Nel polverone sollevato dalla manovra economica in discussione, vorrei buttare lì una sintesi del guaio che stiamo vivendo che mi sembra evidentissima, ma che nessuno vede.
Abbiamo a che fare con una coperta troppo corta e con soluzioni che sembrano sempre più difficili.
Guardando solo Il Sole 24 Ore di oggi, martedì 25 Maggio 2010, viene riportata una osservazione di Luca Cordero Di Montezemolo che mi permetto di riassumere con libertà: “Abbiamo reclamato che l’Euro era troppo forte, ed ora che è debole, invece di approfittare di questa opportunità, reclamiamo ancora … Però, in effetti, è vero che un Euro debole aiuta le esportazioni, ma è altrettanto vero che penalizza gli acquisti di materie prime”. La coperta troppo corta.
Nello stesso giornale di oggi, si legge un articolo di Giorgio Barba Navaretti che si conclude con la seguente proposta “Rafforzare la competitività del vecchio continente coordinando le politiche strutturali è l’unica via per riprendere ad allargare la torta di tutti”. Ma, dico io, quanto tempo ci vuole a raggiungere questo obiettivo? E, nel frattempo, come fanno le imprese a pagare gli stipendi? Con l’aiuto dello Stato? Soluzioni difficili e coperta corta insieme .
La convinzione che siamo alle prese con una coperta troppo corta viene confermata dai commenti che si leggono sui giornali del giorno dopo, quando appare più definita la urgente manovra economica proposta dal Governo in concomitanza con simili manovre in molti altri Paesi Europei.
Francesco Giavazzi scrive che servono tagli di spesa strutturali (pensioni, sanità assistenza) e non contingenti (incassi una tantum, blocchi temporanei di stipendi pubblici, chiusura di finestre pensionistiche. Ma sempre tagli di spesa sono, a causa di una coperta che rimane sempre più corta.
Quando la coperta è troppo corta la soluzione più naturale è allargala. Anche perché il tagliare, cioè il cercare di far stare la nostra attuale società sotto l’attuale coperta di valore, non funziona. Lo sostiene anche Robert Zoellick (il Presidente della Banca Mondiale) su Il Sole 24 Ore del 26 maggio, dove scrive, riferendo l’esperienza di molti paesi in via di sviluppo che sono riusciti a costruire sviluppo, che la strada per uscire dalle crisi non è quella dei tagli, ma quella della progettazione di una strategia di prosperità sostenibile.
Per arrivare a capire che la via dei tagli può essere solo una strategia contingente, forse, non era necessario scomodare cotanti personaggi: bastava chiedere a qualunque nostro piccolo imprenditore (anche al pizzicagnolo sotto l’angolo) per essere informati che se le cose vanno male, si posso tagliare i costi, è vero. Ma la strategia più desiderabile è quella di aumentare i ricavi …
Ma come si possono aumentare i ricavi? Macro economicamente, il valore prodotto dal nostro Paese? Non mi lascio trascinare dalla tentazione di gridare a gran voce che il PIL non può misurare il valore prodotto non solo per tutte le nobili ragioni che già proponeva Bob Kennedy negli anni ’60, ma anche perché banalmente nel PIL ci sono anche i fatturati delle imprese in perdita! Ma la tentazione è tanta …
Ad ogni modo, per il mio ragionare, basta un concetto intuitivo di valore, forse basta anche la misura del borsellino: quando lo apriamo, come facciamo a far sì che sia sempre più pieno e non sempre più vuoto?
Se leggete il pregevole libricino scritto da Alberto Alesina e Francesco Giavazzi dal titolo “La crisi. Può la politica salvare il mondo?”, essi propongono una loro ricetta in tre punti. Per avere più soldi disponibili serve che lavorino più persone, oppure che ogni persona lavori più tempo, oppure che ogni persona lavori più efficientemente. Più paludatamente: occorre cercare competitività e produttività.
Bene, tenete a mente questa strategia e pensate ad un impresa (descritta anni fa dal prof Sartori sul Corriere della Sera ) che produce scarpe ad un costo di 17 Euro il paio (franco fabbrica) e si trova a competere con concorrenti cinesi che gli sdoganano scarpe del tutto equivalenti al porto di Livorno a 2 Euro il paio. E ditegli: insomma devi far lavorare più persone (invece di licenziarne un po’), far lavorare più lungo le persone (tanti begli straordinari, invece che metterle in cassa integrazione), farle lavorare più intensamente,(così otterrà di riempire sempre di più il magazzino di scarpe che non venderà mai, anche se, forse, riuscirà a farle costare qualche centesimo in meno).
Conclusione? Quale manovra economica fare? Non voglio fare alcuna proposta ora. Chiedo solo a chi frequenta questa comunità: che ne pensate di queste riflessioni che a me sembrano così evidenti? Domanda drammatica perché se sono evidenti anche a voi, allora siamo veramente nei guai: sono evidenti a tutti, tranne che ad
esperti e politici …
Buongiorno, ero venuto per leggere la risposta al dubbio generale espresso ieri. E, oltre a trovare piuttosto autoriferita la risposta che mi è stata data - non sembra che sia stata data una risposta esplicita e chiara alla domanda che ponevo, ma solo che vi si sia girato intorno con un lungo messaggio-, beh mi ritrovo questo bel commento che condivido a cui però non può che seguire la domanda: ci aspettiamo almeno una prima proposta, pur da discutere ed approfondirre, da parte di chi guarda il mondo con occhi diversi, perchè altrimenti, manca, ancora una volta la parte costruens- quella concreta, puntuale che da proposte operative e non generiche critiche o invocazioni. Aumentare i fatturati, aumentare gli utili (o quel che vi pare)..ma come e con quali conseguenze?
RispondiEliminascusate di nuovo. mi avete incuriosito, ma non persuaso.
G.