di
Francesco Zanotti
Io credo che il cambiare parole sia la pietra angolare di ogni cambiamento. Non si cambia nulla se non gli si cambia nome.
Questa massima vale anche per il lavoro. Io propongo di cominciare a dire che il lavoro è un valore. Se è un valore, è automaticamente un diritto: chi non acquista qualcosa che ha un intenso valore? Il valore va oltre il diritto …
Lasciatemi dettagliare …Oggi siamo fermi al lavoro come diritto. Questo cosa comporta?
Se il lavoro è solo un diritto, allora si cerca qualcuno presso il quale far valere questo diritto. Ed oggi non lo si trova. Chi dovrebbe garantire questo diritto? Le imprese? Purtroppo non hanno i soldi per farlo. La competizione ha oramai azzerato i margini di troppe imprese. Anche se volessero garantire il diritto al lavoro, anche se gli fosse imposto per legge di garantirlo, potrebbero farlo solo formalmente: assumendo. Ma, poi, non potrebbero farlo sostanzialmente: pagando lo stipendio. Dovrebbe garantirlo lo Stato? Al di là del fatto che se è lo Stato che garantisce il lavoro, significa che stiamo costruendo una società collettivista di uno stampo che abbiamo già visto non funzionare, vi sta il fatto che anche lo Stato non ha i soldi per farlo. Se le imprese non guadagnano, non pagano le tasse. Le crisi dei debiti pubblici impedisce ulteriori debiti. Se il lavoro è solo un diritto, allora, non c’è nessuno che sia in grado di soddisfare questo diritto. Un diritto senza interlocutori.
Pensiamo ora al lavoro come valore. Cioè a persone che hanno conoscenze ed abilità alle quali viene riconosciuto un valore. Le cose cambiano radicalmente: chi è dotato di questa conoscenze ed abilità viene cercato perché produce valore. Si auto garantisce il diritto al lavoro.
Ma vediamo quali conoscenze ed abilità.
Immaginate che una fabbrica abbia operai che riescano ad auto progettare nuovi processi produttivi e che dialoghino con i clienti (e piantiamola di chiamarli consumatori. Si consuma la pancetta perché la si mangia. Non si consuma un telefonino: lo si usa!) per progettare nuovi prodotti. A nessuno verrebbe in mente di licenziarli. Anzi sarebbero considerati la risorsa fondamentale per risalire la china della produzione di valore.
Immaginate che in una scuola gli insegnanti progettino insieme agli studenti grandi progetti di ricerca, invece che impartire lezioncine e dare votarelli. I ragazzi imparerebbero anche tutti i contenuti (non contenutarelli) che servono e ne produrrebbero di nuovi. Si tenga presente che lo stato di tutte le scienze è quello di una trasformazione profonda che non richiede grandi laboratori per essere risolta, ma una nuova generazione di pensatori generosi, come possono essere generati solo da comunità esistenzialmente intense, come quelle delle scuole. A queste scuole nessuno verrebbe in mente di tagliare alcunché, ma troverebbero mille imprese, organizzazioni non profit, fondazioni interessate a finanziare il loro costruire conoscenza.
Mi si può obiettare: non esistono lavoratori, studenti e professori dotati di queste conoscenze ed abilità. Non è vero! E se anche fosse vero, è una bazzecola: esistono lavoratori, studenti e professori che possono cercare il lavoro come valore. Ed a loro si possono facilmente ed in breve tempo fornire tutte quelle conoscenze che gli potrebbero mancare. Anzi: potrebbero cercarsele da soli se davvero tutti noi si cominciasse a credere realmente nel lavoro come valore.
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