sabato 29 maggio 2010

Tra teoria e pratica … un bel binomio per cambiare il mondo

Ho appena letto un interessante reazione di G.M. al mio post dal titolo “Provo a rispondere e rimando”. Invito a leggerlo e propongo pochi ulteriori commenti. Lo sfrutto, poi, per fare un discorso generale.
I brevissimi commenti.
Il primo: credo davvero che la sistemica quantistica costituisca una prospettiva da esplorare per cambiare il mondo. Credo che occorrerebbe qualche impegno di più dei fisici per svilupparla …
Sulle “diverse sfere del mondo” e sulla sfera del pensiero, credo che occorra tener presente che certamente esiste una sfera del pensiero, ma credo che essa non sia direttamente accessibile: non siamo telepatici. Allora, i nostri pensieri sono accessibili solo attraverso le concretizzazioni fisiche che ne facciamo. La parola, lo scritto, le opere d’arte… Allora, occorre ripensare profondamente ad alcune cose. Sto per pubblicare sul blog un librettino dal titolo “Le dinamiche dello sviluppo. Ovvero le onde che diventano isole” …
Ma il tema che volevo proporre al dibattito era un altro. Io credo che sia completamente tramontata una visione riduttivista della scienza. Ciononostante, continua in troppi campi della scienza a imperversare un riduttivismo spesso radicale.
Faccio degli esempi: la fisica teorica si gingilla ancora con enormi macchinoni sempre più grandi che cercano
le “componenti ultime”, la teoria del tutto. Craig Venter considera la cellula come una macchina. L’autore di una Famoso libro sulla “Singolarità” (Ray Kuezweil) considera ancora il cervello come un calcolatore elettronico che può essere superato da calcolatori più potenti.
Questo riduzionismo ad oltranza, oltre ad essere superato, sta diventando anche pericolosissimo a molti livelli. Il primo è che impedisce a nuovi paradigmi di svilupparsi. Il secondo è che può fare danni drammatici, sia perché fa buttare via miliardi, ma, soprattutto, perché, quando si tocca la materia biologica ed il cervello con questa prospettiva, non si possono che generare gravi drammi.
Non sto parlando di limiti etici alla scienza. Sto contestando l’utilizzo di una visione scientifica troppo semplicistica
Mi piacerebbe sapere che pensano i lettori di questo blog.
Ultima nota che riprende, finalmente, il titolo del post. Mi fa molto piacere che questo blog stia diventano multidimensionale, saltando tra “teoria” e pratica (esempio l’economia). Non abbandoniamo questa vocazione “complessiva” …

venerdì 28 maggio 2010

Le parole da aggiungere ... guardando l'Ipad e la scienza

Vorrei aggiungere qualche parola al discorso che ieri (27 maggio 2010) ha tenuto il Presidente Confindustria alla Assemblea annuale di Confindustria nella quale si sono celebrati i 100 anni dell’Associazione.
Prima, però, è doveroso un piccolissimo riassunto, i dettagli sono su tutti i giornali, delle proposte/richieste di Emma Marcegaglia. Esse sono telegraficamente sintetizzate da Franco Locatelli nel suo fondo sul Sole di oggi (28 maggio 2010): 
  • infrastrutture, 
  • energia, 
  • ricerca, 
  • capitale umano, 
  • fisco, 
  • giustizia, 
  • concorrenza 
  • legalità.
Che altro aggiungere? 

giovedì 27 maggio 2010

Provo a rispondere ... e rimando a ...


E’ molto difficile rispondere esaurientemente all’incalzare del Sig. G… Ma ci provo.

Oggi, i cittadini si attendono proposte sulle quali scegliere. E si attendono che coloro che si affacciano alla vita pubblica abbiano queste proposte.
Bene, ma di quali proposte si può trattare? Vi possono essere proposte di contenuto. Del tipo: secondo noi., il sistema industriale italiano deve evolvere in questo modo, del sistema finanziario deve accadere così e così, le riforme istituzionali devono essere queste e quelle, etc. Proposte concretamente di contenuto di fronte alla quali scegliere.

Ecco, io credo che questo metodo non funzioni. Non permetta di costruire strade di sviluppo non solo condivise, ma emozionanti, sulle quali costruire una emozionante storia esistenziale. Porta a costruire percorsi di compromesso, sempre più difficili da costruire e sempre più banali. Porta al presente incartamento economico, sociale, politico, istituzionale e culturale.

Credo che funzioni un altro metodo. Ed è il seguente. Chi vuole fare politica, come noi, deve fornire stimoli e strumenti progettuali. Gli stimoli che abbiamo fornito sono le domande di cui sopra. Gli strumenti progettuali sono i modelli e le metafore della complessità e le metodologie per utilizzarli. Ed abbiamo cominciato a descriverli nel nostro libro, che è possibile scaricare dal sito.
Poi, deve farsi carico di sintetizzare le risposte che ci arrivano da coloro che ci vorranno aiutare, facendo in modo che ogni contributo non sia minimamente variato, ma chi l’ha proposto trovi nella sintesi che andremo a disporre una valorizzazione molto più completa di quella che riteneva possibile.

Faccio un esempio. Consideriamo una delle domande proposte da Aleph III: cosa è possibile fare di fronte al fatto che stiamo assistendo ad una competizione che sta diventando sempre più di prezzo ed una competizione di prezzo distrugge la capacità di produrre valore di ogni impresa? Per provare a rispondere a questa domanda, occorre capire come nasce e cresce la competizione. Solo la teoria dei sistemi autopoietici può aiutarci. La stessa teoria ci può suggerire cosa fare per evitare che la competizione degeneri in questo modo. Allora, la nostra proposta è che non solo le classi dirigenti politiche, ma tutti (dagli imprenditori ai lavoratori) accettino di guardare al fenomeno della competizione con gli “occhiali” dei sistemi autopoietici.

Io ho certamente un'idea di come fare. Ma credo che, se provassi a parlare di questa idea a chi non condivide questa visione della competizione, sarebbe tempo perso. Anzi, bloccherebbe ogni dialogo. Allora credo sia necessario iniziare ad invitare tutti a riflettere su questo tema. Magari trovano una soluzione anche senza passare dalla teoria dei sistemi auto poietici.

Questo blog è destinato ad avviare sforzi progettuali di questo tipo. Per riuscirci abbiamo pensato, innanzitutto, di sintetizzare quelle che ci sembrano le domande chiave alle quali costruire una risposta. Poi, di rendere disponibile il libro che è scaricabile in rete. Poi, di mettere in campo una serie di iniziative, opportunamente descritte nel libro: serate tematiche, presentazioni a diverse tipologie di attori sociali, il progetto di un Evento epocale.

E poi, con una serie di articoli che, di volta in volta, sotto la spinta dell’attualità, forniscano le nostre ipotesi di risposta alle domande che abbiamo individuato.

Ovviamente, queste iniziative non sono le uniche possibili: sono quelle che ci sono venute in mente. Aperti a considerarne altre. Aperti a pubblicare risposte e proposte.

Ritengo che fare domande, fornire strumenti, lasciare spazio a proposte, impegnarsi a sintetizzarle sia molto più importante che fare proposte da parte nostra.

Però, se proprio vengo preso per la giacca... provo a fornire una risposta... nel post di domani o dopo a commento della assemblea di Confindustria.

mercoledì 26 maggio 2010

Ripensiamo ... profondamente


Nel polverone sollevato dalla manovra economica in discussione, vorrei buttare lì una sintesi del guaio che stiamo vivendo che mi sembra evidentissima, ma che nessuno vede.

Abbiamo a che fare con una coperta troppo corta e con soluzioni che sembrano sempre più difficili.

Guardando solo Il Sole 24 Ore di oggi, martedì 25 Maggio 2010, viene riportata una osservazione di Luca Cordero Di Montezemolo che mi permetto di riassumere con libertà: “Abbiamo reclamato che l’Euro era troppo forte, ed ora che è debole, invece di approfittare di questa opportunità, reclamiamo ancora … Però, in effetti, è vero che un Euro debole aiuta le esportazioni, ma è altrettanto vero che penalizza gli acquisti di materie prime”. La coperta troppo corta.

Nello stesso giornale di oggi, si legge un articolo di Giorgio Barba Navaretti che si conclude con la seguente proposta “Rafforzare la competitività del vecchio continente coordinando le politiche strutturali è l’unica via per riprendere ad allargare la torta di tutti”. Ma, dico io, quanto tempo ci vuole a raggiungere questo obiettivo? E, nel frattempo, come fanno le imprese a pagare gli stipendi? Con l’aiuto dello Stato? Soluzioni difficili e coperta corta insieme .

La convinzione che siamo alle prese con una coperta troppo corta viene confermata dai commenti che si leggono sui giornali del giorno dopo, quando appare più definita la urgente manovra economica proposta dal Governo in concomitanza con simili manovre in molti altri Paesi Europei.
Francesco Giavazzi scrive che servono tagli di spesa strutturali (pensioni, sanità assistenza) e non contingenti (incassi una tantum, blocchi temporanei di stipendi pubblici, chiusura di finestre pensionistiche. Ma sempre tagli di spesa sono, a causa di una coperta che rimane sempre più corta.

Quando la coperta è troppo corta la soluzione più naturale è allargala. Anche perché il tagliare, cioè il cercare di far stare la nostra attuale società sotto l’attuale coperta di valore, non funziona. Lo sostiene anche Robert Zoellick (il Presidente della Banca Mondiale) su Il Sole 24 Ore del 26 maggio, dove scrive, riferendo l’esperienza di molti paesi in via di sviluppo che sono riusciti a costruire sviluppo, che la strada per uscire dalle crisi non è quella dei tagli, ma quella della progettazione di una strategia di prosperità sostenibile.

Per arrivare a capire che la via dei tagli può essere solo una strategia contingente, forse, non era  necessario scomodare cotanti personaggi: bastava chiedere a qualunque nostro piccolo imprenditore (anche al pizzicagnolo sotto l’angolo) per essere informati che se le cose vanno male, si posso tagliare i costi, è vero. Ma la strategia più desiderabile è quella di aumentare i ricavi …

Ma come si possono aumentare i ricavi? Macro economicamente, il valore prodotto dal nostro Paese? Non mi lascio trascinare dalla tentazione di gridare a gran voce che il PIL non può misurare il valore prodotto non solo per tutte le nobili ragioni che già proponeva Bob Kennedy negli anni ’60, ma anche perché banalmente nel PIL ci sono anche i fatturati delle imprese in perdita! Ma la tentazione è tanta …

Ad ogni modo, per il mio ragionare, basta un concetto intuitivo di valore, forse basta anche la misura del borsellino: quando lo apriamo, come facciamo a far sì che sia sempre più pieno e non sempre più vuoto?

Se leggete il pregevole libricino scritto da Alberto Alesina e Francesco Giavazzi dal titolo “La crisi. Può la politica salvare il mondo?”, essi propongono una loro ricetta in tre punti. Per avere più soldi disponibili serve che lavorino più persone, oppure che ogni persona lavori più tempo, oppure che ogni persona lavori più efficientemente. Più paludatamente: occorre cercare competitività e produttività.

Bene, tenete a mente questa strategia e pensate ad un impresa (descritta anni fa dal prof Sartori sul Corriere della Sera ) che produce scarpe ad un costo di 17 Euro il paio (franco fabbrica) e si trova a competere con concorrenti cinesi che gli sdoganano scarpe del tutto equivalenti al porto di Livorno a 2 Euro il paio. E ditegli: insomma devi far lavorare più persone (invece di licenziarne un po’), far lavorare più lungo le persone (tanti begli straordinari, invece che metterle in cassa integrazione), farle lavorare più intensamente,(così otterrà di riempire sempre di più il magazzino di scarpe che non venderà mai, anche se, forse, riuscirà a farle costare qualche centesimo in meno).

Conclusione? Quale manovra economica fare? Non voglio fare alcuna proposta ora. Chiedo solo a chi frequenta questa comunità: che ne pensate di queste riflessioni che a me sembrano così evidenti? Domanda drammatica perché se sono evidenti anche a voi, allora siamo veramente nei guai: sono evidenti a tutti, tranne che ad
esperti e politici …

Un commento ed una risposta


Provo a dare un mio contributo, dopo i due interventi al mio post "oltre i miti ... ed oltre Galileo". Uso un altro post, perché è un testo un po' lunghetto :-)

Inizio dal secondo, che non ha bisogno di una risposta. Solo, vorrei dichiarare il mio apprezzamento per un punto di vista a cui non avevo pensato. E provo a rilanciare… Allora una delle aree di conoscenza che non dovrebbe mancare alla nostra classe dirigente è la filosofia. Magari, così, oltre a immaginare davvero qualche soluzione alla crisi, ci risparmierebbe anche lo spettacolo meschino di mille baruffe chiozzotte televisive…

Poi, l’intervento del Sig. G.,
Poiché l’intervento contiene domande, ecco la mia risposta …

Rimane vaga ed indistinta la proposta, dice il Sig. G. ..

Be’, la proposta viene descritta in dettaglio nel libretto di circa 100 pagine che si può scaricare dal blog.

Certo, rimane una proposta particolare.
Essa non usa come chiave di lettura del reale i sistemi di interesse. Per il semplice motivo che questo modo di leggere il mondo porta solo a conflitti. Mi obietterà: ma gli interessi esistono e sono forti e ben decisi a difendersi e perpetuarsi. Ecco, innanzitutto, dico che, se così fosse davvero, l‘unica soluzione possibile è la violenza. Una violenza che deve essere rivoluzionaria. Non so se ricorda i librettini della allora sinistra extra parlamentare, negli anni ’70. Allora, il presunto sistema di interessi che governava il mondo si chiamava “governo mondiale delle multinazionali”. E quella sinistra, coerentemente, ha provato a distruggerlo facendo la rivoluzione con gli esiti che tutti conoscono.
A me la via della rivoluzione non piace e propongo di metterla in soffitto per sempre.

Ma, allora, ci teniamo gli attuali Signori degli interessi?
Certo che no! Ma per “eliminarli” propongo questa strada. Abbandoniamo la visione del mondo del “logicamente e oggettivamente” e usiamo quella suggerita dalla metafora della complessità. Essa ci propone (e ci chiede di accettare questa proposta solo se ci piace) che è il nostro sguardo che vede sistemi monolitici intelligenti, dediti a costruire la loro egemonia sociale per disporre a loro piacimento delle risorse. In realtà, esistono certamente battaglie (non strategie coordinate, ma battaglie) per accaparrarsi le risorse attuali. Ma sono battaglie sempre più sterili, condotte da persone che fanno scelte sempre meno efficaci. Per poter veramente impostare una egemonia, dovrebbero conoscere le dinamiche di sviluppo dei sistemi umani. E se ne guardano bene dal farlo. Sono sistemicamente degli sprovveduti.
Possono creare guai, ma lo possono tanto più quanto più noi, che vogliamo cambiare le cose, continuiamo a rosicarci dentro, invece di costruire un nuovo mondo. Che, al loro apparire, li vedrebbe immediatamente sparire per perdita di significato.
Immaginate Berlusconi e Bersani (o Geronzi e gli altri manager padroni attuali) che cercano disperatamente di mantenere il potere su strutture che non interessano più a nessuno, perché la vita economica, sociale, politica, istituzionale se ne è andata da un’altra parte.

Ma costruire un nuovo mondo non è facile. E, invece sì! Basta cambiare gli occhiali che indossiamo. Vedremo un nuovo mondo e cominceremo a volerlo abitare. Concretamente, sì, penso che l’Expo della conoscenza, così come è descritto sul libretto, sia la strategia politica più efficace per costruire una nuova società. E’ l’esatto opposto del combattere gli interessi esistenti.

Expo della conoscenza significa una serie di iniziative plurali e multipolari che hanno l’obiettivo di diffondere nuovi occhiali (i nuovi modelli e le nuove metafore che stanno nascendo in tutte le scienze), che vengono raccolti sotto i nomi di “complessità” e “sistemica”.

Con queste nuove metafore, è possibile cominciare a dare una risposta alle domande che sono pubblicate in un altro articolo di questo blog e che sono una prima sintesi dei problemi più rilevanti che ci affliggono (una visione più completa sta nel libretto che è possibile scaricare dal blog). Ognuna di queste domande invita ad un percorso progettuale. Che non può venire intralciato dalle strategie di difesa degli interessi esistenti, perché sono indirizzate a far nascere nuovi mondi.

Faccio un solo esempio per non dilungarmi: la crisi dei consumi è caratterizzata dal disinteresse per il tipo di prodotti attualmente costruiti e commercializzati. Innanzitutto, meno male che sta crescendo questo disinteresse perché, se stesse diminuendo, saremmo nei guai. Infatti, una ulteriore grande crescita di questa produzione industriale è incompatibile con la natura. Ed anche con le nuove aspirazioni degli uomini. Secondo: viene aperta la strada alla progettazione di un nuovo sistema di prodotti costruirti attraverso nuovi sistemi produttivi. Nessuno impedisce questa riprogettazione.

Il mio invito a tutti i lettori è quello di fare esperienza di questa proposta. Provando ad immergersi nella metafora della complessità ed usarla per rispondere alle domande che ci siamo permessi di porre.

Mi si permetta una conclusione ed una chiarificazione. Io sto avanzando la proposta di un metodo per costruire una nuova società. Non sto avanzando la proposta di una nuova società. Neanche mi candido a guidare un movimento che possa usare la mia proposta per cambiare il mondo. Non so fare nessuna di queste cose.
Accadrà qualcosa se tanta gente più concreta ed esperta di me comincerà, innanzitutto, a migliorare e precisare la mia proposta di processo. E, poi, ad usarla per attivare processi di costruzione di una nuova società.
Ovviamente, la mia proposta non è l’unica possibile. E’ quella che, dopo tanti anni di ricerca, vedo io. Spero che a tanta gente piaccia. A così tanta gente, che possa diventare veramente la strada per costruire una nuova società.
Se si percorreranno altre strade, sarà solo una ricchezza. Certamente saremo alleati solidali ed attivi.

lunedì 24 maggio 2010

Oltre i miti ed ... oltre Galileo

Ieri mattina, domenica 23 maggio 2010, ho letto uno splendido articolo, di grande sintesi, sul Corriere di Emanuele Severino dal titolo “Oltre i miti”. Sottotitolo: “Darwin, Einstein, Freud. Che errori grandiosi”.
Quando si legge un articolo di questa portata, oltre alla necessaria contemplazione (meditazione riflessione, libertà di farsi guidare verso pensieri che altrimenti non sarebbero stati formulati), credo, sia un dovere
sociale tentare di dare un proprio contributo, perché i pensieri che contiene diventino un granello di lievito verso un nuovo mondo.
Ci provo e arriverò a trattare argomenti concreti come l’Expo 2015, l’imprenditorialità … Credo sia un dovere di tutti gli intellettuali rendere, spingere le loro riflessioni nella carne della storia.

La prima osservazione è che il sottotitolo (non credo proprio pensato dal Prof Severino) è quasi una vergogna. Ci sarebbe da indignarsi se non si conoscessero le profonde insicurezze della stampa, che ha paura di una conoscenza che non venga caricata di sensazionalismo. Insicurezza e sfiducia nella maturità di noi lettori.

Ma andiamo oltre la stampa. Appena si va oltre si scopre un grande affresco che non mi permetto di riassumere. Ma che mi sembra di avere il dovere di interpretare e “incarnare” nella nostra realtà di passaggio (tutto da costruire) da una società all’altra.

A me sembra che si possa sintetizzare (ovviamente ogni sintesi non può pretendere di essere assoluta o esaustiva) il grande affresco di Severino nel modo seguente: la scienza attuale e tutta la nostra società nasce ed è ancora legata alla visione del rapporto tra uomo e mondo di Galileo.
E la visione di Galileo è sintetizzata da due avverbi: “oggettivamente” e “logicamente”.
L’uomo guarda il mondo attraverso “sensate esperienze” e ne scopre l’"oggettiva” natura (quali sono le componenti e le leggi della natura). L’uomo ragiona (progetta) sulla natura scoperta con una logica “ferrea” e costruisce il migliore dei mondi possibile.
Ragionando in termini di “oggettività” e “logica”, si costruiscono, ovviamente, ideologie. E il confrontare ideologie non può che portare al conflitto.
Innanzitutto, si costruisce una scienza che pretende di essere unica ed eterna.
Ma non voglio fermarmi a ragionare sulla scienza, ci ritornerò dopo. Voglio soffermarmi sulla economia e sulla politica. Esse sono impastate di “oggettivamente” e “logicamente”. Cioè sono ideologie.
L’attuale sistema economico è guidato dalle leggi dell’economia: leggi considerate oggettive, ovviamente. Per migliorarlo è necessario applicare queste leggi correttamente, cioè logicamente. Se non lo si vuole migliorare è perché non lo si vuole a causa di interessi meschini ed egoistici.
I progetti politici nascono da una analisi oggettiva della realtà (quali sono i problemi ad esempio) e da una consequenziale (logica) costruzione di soluzioni. Quindi sono “verità” inattaccabili. Se ce ne sono tanti, non possono che configgere.
I progetti strategici delle imprese nascono anch’essi da analisi (del mercato) ritenute oggettive e da ragionamenti logici che li rendono indiscutibili.
I fondamenti della nostra società (il libero mercato, la democrazia e i loro valori, per esempio) sono “indiscutibili” …

Ma che male c’è per tutto questo? C’è quasi tutto di male. Infatti, l’attuale società non sta più in piedi. Perché sta entrando in conflitto sia con l’uomo sia con la natura. Se fosse l’unica società, come seguendo il pensiero di Galileo dovrebbe essere, saremmo veramente nei guai. Sarebbe finita la storia.

Per fortuna, ci viene in aiuto proprio la scienza. Al suo interno, sono nati mille germi anti-ideologici. Detto diversamente: la scienza ha cominciato a contestare se stessa.

Se ritornate alla fine del secolo XIX, scoprirete che i fisici avevano la quasi certezza che mancavano pochi calcoli per spiegare tutto dell’uomo e della natura. Erano convinti di aver costruito la ideologia finale. Forse, era una certezza che sarebbe dovuta essere messa in discussione già da allora, a causa della costruzione delle geometrie non euclidee che, essendo l’una diversa dalle altre, avrebbero dovuto mettere sull’avviso che questo sogno della ideologia unica e definitiva proprio non stava in piedi. Ma la cultura dello specialismo, propria della società industriale, faceva dei fisici una comunità poco attenta a quanto accadeva fuori di essa e così, alla fine dell’ottocento, essi potevano ancora sognare di aver letto tutto il libro della natura, scritto
ovviamente in caratteri matematici, come aveva detto Galileo.
Ma, dopo di allora, tutto è franato. Come è noto, si è iniziato, nel 1905, con un articolo, dal titolo apparentemente insignificante come “Sull’elettrodinamica dei corpi in moto”, di un tecnico di terza classe dell’ufficio brevetti di Berna. Ma, poi, si è sontuosamente continuato con la meccanica quantistica (oggi ancora in profonda evoluzione) che ha reso evidente che il guardare produce una visione oggettiva solo per sistemi semplici. Per i sistemi complessi, il guadare significa entrare a far parte del sistema osservato. Allora non si guarda, ma si partecipa a costruirne l’evoluzione. Detto diversamente, non ci sono sensate esperienze, ma appassionate partecipazioni. E si è drammaticamente continuato con i due teoremi di Godel che hanno dimostrato che fare matematica è costruire storie. Altro che costruire ideologie.

In sintesi, la nuova scienza ci ha rivelato che la visione delle sensate esperienze e certe dimostrazioni vale solo per una “parte” del mondo: per i sistemi semplici. Quando si cerca di applicare questa filosofia ai sistemi complessi, è necessaria un’altra visione del mondo, la cui struttura di fondo è suggerita dalla meccanica quantistica. La nuova scienza ci sta, insomma, offrendo una via di speranza… come, d’altra parte, aveva fatto la scienza di Galileo. Essa ci aveva permesso di costruire una società che ha liberato l’uomo dai bisogni materiali. Ed è stata capace di raggiungere questo obiettivo proprio perché ha guardato l’uomo e la natura con gli occhiali della materialità. Cioè, considerando l’uomo e la natura come sistemi semplici.
Ma non poteva andare oltre, verso un uomo che non è solo bisogni materiali, in armonia con una natura che non è solo giacimento di materie prime. Cercando di andare oltre, si è costruita la crisi che tutti stiamo vivendo.

Da questa crisi usciremo solo se riusciremo a progettare una nuova società. E potremo farlo solo se supereremo la visione della scienza e del mondo di Galileo e adotteremo quelle che sta nascendo in mille spazi di conoscenze, con una ispirazione di fondo formalizzata nella meccanica quantistica.
Per essere più concreti, riusciremo a costruire una nuova società quando aboliremo dal linguaggio economico, politico e sociale gli avverbi “oggettivamente” e “logicamente” …
Per riuscirci, noi abbiamo proposto l’organizzazione di un Expo della Conoscenza che potrà essere il catalizzatore di quella che definiamo una nuova imprenditorialità aumentata. Non solo economica, ma anche sociale, politica, culturale ed istituzionale. Quella imprenditorialità che ha costruito la nostra attuale economia e società e che ora deve diventare molto più intensa (una imprenditorialità aumentata, appunto) per costruire una nuova economia ed una nuova società.

sabato 22 maggio 2010

Domande profonde a cui rispondere


Vorrei proporre non soluzioni di contenuto o di processo, ma alcune domande, ed ascoltare le vostre risposte. Sono tante, alcune collegate tra loro, ma sono domande profonde perchè non possiamo semplicemente fermarci a chiederci dell'attualità. E' del senso generale che dobbiamo occuparci, delle cose grandi che ci stanno attorno, di tutte le cose, non dei pezzetti delle stesse, se vogliamo definire insieme una strategia, una visione, le modalità per camminare in quella direzione e poi cambiarla, se lo si ritiene, e per capire su quale percorso si identificano le nuove leadership, e così proviamo a rispodere a domande complessive...

CHE FACCIAMO ?

I beni prodotti dalle aziende sembrano aver perso di significato, si riducono drasticamente i consumi. E se i consumi non si riducessero, dovrebbero rimanere altissime le disuguaglianze sociali internazionali, cosa che evidentemente non sta avvenendo... e quindi... non ci sono risorse naturali perchè molti altri arrivino ai livelli di consumo dell'occidente... una crescita a cui corrisponde una decrescita? Di quanto? Per chi? Ci stiamo? Come? Non ci stiamo, come?

La competizione sempre più forte con imprese di tutto il mondo su prezzi sta distruggendo il nostro sistema imprenditoriale.

I tanti bravissimi creativi non hanno più molte aziende che richiedono la loro creatività.

Il made in Italy, a cui noi diamo molto più valore di quanto facciano all'estero, si gioca su un patrimonio che ha 500 anni, cade a pezzi e stenta a rinnovarsi

La Natura ci perseguita sempre di più. Sostenibilità dice solo che non dobbiamo distruggere più di quel che possiamo ricostruire.

Candidati e partiti si combattono duramente, ma non si intravede una strategia complessiva, una visione per il Paese.

Crescono paura, insicurezza ed allarmi, solitudine, persone e moltitudini piene di bisogni

La società a rete e plurale si immerge in un flusso di discussioni....e non ci sono sintesi e azioni.

Alcuni pezzi di società avanzano proposte alternative, ma sono per pochi, risultano estranee ed incomprensibili ai più.

Lo stato contribuisce pesantemente a tenere in piedi il sistema: le banche, le imprese, i disoccupati. Chi è lo stato? Un capitalismo socialista è possibile ?

La struttura demografica del paese e i rapporti coi "gli stranieri".

Emergono pochissimi grandi progetti, grandi sogni, grandi visioni per tutti.

La finanza non sa scegliere progetti, aziende, persone da far crescere.

Siamo andati sulla Luna, ma ancora la fame e la salute del mondo sono un problema irrisolvibile.

Il disagio di senso che coinvolge l'uomo e le giovani generazioni in particolare è profondo.

Il non profit non ci ha salvato, così come nessun "mondo alternativo".

Scienze e saperi sono iper specializzati, difficli da valutare e capire per i non tecnici, ma la conoscenza ci serve, quale senso per la Ricerca? Quale responsabilità sociale di capirla e di farsi capire ?

Di cosa vivranno le prossime generazioni se chiudono il 30% delle imprese, lo stato è stra indebitato e gli anziani assorbono tute le risorse ?

Spesso si dice che ci sono competenze, capacità ed esperienze vitali e valide, che però non emergono.

mercoledì 19 maggio 2010

Un movimento per costruire l'Expo 2015

“Sedetevi sulla sponda del fiume ed attendete che passi il cadavere del vostro nemico”. Poi, magari, scopriamo che il “nemico” è nostro gemello siamese e ci ritroviamo cadaveri insieme a lui a galleggiare trasportati da un’onda di cui non siamo neanche più consapevoli.

Troppo tragico? Forse no …
La vicenda dell’Expo somiglia molto a questa forse un po’ macabra storiella.

Esiste un Progetto che, ad oggi, è certamente più definito nella sua parte “fisica”: infrastrutture, immobili, e che, quindi, ha bisogno di essere completato, arricchito di progetti, contenuti, proposte che diano un’anima alle strutture fisiche.
Più precisamente, è necessario che si avvii un processo di creazione sociale dell’Expo che ne faccia uno snodo fondamentale per costruire un nuovo sviluppo.
Più in dettaglio, in questi anni che precedono l’Expo, è necessario sviluppare un cammino progettuale che definisca le caratteristiche del nuovo sviluppo desiderabile e costruibile. L’Evento dell’Expo sarà il momento di racconto di questo sviluppo desiderabile e possibile attraverso una sinfonia di mille voci.
Questo racconto potrà, poi, risuonare, dopo l’Expo, in tutte le strade del mondo.

Invece di avviare un processo di creazione sociale dell’Expo che dia un’anima capace di costruire sviluppo a infrastrutture ed edifici, si accusa l’Expo di essere solo mura ed infrastrutture.
E’ una situazione surreale… L’Expo chiede progetti, contenuti e proposte per non essere solo mura, strade e metropolitane. Chi dovrebbe fornire proposte, progetti, contenuti non li sviluppa, ma critica il fatto che non ci siano…

Si attende, davvero, che passino (in realtà si fa qualcosa di più…) i cadaveri di coloro (politici e tecnici) che guidano oggi l’Expo, ma si scoprirà che passeranno i cadaveri di tutti noi che siamo stati capaci di usare solo l’arma della critica e non abbiamo avuto il coraggio, la capacità di usare l’arma della proposta.

Poiché le storielle “horror” (e tanto meno il fatto che possano trasformarsi in realtà) non mi piacciono, allora propongo di avviare una stagione di proposte da portare ai responsabili dell’Expo. Una stagione che parta autonomamente dal basso e che costruisca proposte davvero alte e forti. Cominciamo noi con una proposta: l’Expo della conoscenza. Questa nostra proposta è descritta addirittura in un libro: un Expo della conoscenza per fare emergere una nuova società.
Abbiamo avviato un processo di presentazione di questa nostra proposta. Abbiamo bisogno della collaborazione di tutti coloro che troveranno intrigante la nostra proposta. Ci rendiamo disponibili a raccogliere ed a diffondere altre proposte. Il punto di dibattito, raccolta, racconto sarà il nostro Blog: balbettanti poietici

In sintesi, vogliamo provare a fare emergere un Movimento che abbandoni la strada, un po’masochista della protesta, e cammini decisamente lungo i sentieri, apparentemente più faticosi, ma certamente più fecondi, della proposta.

venerdì 14 maggio 2010

L’Expo 2015: giudicare o costruire?


“ … I vertici politici ed amministrativi della città stanno abbarbicati all’unica idea dell’Expo 2015 come dei naufraghi a una ciambella di salvataggio, peraltro un po’consunta e appesantita” si legge nell’incipit del Manifesto per Milano, firmato da Giangiacomo Schiavi, Fulvio Scaparro e Marco Vitale e pubblicato sul Corriere della Sera giovedì’ 13 maggio 2010. Il giudizio.

L’Expo “non sarà realizzato da una società per azioni, ma da una comunità” dice Lucio Stanca, Amministratore Delegato della Società Expo 2015.
La società Expo “può svolgere una funzione di valorizzazione di idee, iniziative e progetti della società” scrive Alberto Mina, Direttore Sviluppo del tema e Relazioni istituzionali della stessa Società, sul Sole 24 ore.
“L’Expo - traduco, riassumo e completo liberamente- si sta trasformandosi da uno strumento educativo statico, “venuto da cielo in terra a miracol mostrare (miracoli tecnologici)” direbbe il Nostro. Ma è un veicolo informazionale ed educazionale, una piattaforma multidisciplinare e “iperdisciplinare” che si costituisce come ambiente di “creazione sociale di conoscenza e di una nuova società” (il testo virgolettato è mio), scrive Adriano Gasperi, Segretario generale del Comitato Scientifico della Società Expo 2015. Stanca, Mina e Gasperi: il richiamo alla nostra responsabilità nel costruire.

Io sto dalla parte della responsabilità del costruire.

E provo a raccontare, anche se in estrema sintesi, il contributo che possiamo dare alla realizzazione dell’Expo perché non sia un affare immobiliare, ma sia un Evento, della durata di cinque anni, che catalizzi la costruzione di una nuova società.

Primo contributo, di tipo scientifico. Si tratta della scoperta che l’attuale società è figlia di una specifica visione della scienza e del conoscere: quella di Galileo. Ora, la società industriale ha costituito certo una tappa fondamentale nello sviluppo della civiltà umana, ma ha esaurito il suo compito. Non è più in grado di generare ulteriore sviluppo. E’ necessario, allora, costruire una nuova società. Ma come fare? Il primo passo è quello di sostituire alla visione della scienza e del conoscere di Galileo una nuova visione della scienza e del conoscere che, peraltro, sta nascendo in tutte le scienze. Un primo passo epistemologico, dunque.

Il secondo contributo è la proposta di un Evento. Non c’è ancora stata una occasione in cui tutti coloro che in tutte le “discipline” stanno costruendo una nuova visione della scienza e del conoscere si siano trovati insieme a confrontare e fecondare i loro contributi, avendo come contesto di riferimento la creazione di una nuova società. E’ il momento di creare questa occasione, questo Evento. Il modello è quello delle Macy Conferences. Questo Evento deve, però, essere un Convegno scientifico, ma il primo momento della nascita di un movimento internazionale che si assume l’onere di attivare il processo di creazione sociale di una nuova conoscenza ed una nuova società.

Il terzo contributo è di metodo. Tutti intuiscono la esigenza di partecipazione. Ma questa esigenza rimane spesso non soddisfatta. Anzi, troppi tentativi di “far partecipare” finiscono in sterili dibattiti, quando non in conflitti. Oppure cadono nel vuoto. Io credo sia necessario un nuovo metodo per stimolare e far vivere il contributo di tutti alla creazione di una nuova società. Noi lo abbiamo chiamato “Sorgente Aperta”.

Ultimo contributo, che nasce da uno dei principi di Sorgente Aperta (la vastità e la profondità dello sguardo): non dimentichiamo che l’Expo non è per Milano, ma per il mondo. Riuscirà ad essere anche per Milano se e solo se Milano (la sua comunità, il suo popolo) riuscirà a immaginare “Progetti Mondo”.

Ma mettiamo insieme la responsabilità e il giudizio …
Se si legge il decalogo per Milano stilato da Schiavi, Scaparro e Vitale, si nota che l’Expo potrebbe essere davvero la piattaforma (per riprendere la metafora di Gasperi) attraverso la quale questo decalogo diventi una nuova società. Lo diventerà se davvero tutti, onestamente ed appassionatamente, senza ansie auto rappresentative e derive autoreferenziali, resisteremo alla deriva del giudizio ed indosseremo la casacca della proposta. E’ anche più divertente è gratificante.

martedì 11 maggio 2010

Ieri sera... alla serata sulla matematica... l'Expo in azione


L’Expo della conoscenza sta facendo i primi passi concreti. E, concretamente, cerca di sperimentare, rendere evidente il processo attraverso il quale può realizzarsi e può contribuire a costruire una nuova società.

Ieri sera, grazie all'ospitalità di Chiamamilano (che ringraziamo) si è tenuta la prima di quelle che chiamiamo “serate trasgressive”. L’abbiamo intitolata. “La matematica, la crisi e un mondo di nuove storie per costruire una nuova società”. Abbiamo “raccontato” di come il fare politica e il fare economia siano, oggi, modellati su di una visione della scienza che risale a Galileo (la visione delle sensate esperienze e certe dimostrazioni). Si tratta di una visione della scienza che porta a costruire ideologie (tautologie, ci ha suggerito un nostro nuovo amico di cui diremo). Ed è questo atteggiamento ideologico che impedisce di costruire nuove storie socialmente condivise ed esteticamente belle. Si tratta, però, di una visione della scienza che mantiene una sua validità solo per certi tipi di sistemi (i sistemi meccanici) e non vale, ad esempio, per i sistemi umani (dalla mente alle imprese alle istituzioni). Sta nascendo una nuova visione della scienza che sta contestando proprio i due pilastri della visione della scienza di Galileo: la matematica si è auto convinta che il lavoro del matematico (più generalmente: il ragionare umano) non costruisce “certe dimostrazioni” e la fisica si è convinta che il guardare il mondo non generi immagini oggettive, ma trasformi il mondo.

Ieri sera, abbiamo affrontato, cercato di approfondire la storia della scoperta che il lavoro del matematico non è costruire certe dimostrazioni. Se non lo è quello del matematico che usa tutta il rigore che gli è permesso, tanto meno lo è quello di chi fa politica e fa economia, che del rigore deduttivo non sa nulla.

Abbiamo concluso, allora, che, per superare la crisi attuale, occorre sostituire alla visione delle sensate esperienze e certe dimostrazioni una nuova visione del mondo che porti a considerare il proprio guardare il mondo come una esperienza personale e non come un oggettivo osservare e il proprio ragionare non come un dedurre certo, ma come lo scrivere storie che possono essere più o meno emozionanti. Così facendo, sarà possibile immaginare un nuovo modo di fare economia e politica che sia radicalmente diverso da quello “ideologico” attuale.

Ed abbiamo riassunto il nostro progetto “Expo della conoscenza”, che ha l’obiettivo di proporre socialmente la sfida e la responsabilità di costruire una nuova visione del mondo, capace di generare una nuova economia ed una nuova società.

Tra coloro che ascoltavano questo racconto abbiamo “scoperto” tre nuovi amici che ci hanno promesso di aiutarci a migliorare le slides che abbiamo utilizzato per rafforzare, specificare meglio il nostro messaggio. Sarà un aiuto che certamente aggiungerà non solo dettagli, ma anche visioni, sensibilità, punti di vista che arricchiranno il nostro messaggio.

Credo che questo riuscire a stimolare contributi costruttivi sia il risultato migliore della serata.

martedì 4 maggio 2010

Responsabilità sociale e irresponsabilità di business?

Oggi (martedì 4 maggio 2010) sulla stampa quotidiana (Sole 24 Ore e Corsera) sono usciti articoli che parlano di una iniziativa particolarmente incisiva della CONSOB: ha chiesto, come è nei suoi poteri e doveri, alle cinque più grandi banche del Paese (insieme hanno più della metà degli sportelli presenti in Italia) di
convocare i rispettivi Board per rivedere le procedure di vendita dei servizi finanziari. La ragione è che queste procedure non vanno bene. Più specificatamente (cito dall’articolo di Riccardo Sabbatini sul Sole 24 ore di oggi. Le parole in corsivo sono della Consob) “Le politiche commerciali adottate dalle cinque banche per la selezione dell’offerta di servizi ai clienti e le politiche di incentivazione del personale sono risultate in larga parte imperniate su logiche di prodotto (quantitativi di prodotti da vendere di norma di raccolta propria o del gruppo) anziché di servizio reso nell’interesse della clientela”.

Dopo aver letto questa notizia ho ripassato nella memoria i Bilanci Sociali di questa banche dove esse dichiarano che non solo gli interesse della clientela, ma anche quelli di tutti gli altri stakeholders, sono l’obiettivo fondamentale del fare banca.

Il contrasto è stridente.
Ma cosa dire di fronte a questa così smaccata contrapposizione tra il dire ed il fare? Voglio avanzare una giudizio ed una proposta un po’ particolari ..

E’ inutile avviare una campagna polemica del tipo: guarda i cattivoni che praticano la strategia dei vizi privati e delle pubbliche virtù. E’ inutile anche buttarla sull’etica: è necessario aumentare la cifra etica nella gestione aziendale. Ed allora cosa fare? La prima cosa è quella di capire perché questa eterna politica del doppio binario. Essa nasce dal tipo di conoscenze e metodologie che vengono oggi usate e non usate nella gestione aziendale. Le conoscenze e le metodologie che vengono usate sono quelle del management duro e puro che bada solo agli obiettivi. Quelle che vengono insegnate nei corsi di formazione manageriale. Quelle che nascono da una visione primitiva del fare impresa di stampo anglosassone. Quelle che non vengono usate sono le moderne conoscenze e metodologie di strategia d’impresa che permetterebbe di disegnare piani strategici che non si impantanano in pratiche commerciali devastanti e che, ad esempio, potrebbero permettere di rivoluzionare il rapporto tra banca ed impresa.
Detto tutto questo, la soluzione è semplice: buttiamo nelle banche nuove conoscenze e metodologie di management e di strategia d’impresa. Ed abbiamo fiducia che la buona fede, anzi l’alto senso etico che davvero alberga nei cuori di tutti il più avvertito management bancario faccia il resto. Insomma: non è un problema di etica, ma di strumenti. Quindi è un problema che si può risolvere da domani mattina.

...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.