa non è un’utopia, ma è tecnologicamente realizzabile grazie ad Internet.


lunedì 24 ottobre 2011

Giavazzi, Alesina e il solito piccolo imprenditore

di
Francesco Zanotti


Credo che non ci sia punto di vista più sbagliato di quello presentato oggi sul Corriere della Sera di oggi lunedì 24 ottobre 2011 da Alesina e Giavazzi.
Sbagliato per due ragioni.
La prima è che si insiste su misure macro che non hanno alcun impatto sulla capacità di produrre cassa delle imprese. Oggi è solo l’aumento della capacità di produrre cassa delle imprese che può farci uscire dalla crisi. L’alternativa è che le imprese siano difese e mantenute dallo Stato, ma questo non sembra essere la soluzione più adatta ad una democrazia liberale. Per fare aumentare la capacità di produrre cassa delle imprese occorre fornire nuova conoscenza alle imprese stesse perché sappiano riprogettare la loro identità strategica. Chi abbia voglia di approfondire questa tesi, può leggersi il post di questo blog dal titolo: “Io piccolo imprenditore normale”.

La seconda ragione è ancora più grave: si chiede di eliminare la concertazione. In nome di una presuntuosa e presunta capacità di organi di Governo centralizzati (sia a livello di impresa, che di governo politico). In nome di una presunta efficacia ed efficienza decisionale.

Io credo … no! Non sono io che credo: sono tutte le più attuali conoscenze scientifiche (dalla matematica, alla meccanica quantistica, alle teorie dell’evoluzione, fino alle scienze sociali ed alla filosofia e, per finire e sintetizzare, alla “sistemica quantistica”) che affermano che un sistema complesso(come lo è una impresa o il sistema economico nel suo complesso) non sopporta alcun dirigismo.
Anzi, tutte queste conoscenze reclamano una forma di governo (ancora una volta: a tutti i livelli sistemici) che vada molto al di là della concertazione, ma sia una vera e propria guida ai processi di progettazione sociale. Mi fermo un attimo a livello di impresa e, siccome ho a che fare con accademici, vado con le citazioni. Tutti gli studi più attuali di strategia d’impresa (il libro di Steve Cummings “Images” ne è un’ottima sintesi) rivelano che i processi di sviluppo strategico non avvengono mai a seguito di una progettazione dall’atto, ma sono processi emergenti. Essi vanno guidati con una partecipazione progettuale intensa e diffusa che, anche grazie alle tecnologie attuali, non solo è possibile, ma è anche già praticata.

Io pubblicherò in uno dei primi numeri dell’anno prossimo su di una rivista internazionale di management un caso italiano di progettazione sociale del cambiamento strategico in una “impresa” di circa 10.000 addetti.

Caso mai, il problema è convincere il sindacato a lasciare posizioni conflittuali per partecipare non ad una cogestione (non si costruisce sviluppo partecipando alla gestione perché non c’è niente da gestire, ma tutto da rivoluzionare), ma da una vera e proprio progettazione sociale.

venerdì 21 ottobre 2011

Manifesto di ApEC (Associazione per l’Expo della conoscenza): la sua vision e la sua mission.

Una Associazione globalmente e continuativamente poietica per superare la crisi economica, sociale, politica, istituzionale, esistenziale che ci sta sovrastando, costruendo una nuova cultura ed una nuova società partendo da un intero universo di nuove conoscenze “trasgressive”.


Parte seconda

Solo nuove conoscenze diventano nuove culture e nuove società
 
Da dove partire?

Per rispondere a questa domanda basta evidenziare quali sono state le dinamiche di sviluppo della nostra società attuale: la risorsa poietica fondamentale è stata una conoscenza per quei tempi, profondamente trasgressiva.
Infatti, l’attuale società industriale è nata da una nuova visione del rapporto tra l’uomo ed il mondo che Galileo ha suggerito nelle sue linee essenziali. Partendo da questa nuova conoscenza (di una trasgressività letteralmente “cosmica”), attraverso un processo emergente (cioè non prescritto, ma dato da un numero limitato e variabile di regole) e spontaneo, si sono generati, contemporaneamente e sinergicamente, un grande sistema di pensieri (la scienza “classica”, ontologica e specialistica), e un modello di società culturalmente coerente (la società industriale, assimilata ad una macchina).

Parallelamente si è venuto formando un ideale di Governo di tipo dirigistico-specialistico (il Governo come calcolo ottimizzante che si è concretizzato nel management prometeico e in quella particolare forma di democrazia che è la democrazia rappresentativa).

L’obiettivo perseguito (e indiscutibilmente raggiunto) dai protagonisti spontanei (scienziati ed imprenditori) di questo processo emergente è stato quello di aumentare la qualità della vita (intesa come soddisfacimento sempre più esaustivo dei bisogni “igienici”) dell’uomo cercando, coerentemente con la visione suggerita da Galileo e progressivamente arricchitasi, un dominio sempre più completo sulla Natura attraverso la costruzione (con la tecnologia resa possibile dalla scienza) di una natura artificiale che fosse più accogliente di quella naturale.

mercoledì 19 ottobre 2011

Manifesto di ApEC (Associazione per l’Expo della conoscenza):la sua vision e la sua mission.


Un'Associazione globalmente e continuativamente poietica per superare la crisi economica, sociale, politica, istituzionale, esistenziale che ci sta sovrastando, costruendo una nuova cultura ed una nuova società, partendo da un intero universo di nuove conoscenze “trasgressive”.


Parte prima

Una analisi trasgressiva e mobilitante di una crisi complessiva
La visione oggi dominante della crisi complessiva che ci sovrasta è di tipo conservativo, lineare, quindi specialistico: i problemi attuali sarebbero generati da malfunzionamenti dei diversi attori che costituiscono una società (imprese, organizzazioni, istituzioni, mercati etc.).

Se i malfunzionamenti sono specifici e locali, allora sono necessarie strategie di “riparazione” locali e specialistiche dei “guasti”. Per “riparare” si intende: riformare le istituzioni, ristrutturare, per rendere più competitive, le organizzazioni, regolamentare i mercati finanziari.

E’ una visione che viene perseguita con tenacia, ma non sta riuscendo a trasformare la crisi in sviluppo. Anche quando i singoli interventi “locali” ottengono un qualche successo, si tratta di un successo effimero che crea le basi per problemi ancora più gravi.

Gli autori di questo manifesto propongono una visione radicalmente diversa della situazione che stiamo vivendo.

La comunità umana è immersa in un’intera ecologia di crisi che, da un lato, si stanno sostenendo le une le altre con intrecci multipli e non certo monodimensionali. E, dall’altro, sono tutte manifestazioni diverse di una stessa crisi complessiva: una progressiva perdita di senso della nostra società attuale e della cultura che la sostiene.

Una rivoluzione progettuale
Se una società ed una cultura stanno perdendo di senso, allora le strategie “di riparazione” (ristrutturazione, regolamentazione, ricerca della competitività etc.) sono strategie controproducenti perché confermano, consolidano il modello sociale attuale e della sua cultura di riferimento. E, così facendo, invece di risolvere l’ecologia di crisi che ci minaccia, la nutrono, l’accelerano.

Se una società ed una cultura stanno perdendo di senso, è necessario adottare strategie completamente diverse: invece di ristrutturare è, allora, necessario “rivoluzionare”.

Per togliere ogni sapore “retro” al verbo “rivoluzionare” specifichiamo che diamo a questa parola una valenza “costruttiva”: non si tratta di distruggere il passato ed attendere che emerga, dalle macerie, un nuovo futuro. Si tratta di progettare, consapevolmente, una nuova cultura ed una nuova società.

lunedì 17 ottobre 2011

Violenza, conoscenza, partecipazione, futuro:l’Associazione per l’Expo della conoscenza.

di
Francesco Zanotti

Sono poche e semplici la cose da fare per evitare di rivedere (certo in tono minore) i drammi degli anni ’70.
Innanzitutto, dobbiamo metterci in testa qualche banale (anche se dura) verità.

La prima è che dobbiamo piantarla di pensare ad aggiustare il mondo attuale: è necessario riprogettarlo da capo. Purtroppo stiamo ancora a discutere della crisi finanziaria. Essa è solo una manifestazione, un sintomo di una crisi più complessiva. Curare il sintomo invece della malattia (un modello sociale complessivo che ha esaurito la sua funzione storica) è un delitto di lesa umanità.

La seconda cosa di cui ci dobbiamo convincere è che noi, generazione oggi al potere (i leader economici, sociali, politici e culturali attuali), non siamo assolutamente in grado nè di progettare un nuovo modello sociale, né di gestire la progettazione.

Forti di queste due nuove convinzioni, cosa possiamo fare noi che continuiamo ad essere classe dirigente?

La mia risposta è semplice: fornire ai giovani le conoscenze e le metodologie necessarie per attivare intensi processi di progettualità sociale. Forniamo linguaggi e suggerimenti di processo. Poi, sapranno loro costruire il mondo nel quale dovranno vivere.

Il problema, però, è che noi per primi non abbiamo queste conoscenze.
Innanzitutto, siamo una classe dirigente che utilizza un insieme di conoscenze molto povero: siamo legati ad una caricatura della visione del mondo di Galileo, non conosciamo nulla della rivoluzione che è in atto nelle scienze naturali ed umane. E pensare che i modelli e le metafore che stanno nascendo sia nelle scienze naturali che nelle scienze umane permetterebbero di riprogettare il mondo attuale.
Poi, siamo una classe dirigente che rifiuta la conoscenza. E’ intrappolata in auto rappresentazioni che raggiungono il ridicolo. Vive di una conflittualità esasperata che ha come unico obiettivo quello di sopraffare l’avversario. Il nostro ideale è quello di annullare completamente le idee dell’avversario in nome di qualche nostra ideologia poveraccia. Come alibi per non affrontare nuove conoscenze, diciamo che le conoscenze sono dei tecnici. A noi le grandi scelte e decisioni politiche. Non sapendo che anche in queste nostre scelte e decisioni politiche usiamo modelli e metafore. Il problema è che sono, gli uni e le altre, troppo banali.

Quindi? Quindi abbiamo deciso di agire. Abbiamo fondato un’ Associazione che abbiamo definito “Associazione per l’Expo della conoscenza”. Essa vuole attivare un grande progetto di ripensamento della conoscenza e della società. Un progetto che metta insieme il ricercare e l’usare. Un progetto che deve vedere collaborare giovani ed adulti, anche per il semplice motivo che le menti mature e quelle giovani hanno prestazioni complementari. Questa complementarità, essenziale alla vita, è stata nel passato nascosta da due assolutizzazioni altrettanto devastanti: quella dell’esperienza e il suo opposto, quella del giovanilismo.

Ovviamente la partecipazione alla Associazione è libera.
A partire da mercoledì, pubblicheremo “a puntate” il manifesto dell’Associazione e, quindi, renderemo disponibile sul blog il suo Statuto.

giovedì 13 ottobre 2011

Il Sole 24 Ore ed Alan Turing: perché “confondere” i lettori?

di
Francesco Zanotti


Sul supplemento domenicale del Sole 24 Ore di domenica 9 ottobre 2011, in prima pagina, è pubblicato un articolo su Alan Turing, a firma di Daniel Dennet.

Credo che nel leggerlo molti esperti di epistemologia, matematica, intelligenza artificiale ed altri siano saltati sulla sedia dalla sorpresa ed abbiano provato, nel contempo, una profonda tristezza.
E’ un articolo ideologico e scientificamente non informato.

Obiettivo del mio post è quello di dimostrare queste affermazioni.
E, poi, di farmi e di fare pubblicamente qualche inevitabile domanda sulle politiche editoriali che guidano la preparazione dell’inserto domenicale del Sole 24 Ore.


In sintesi, il Prof. Dennet sostiene che verrà un giorno in cui vi saranno macchine così veloci da arrivare ad avere una intelligenza superiore a quella dell’uomo.

Per evidenziare l’inconsistenza scientifica di questa tesi citerò autorevolissimi autori (Turing stesso) che sostengono la tesi opposta: che la mente umana non è algoritmica e che, quindi, non può essere né simulata, né tanto meno superata da un computer digitale.

Inizio da un fisico (il Prof. Ignazio Licata) che nel suo libro “La logica aperta della mente” illustra chiarissimamente e dettagliatamente che la mente umana non può essere solo algoritmica. Invito il Prof. Dennet e coloro che hanno scelto di pubblicare questo articolo, meta-comunicando (con enfasi, visto che non si fa alcun accenno a diffusissime tesi opposte) che esso racconta una verità scientifica, a leggere attentamente questo libro.

Leggo la pagina 23 della prefazione del libro citato: “A dispetto dei suoi numerosi successi tecnologici, l’insegnamento più grande delle ‘menti artificiali’ è quello di mostrare le profonde differenze tra i processi cognitivi umani e quelli artificiali."

Ma non mi fermo al Prof. Licata. Anche se nel suo libro egli propone una vastissima letteratura a sostegno delle sue tesi. Mille altri autori (fisici, biologi, neuroscienziati) sostengono tesi simili alle sue.

Voglio citare ancora solo Stuart Kaufman, autore che non dovrebbe avere bisogno di presentazione. Egli nel suo libro (edizione italiana) “Reinventare il sacro”, a pagina 185, scrive “Non abbiamo una teoria della mente umana e men che meno una teoria adeguata che dimostri la sua natura algoritmica”.

Finisco con una frase pronunciata da Alan Turing nella conferenza tenuta il 20 febbraio 1947 alla London Mathematical Society “… se si aspetta che la macchina sia infallibile, allora non può essere anche intelligente”. La frase è riportata nel libro citato del Prof. Licata a pag. 107.

Provo a sintetizzare le opinioni precedentemente citate in una sintesi che mi piacerebbe discutere sia con il Prof. Dennet sia con chi ha scelto di pubblicare il suo articolo: la mente non è (solo) una "macchina veloce", una "cosa", ma un processo di accoppiamento con il mondo, impossibile dunque da "zippare" in un algoritmo.

Credo che tutto quanto detto basti a dimostrare che la tesi che il Prof. Dennet spaccia per verità scientifica, non solo non è dimostrata, ma vi è un crescente consenso sul fatto che sia una tesi errata. Come minimo, almeno, da non assolutizzare.
Ma se è così, ecco il problema chiave che voglio proporre: perché Il Sole 24 Ore propone ai suoi lettori le tesi del Prof. Dennet come verità scientifica, senza alcun dubbio o contraddittorio?
E voglio aggiungere: perché sceglie questo modo per aprire la strada alla celebrazione, nel 2012, del centenario della nascita di Turing, invece di avviare un serio ed approfondito dibattito sulla scienza e la ricerca?

Io non tento di dare una risposta. Ma credo che Il Sole 24 Ore dovrebbe darla. E i suoi lettori dovrebbero chiederla.

lunedì 10 ottobre 2011

Ho ascoltato Marcegaglia e poi ho visto “Dossier”

di
Francesco Zanotti


Ieri sera, alla trasmissione di Fabio Fazio ho ascoltato le idee di Emma Marcegaglia. Il mio commento fondamentale: ho visto la voglia di conservare il sistema economico esistente, impersonificata. Non ho sentito nessuna parola sulla conoscenza. Poi … tante idee “discutibili”. Ad esempio, quella che il mercato funziona con le regole: sono le burocrazie che funzionano con le regole…

Ma andiamo con ordine.
Le misure proposte (non per niente definite “riforme”) sono le solite: liberalizzazioni, fisco, pensioni, riforme istituzionali, infrastrutture. Accenni all’innovazione tecnologica.
Ma nessuno si accorge che, innanzitutto, sono misure ininfluenti sul breve: non permettono di pagare stipendi ed aumentare occupazione? Salvo forse le infrastrutture, ma il fare infrastrutture genera occupazione stabile solo se si continuano a farle …
E qui arriva la grande incomprensione: sono dannose sul lungo termine. Non serve cambiare il “contorno” all’attività di impresa. Occorre immaginare nuove imprese. Poi progetteremo il contorno adatto a questa nuova imprese.

Credo che sia oramai documentatissima la necessità di un nuovo sistema economico. Non è più possibile sviluppare all’infinito quello attuale. Sono necessari prodotti e sistemi produttivi completamente diversi da quelli attuali. Lo sviluppo ulteriore dei prodotti e sistemi produttivi attuali è assolutamente incompatibile con l’ambiente naturale. Le esigenze delle persone cambiano, quindi, perdono interesse per gli attuali prodotti. Quella degenerazione del mercato che si chiama competizione, inevitabile se tutti fanno le stesse cose di sempre e queste sono sempre meno appetibili, costringe a considerare le persone come strumenti di produzione da far funzionare nel modo più efficiente possibile e pagare il meno possibile.

Un nuovo sistema produttivo necessita di un nuovo sistema finanziario, distributivo ed infrastrutturale. Nota: non basta parlare di infrastrutture, bisogna dire quali … E le infrastrutture progettate oggi servono a far funzionare meglio l’attuale sistema economico. Peccato che vada cambiato.
Poi ho visto il servizio di Dossier sull’agricoltura. Non ne condivido la continua accusa ai trasformatori di prodotti agricoli. Ma il servizio ha dimostrato chiaramente che la battaglia competitiva, tipica di mercati che non si rinnovano, sta distruggendo la nostra capacità di lavorare la terra. Cioè di produrre cibo.

La grande incomprensione… Mi ripeterò, ma sembra che “repetita Juvant”: non serve conservare, occorre riprogettare tutto da capo.
E qui arriva la conoscenza. E’ il caso di dirlo: quella sconosciuta. Che c’entra la conoscenza? Non voglio fare il solito richiamo alla innovazione ed alla formazione. Formazione che, poi, è rivolta solo ai giovani, con la speranza di “metterli in forma”, la forma che serve all’interno della società attuale. Voglio parlare della conoscenza come risorsa progettuale.

Noi siamo le conoscenze (modelli e metafore) di cui disponiamo.
Esse sono i filtri con cui guardiamo il mondo. Sono occhiali “cognitivi” che colorano, selezionano.
Esse sono gli strumenti con cui progettiamo il nostro e altrui agire.
Esse sono i linguaggi con cui raccontiamo il mondo che vediamo e come vogliamo trasformarlo.
La nostra “competenza” di governo dello sviluppo è direttamente proporzionale alla qualità della conoscenza di cui disponiamo.
Ma il patrimonio di conoscenze fondamentali della classe dirigente non cambia mai



In particolare, i modelli e le metafore che usa la classe dirigente attuale sono ispirati alla fisica classica.
E la fisica classica propone una visione riduzionista, programmabile, gerarchica del mondo. E’ la fisica classica che propone l’ideale della stabilità. E’ la fisica classica che sta alla base di tutti gli Stability Forum.
E’ la fisica classica che ci guida a progettare Piani Strategici burocratici. E’ la fisica che suggerisce di lasciare agli esperti la conoscenza ed occuparsi solo di “politica”.
Noi, però, non abbiamo bisogno di stabilità.

Gli imprenditori, come Steve Jobs, non cercano stabilità. Vogliono costruire un nuovo mondo. Credono che la stabilità sia conservazione. Essi hanno, anche se inconsapevolmente, le nuove scienze nel sangue. In particolare hanno nel sangue quella nuova visione del mondo che è costituita dalla fisica quantistica che indica una precisa strada dal basso per costruire un nuovo sistema economico ed una nuova società.
In particolare, suggerisce di guardare all’ambiente in cui si muovono le diverse organizzazioni come ad un vuoto quantistico in tempesta da cui emergono autonomamente cambiamenti continui.

Suggerisce di guardare all’Attore di governo come Operatore Quantistico che fa condensare il turbinio del vuoto in nuclei di futuro.

Rivela che la ricerca della stabilità è solo autoreferenzialità in atto. Cercando stabilità, si genererà solo una progressiva perdita di significato dell’attuale sistema economico-finanziario e delle attuali istituzioni.

Una classe dirigente che voglia veramente costruire sviluppo, soprattutto quella parte che considera la stabilità come condizione per costruire sviluppo (i banchieri, i politici, gli alti burocrati, ad esempio), non può continuare ad arroccarsi, anche inconsciamente, nella fisica classica.
Deve immergersi nella innovazione “cognitiva” (nuovi filtri, strumenti, linguaggi) costituita dalla fisica quantistica. E in molte altre scienze naturali ed umane.
Coraggio, saliamo sulle spalle dei Giganti. Meglio: iniziamo a scalare la montagna della conoscenza.

La formazione per i giovani… certo. Ma soprattutto, velocemente ed urgentemente, una formazione intensa e diffusa sule nuove scienze per una classe dirigente che si sente irragionevolmente “imparata”. E che, per questo, attua una progettualità che è solo rimescolamento. Costruisce i mondi futuri con i cubetti di Lego che possiede. Poiché sono sempre gli stessi cubetti, non fa che re-immaginare sempre lo stesso mondo. Che ci si sta sfaldando sotto i nostri piedi.

giovedì 6 ottobre 2011

Steve Jobs: in memoria. Saliamo sulle spalle dei giganti

di
Francesco Zanotti


“Ei fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore, orba di tanto spiro.”
Egli fu, ma la sua storia rimarrà nei nostri cuori.
E, però, non domandiamoci “quando una simile orma di pie’ mortale” segnerà ancora le nostre terre, accompagnerà i nostri passi.

Oggi abbiamo bisogno di mille Steve Jobs. Persone, gruppi di persone capaci di costruire i segni della civiltà prossima ventura. Dobbiamo immaginare nuovi manufatti e nuovi modi di produzione; una nuova economia ed una nuova finanza; nuove citta, nuove infrastrutture e nuovi trasporti, nuove logiche di convivenza, nuove modalità di governo e nuove istituzioni.

Oggi possiamo e dobbiamo diventare tutti profeti di una nuova società. Il metodo ce l’ha insegnato un Signore dei bei tempi antichi, nato nel Natale del 1642: salite sulle spalle dei Giganti. Così anche se siete piccoli, vedrete più lontano dei Giganti stessi.

lunedì 3 ottobre 2011

Ragazzi e moneta: perché ostinarsi a insegnare “leggi” inesistenti?

di
Francesco Zanotti


Ho letto la prima puntata di una serie di articoli dedicati, come annuncia Il Sole 24 Ore, "alla stampa del denaro ed alla inflazione”. E’ scritta da un economista autorevole: Fabrizio Galimberti.

Certamente iniziativa lodevole. Ma lasciatemi aggiungere qualche “ma” … e finire con una proposta.

Il primo “ma” è banale: forse sarebbe stato meglio spiegare che il vecchio gioco delle parti tra Banca Centrale e Stato nell’usare il “potere monetario” è, per noi europei, un pizzico complicato dal fatto che vi è la Banca Centrale Europea, ma non un Governo Europeo votato dai cittadini. Ed una banca Centrale un po’ particolare che si è messa a dare suggerimenti (pesanti) agli Stati. Suggerimenti che vengono usati  dai nostri politici come occasione per combattersi … Tutto questo complica ulteriormente il gioco della moneta dall’ illuministica semplicità proposta nell’articolo. Forse ne altera radicalmente le regole …

Il secondo “ma” riguarda la generazione dell’inflazione. Galimberti suggerisce che si crea inflazione solo se i soldi stampati vengono usati per i consumi. Se rimangono all’interno del gioco della finanza, no!
Per la parte che riguarda la finanza, mi sembra una “legge” un po’del tipo “Cicero pro domo sua”. Mi sembra, poi,del tutto non dimostrata per la parte che riguarda noi tutti poveri mortali. Lascio stare la finanza e mi occupo di tutti noi semplici consumatori.

...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.