martedì 30 novembre 2010

Fazio, Saviano, Paolo Mieli, la riforma della scuola … un discorso difficile


Chi mi dà una mano?
Ieri sera (29 novembre 2010) ho visto la trasmissione di Fazio e Saviano: "Vieni via con me". Emotivamente forte, anche se forse malinconica, un po’ troppo intimista nella prima parte. Di forte denuncia nella seconda. Dopo aver visto la seconda parte, la denuncia mi è parso fosse risuonata anche nella prima.
Appena prima, avevo ascoltato le notizie dei telegiornali che hanno raccontato delle battaglie degli studenti che denunciavano con azioni (giustamente) goliardiche e con slogan incisivi i guasti della Riforma Gelmini.
Prima di addormentarmi, sono riuscito a comprendere la ragione del disagio che tutto questo denunciare mi lasciava. Non era certo per il fatto che le denunce fossero sbagliate. Soprattutto quella di Saviano era puntuale, credo difficilmente discutibile. Era il fatto che, in questi ultimi 40 anni, abbiamo vissuto solo di denunce. Io sono della generazione del ’68, esperta in denunce. E alle denunce non sono mai seguite proposte all’altezza (eticamente e concretamente) delle denunce stesse.

martedì 23 novembre 2010

Imprenditoria aumentata, l'unica cosa di cui abbiamo bisogno..ci stiamo arrivando (un post che inizia negativo..ma poi fa una svolta!)

Ho sentito recriminare importanti persone del nostro sistema imprenditoriale sul fatto che non ci sarebbe la crisi se non avessimo avuto così tanti anni di pace. La guerra, infatti, è il miglior rigeneratore dell'economia e , tra l'altro, favorisce la circolazione ed il ricambio delle elites....a parte il cinismo di questa osservazione - che implica di potersi rallegrare di terremoti ed alluvioni perché aumentano il PIL- , rattrista capire come queste persone abbiano perso (se mai l'hanno avuto) ogni briciolo di imprenditorialità.
Nelle università si ripete il rito dell'occupazione autunnale, a seguito dell'ennesima riduzione dei fondi pubblici (e con la situazione di bilancio che c'è tutto si riduce); passeggiando in uno dei campus vedo tabelloni e richieste che auspicano servizi e disponibilità dell'università verso gli studenti che, 15 anni fa in Inghilterra erano abitudine consolidata e scontata. Studenti e professori (a volte) si lamentano e cercano risorse laddove non ce ne sono, e non riescono ad immaginare nuove vie.
I creativi, i designers, i pubblicitari, i ricercatori, i consulenti, gli avvocati e tante altre professioni intellettuali (mi vengono in mente anche gli architetti e psicologi) oltre a tutti gli operatori del sociale e del pubblico impiego, versano in condizioni sempre peggiori da anni, ma dalla “miseria” non esce proposta, a volte manco la protesta.
La parola che descrive tutto questo non è decrescita ma spegnimento.

lunedì 22 novembre 2010

Expo 2015 al di là della sostenibilità … per forza!


La mia riflessione parte da una ipotesi che, credo, sia condivisa: la società attuale (la società industriale) ha chiuso il suo ciclo vitale. E’ diventata strutturalmente insostenibile. E’, quindi, necessario costruirne un’altra. Un nuovo sviluppo avverrà attraverso un nuovo modello di società, radicalmente diverso da quello attuale.

La parola, il valore della sostenibilità serve a sintetizzare le ragioni per le quali la società attuale non può più permetterci di costruire un nuovo sviluppo. Ma non può servire a scoprire quale nuovo sviluppo sia possibile ed a costruirlo. Anzi, rischia di diventare una delle tante parole “valigia” all’interno della quale si riesce a far stare tutto e il contrario di tutto. Un valore retorico da proclamare nei convegni e non da declinare nella pratica.

martedì 16 novembre 2010

Il Papa, l’Expo come cammino e tutti noi


Il discorso di domenica di Papa Benedetto XVI è stato accolto con grande sorpresa dal mondo laico. Con meno sorpresa, ma certo non con indifferenza dal mondo cattolico.

Si tratta di un messaggio contenutisticamente importante che si unisce a quello di tutti coloro che stanno tentando di dire che la crisi scatenatasi due anni fa, non è frutto di una grave, ma localizzata crisi finanziaria. Ma è solo il sintomo di una crisi complessiva che richiede un vero e proprio cambio di civiltà.

venerdì 12 novembre 2010

Ma vogliamo piantarla con… Parte prima: le riforme istituzionali


Abbiamo una serie di parole che ci ossessionano, che descrivono obiettivi che riteniamo assolutamente imprescindibili per evitare immani catastrofi. Tra queste parole ci sono certamente: riforme istituzionali, stabilità, competitività, produttività, governabilità.

Ebbene, scriverò quattro piccoli post (che, poi, raccoglierò in un documento) nei quali cercherò di convincere che si tratta di obiettivi insensati. Poi, ne scriverò un altro con una proposta di obiettivi alternativi. Ma dopo. Prima è necessario sgombrare il campo da una zavorra cognitiva (le parole-obiettivo insensate) che stanno assorbendo, per fortuna inutilmente (per fortuna non riusciamo a realizzarli, così limitiamo i danni), le nostre energie personali e sociali.

Cominciamo dalle riforme istituzionali.

mercoledì 10 novembre 2010

Ma ci prendiamo in giro? Tentiamo di aiutare le classi dirigenti con un corso di meccanica quantistica


Ho letto ieri mattina, sul Sole 24 Ore, in un articolo a firma di Marco Fortis, che, secondo l’indice di competitività elaborato da Onu e WTO, che si chiama Trade Performance Index (TPI), l’Italia è al secondo posto, dopo la Germania nella classifica dei dieci paesi più competitivi al mondo.

Sono rimasto molto sorpreso e mi sono documentato: tutto esatto. Rendiamo disponibile un Paper che spiega a chi fosse interessato a capire di più cosa è il TPI.

Ma allora qualche domanda sorge spontanea: non abbiamo sempre detto che noi, quanto a competitività, facciamo schifo? Che abbiamo bisogno di Progetto Competitività che coinvolga tutto il Paese. Non hanno sempre detto tutti queste cose? Ed allora?

domenica 7 novembre 2010

Nicolas Bourbaki, e i nostri leader … Da Berlusconi a Marchionne, passando da Bersani e dai rottamatori


Sull’inserto domenicale del Sole 24 Ore (domenica 7 novembre 2010) leggo la storia di Nicolas Bourbaki, nome collettivo con il quale un gruppo di giovani matematici, per lo più francesi, tra la fine degli anni trenta e gli inizi degli anni sessanta del secolo scorso ha provato a riscrivere tutta la matematica. Il loro portavoce è stato, a lungo, Jean Alexandre Eugène Diedonné, che l’autore dell’articolo non cita.
A quanto riferisce il “The Princeton Companion book of mathematics”, pag. 824, il gruppo è ancora attivo nella prima decade di questo nuovo secolo

Ho comprato anch’io i volumi di Bourbaki, anche se quando frequentavo l’università nessuno me ne aveva parlato… Era “strano” volevo capire fino in fondo… E l’approccio di Bourbaki mi piaceva molto… anche se poi molta acqua è passata sotto i ponti.
Bourbaki appartiene all’età strutturalista. Il suo approccio è poi stato “superato” da altri approcci fondazionali, come la teoria delle categorie… Ok, non è il caso di andare oltre con l’approfondimento.

Ma perché parlo di Bourbaki?

venerdì 5 novembre 2010

Una nuova conoscenza per costruire un nuovo sviluppo

di
Francesco Zanotti

E’ evidente che le classi dirigenti non sono ancora riuscite a trovare il bandolo della matassa della crisi. La crisi continua, anzi, continua a manifestarsi in modalità sempre diverse in diversi “pezzi” e “luoghi” della nostra società.
Non riuscendo a capire da dove viene questa crisi, non si riesce neanche a trovare il modo per uscirne. Anche i “profeti” più osannati, ad esempio, Obama e Marchionne (e, poi, non osannati da tutti) ) non riescono a costruire progetti di sviluppo alti, forti e condivisi.

Obama ha raccontato solo sogni generici. Tante buone, e piccole, intenzioni, ma nessun percorso mobilitante e convincente per realizzarle.
Marchionne racconta solo sogni “costretti”. Costretti da una competizione che spinge tutti verso la stessa strada che diventa sempre più fatta di lacrime, sangue e conflitti. Sogni costretti che somigliano sempre più ad incubi: sopravvivrà solo chi accetta di faticare sempre di più per guadagnare sempre di meno (gli operatori) e rischiare sempre di più (chi finanzia l’impresa).

Come riuscire a costruire un nuovo sviluppo attraverso la realizzazione di grandi sogni?

giovedì 4 novembre 2010

Obama e i sogni piccoli piccoli

… e anche generici generici!
Obama ha perso e i commentatori si perdono a riproporre la  vecchia e sterile contrapposizione tra “sognatori” e “pragmatici”: sì, vanno bene i sogni, ma, poi, occorre tornare per terra.  Si tratta di una contrapposizione che è un caso particolare di una contrapposizione più generale tra “teoria” e “pratica”.
E’ ora di piantarla!.
Obama non ha perso perché aveva grandi sogni che la società americana non ha capito o lui non è riuscito a far capire. Obama ha perso perché i suoi sogni erano piccoli e generici. Troppo simili alla retorica.

martedì 2 novembre 2010

Marcegalia, Guidi e Bloch .. Ma sì, il filosofo


Stamattina (31 ottobre 2010) leggiucchiando: dal Sole 24 Ore al Corriere alla ultima edizione della Enciclopedia Filosofica Bompiani... Le cose che non vanno e le soluzioni che sono peggio.
La denuncia, indignazione da parte di Emma Marcegaglia e Federica Guidi perché in Italia non si fanno le riforme che potrebbero rilanciare il Paese perchè i politici sono affaccendati nelle loro beghe (che sono sempre meno nobili) di potere.
Per carità, le due Signore dell’industria italiana hanno certamente ragione: alle liti sarebbe meglio una azione riformatrice che ridesse competitività alle imprese di questo Paese.
Ma… poi ripensandoci, no, non hanno ragione! Meglio: certamente occorre piantarla subito con liti che diventano sempre più squallide. Ma non serve pensare a riforme e competitività.
Tesi ardita, ma inevitabile. E’ guardando ad essa che riusciremo a costruire un nuovo sviluppo …
Provo a dettagliare ...

...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.