di
Francesco Zanotti
Per rispondere alla domanda con cui ho chiuso il post precedente (la prima parte del mio Commento sulle Considerazioni Finali del Governatore della Banca d’Italia 2011) aggiungo un’ opinione.
Stamattina su Affari e Finanza appare un articolo di denuncia/proposta di Marco Panara.
La denuncia è breve perché i problemi sono noti. Le soluzioni caldeggiate sono quelle proposte dal Governatore della Banca d’Italia nelle sue “Considerazioni Finali”.
Otto obiettivi per la riforma dello Stato e cinque obiettivi di competenza delle imprese. Dei primi ho già detto nel post del 1 giugno 2011. Gli altri, di competenza delle imprese, appunto, sono: dimensione troppo piccola per le imprese, la proprietà familiare molto spesso chiusa all’inserimento di manager, l’internazionalizzazione, il patrimonio insufficiente.
Guardiamoli da vicino. Il riferimento è al nostro imprenditore con problemi impellenti di liquidità: quelli che portano al fallimento ed alla dispersione di immensi patrimoni imprenditoriali.
Se il nostro imprenditore ha problemi di liquidità, certo non può capitalizzare. Io credo che molti di questi imprenditori stiano anche esaurendo il patrimonio di famiglia.
La dimensione troppo piccola: certo, se i suoi prodotti interessano sempre meno, come si può ipotizzare che cresca il fatturato? Si può mettere insieme ad altri, ma tante debolezze non fanno una forza.
I manager: ma chi l’ha detto che esistono manager più bravi degli imprenditori? La proporzione tra manager pessimi e manager bravi credo sia circa uguale a quella tra imprenditori bravi e imprenditori così così. Per di più: io credo che un manager non possa fare l’imprenditore. Ha sempre bisogno di una mentalità imprenditoriale su cui fondare la sua azione. Una mentalità imprenditoriale che la sua esperienza non gli ha permesso di sviluppare. Certo se il problema fosse di far funzionare meglio le imprese, forse, un manager bravo basterebbe. Ma il problema, come vedremo, non è far funzionare meglio le imprese, ma rivoluzionarne il sistema d’offerta. E, poi, chi ha un criterio affidabile e distribuibile a tutte le piccole e medie imprese per distinguere un manager bravo da un trombone presuntuoso e costosissimo?
L’internazionalizzazione: certo, ma occorre progettarla con sapienza e, poi, servono i soldi. Non perpetuiamo le internazionalizzazioni competitive degli anni passati …
L’innovazione: certo, ma è oggi concepita solo come innovazione tecnologica (dove per tecnologia si intende la big technology figlia della big science). E l’innovazione tecnologica richiede tempi lunghi e tanti soldi.
L’aver proposto l’opinione di Panara ripropone con ancora più forza l’urgenza della domanda: quindi cosa fare?
Il punto di partenza, per arrivare ad una risposta, è l’urgenza di costruire un sistema industriale (beni e modalità di produzione) radicalmente diverso dall’attuale. Per due ragioni sinergiche. La prima è che una sua ulteriore espansione, così com’è, è incompatibile con la Natura. La seconda è che il sistema di prodotti che attualmente fabbrica è conforme a stili di vita che stanno perdendo di interesse. Non riesco a illustrare maggiormente questa affermazione, ma la considero parte della conoscenza acquisita (si vedano ad esempio gli scritti del compianto Giampaolo Fabris).
Se così è, la strategia chiave per costruire il futuro è aumentare le capacità di visione e progetto della nostra classe imprenditoriale e dirigente in generale. Ma ritorna il richiamo alla concretezza: come fare?
Per rispondere, mi si permetta una parentesi di tipo “cognitivo”: sulle capacità di immaginazione e progetto dell’uomo. Già, guarda caso, arriva in ballo l’uomo, la sua capacità di immaginare, di creare. Quell’uomo di cui nessuno parla. Il protagonista dimenticato della costruzione del mondo: crisi e sviluppo compresi.
Le capacità di visione e di progetto delle persone dipendono dalla ricchezza del loro patrimonio di modelli mentali (modalità di autorealizzazione, e le griglie di osservazione, linguaggi progettuali). Più povero è questo patrimonio, più povere sono le loro visioni e i loro progetti.
Un esempio banale, ma chiarificatore: anche il poeta più ricco di ispirazione (voglia di raccontare, capacità di osservazione) se conosce poche parole ed espressioni del suo linguaggio naturale rischia di vanificare la sua ispirazione.
Ovviamente anche le classi dirigenti non sfuggono a questa “legge”: guardano le imprese, il mercato, la società, le istituzioni, le burocrazie, con gli occhiali e le griglie di osservazione di cui dispongono. Progettano il futuro partendo dalle loro ambizioni di fondo (le loro modalità di auto realizzazione) ed usando linguaggi progettuali che conoscono.
Progettano il futuro di imprese, mercati, burocrazie ed istituzioni, usando le conoscenze, i modelli e le metafore di cui dispongono.
Se il lettore mi permette una metafora semplificatrice, credo si possa dire che ogni responsabile economico, sociale, politico, istituzionale ha il proprio” paio di occhiali” con i quali guarda il mondo, l’organizzazione che deve guidare ed una propria cassetta di strumenti per progettare il futuro che desidera.
Un esempio: il management attuale ha come “occhiali” la competizione e come strumenti le strategie per vincere la competizione. Con questa griglia e questi strumenti non può immaginare un nuovo mondo, ma solo cercare di far funzionare meglio quello attuale.
Tutta questa premessa per dire che esiste il modo di incrementare le capacità di visione e di progetto aumentando griglie di osservazione, linguaggi progettuali delle nostre classi dirigenti.
Più specificatamente: fornire agli imprenditori ed alle banche conoscenze e metodologie di strategia d’impresa; fornire alle classi dirigenti conoscenze di teoria dei sistemi.
Tutte queste conoscenze esistono e non vengono usate. Di più. Se ne stanno sviluppando altre, proprio in Italia, che rappresentano un vero e proprio breakthrough rispetto alle conoscenze più avanzate attualmente esistenti. Esse partono dai risultati che le nuove scienze del novecento ci hanno proposto sull’uomo e sulla sua relazione col mondo.
I risultati di questi sforzi di ricerca a cui abbiamo partecipato, che riguardano nuove modalità di analisi e progetto sia a livello di impresa sia di sistema sociale complessivo, sono a disposizione di chiunque ne farà richiesta.
Mi si permetta una battuta. Strano: l’Italia che diventa capofila di una produzione di conoscenza che serve proprio a imparare a progettare e cambiare continuamente imprese e istituzioni.
Il fornire tutte queste nuove conoscenze permetterà alle imprese la progettazione di nuovi futuri che attireranno investitori ed apriranno nuovi mercati. E, quindi, permetterà loro di ricominciare nel breve (mesi) a produrre cassa. Permetterà alla classi dirigenti di costruire nuove modalità di progettualità e di gestione della politica perché anche lo Stato va ovviamente sistemato.
Provo a proporre una sintesi “sistemica”.
Quando esiste una situazione di crisi, non è possibile immaginare e proporre soluzioni dall’alto. Lo sviluppo del sistema in crisi deve essere affrontato con una strategia emergente: distribuire nuovi schemi di riferimento per guardare diversamente la realtà e nuovi strumenti per progettare una nuova realtà. Il compito delle classi dirigenti è, quindi, di stimolo e di sintesi ex-post di mille progettualità nel disegno complessivo di una nuova società.
Per rendere sempre più efficace questa via dal basso abbiamo immaginato un grande progetto di ricerca a livello “sistemico” che abbia come obiettivo quello di moltiplicare gli sforzi che oggi si stanno avviando in Italia per costruire nuove conoscenze sullo sviluppo e sul governo dei sistemi umani. Lo abbiamo chiamato Expo della Conoscenza. Abbiamo predisposto un documento che lo descrive e che manderemo a chi ce ne farà richiesta.
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