giovedì 25 dicembre 2008

Baricco: non siamo piu capaci di pensare il futuro

Forse che le affermazioni di Baricco valgono per chi è preso in uno stato di benessere (parziale e relativo ma non troppo messo in discussione)...da qualche parte di certo il desiderio del cambiamento del futuro, della progettualità, che non si accontenta del nuovismo...c'è.
C'è bisogno di balbettare e con questo balbettio arrivare a definire un migliore scenario.

Il futuro è finito.
Il futuro viene spesso considerato come discarica, buco nero dove buttare ciò che oggi ci crea problemi.
Sono morte due categorie: quelle di progetto e di progresso. Incapaci di pensare al futuro tendiamo a bloccarci sul “nuovo”.
E la tecnica narrativa attuale è quella della fiction tv, priva di un fine, un obiettivo. Lo spirito della serie, caratterizzato dall'immobilità  è ciò che contraddistingue il nostro modo di stare nel mondo.

Il presente, secondo Baricco, è l’unico accadimento; si esclude che esista un prima e un dopo.
Il web non è “nuovo”. Il web è diverso, non esisteva prima. E con esso ci sono due cose che possono essere diverse:
Il senso delle cose si raggiunge con velocità, superficialità, dinamicità.
L’idea di esperienza.
Il futuro è nelle mani dei “selvaggi di genio” non di fini intellettuali. È uno strappo con il presente. Dobbiamo renderci disponibili ad un cambio della grammatica del nostro pensiero. “Verrà distrutto il presente ed il nostro compito è quello di riscrivere ciò che verrà distrutto, con la grammatica del futuro”.

lunedì 22 dicembre 2008

Oltre la sostenibilità

E’ passato moltissimo tempo scientifico, sociale, politico ed economico da quando Aurelio Peccei e Alexander King fondarono negli anni ’60 il Club di Roma per affrontare ed individuare percorsi di crescita consapevoli ed alternativi adeguati per l’evoluzione globale del mondo (Meadows et al., 1972; 1993).
Il loro contributo generò, tra il resto, comprensione della sostenibilità di processi. In breve, come è ormai ben noto, la sostenibilità di un processo fu individuata nel fatto di non richiedere risorse di qualsiasi natura ad una intensità superiore a quella del loro rigenerarsi. Altrimenti il conseguente esaurimento avrebbe condannato qualsiasi processo basato su di esse a spegnersi oltre ad aver causato la scomparsa di tali risorse dissennatamente consumate.
Un atteggiamento di rispetto verso la sostenibilità ha inizialmente il positivo effetto di individuarla non solo nelle risorse direttamente da consumare, ma anche nella catena delle risorse da considerare. Si trattava di accendere attenzione ecologica non come posizione culturale o ideologica, ma come atteggiamento strategico e consapevole nuovo.
Il tema era infatti stato introdotto con riferimento alle risorse naturali di qualsiasi natura ed al loro ciclo di riproduzione naturale da conoscere e rispettare. Ciò riguarda, ad esempio, le risorse alimentari, energetiche, le materie prime e le necessità ambientali richieste dai cicli stessi, ad esempio climatiche come magistralmente introdotto da Georgescu-Roegen (1971, 1976, 1977a, 1977b, 1979).
Il riferimento era a processi di crescita quantitativa.
Successivamente il termine sostenibilità fu usato in maniera estensiva per processi di qualsiasi natura e con riferimento alle risorse richieste. Ecco che si parlò di sostenibilità di stili di vita, finanziaria, di aziende ed anche, in modo traslato, non misurabile, di rapporti interpersonali richiedenti tempo e attenzione dei singoli, come nel caso delle famiglie.
In campo socio-economico il termine fu usato non solo in riferimento alla possibilità di mantenere un processo nel tempo, ma anche in relazione alla sua crescita.

Riferendoci a sistemi socio-economici la crescita può essere considerata come un processo incrementale di qualsiasi natura (ad esempio lineare, esponenziale e descritto da curve logistiche caratterizzate da crescita decrescente limitata come nel grafico indicativo in fig. 1. Ciò era tanto più importante in quanto i sistemi economici dovevano manifestare continui processi di crescita, sostenibili ovviamente. Tuttavia era evidente la contraddittorietà tra la richiesta di sostenibilità e la richiesta di crescita continua. La tecnologia fu chiamata a risolvere la contraddizione estendendo la durata delle risorse con la loro riproduzione, ad esempio alimentari, sostituendo risorse tra loro, e riducendo i consumi.
Figura 1: Un esempio di curva logistica

Il termine sostenibilità fu poi esteso a tecnologie, prodotti e costruzioni intendendoli sostenibili quando capaci di ridurre non solo il consumo di risorse, ma anche l’inquinamento. A volte il termine sostenibile è sostituito da verde per indicare il rispetto per l’ambiente (ad esempio, benzina verde e ospedali verdi). Il termine verde è diventato una parola del marketing, mentre il termine sostenibilità inflaziona articoli; dichiarazioni, pagine web e brochure aziendali; libri e tesi nelle università.
Ormai anche bombardieri che utilizzano 1) solo bombe non messe al bando dalla comunità internazionale; 2) il cui equipaggio di cielo e di terra non è stato selezionato in base a criteri di razza, sesso, religione, età e lingua; 3) utilizzante carburante a basso inquinamento; e 4) che si prefigge di non colpire obbiettivi civili, sono sostenibili o verdi!
Quando ci accorgeremo che sono bombardieri???
La sostenibilità e l’essere verde sono diventate tematiche sintattiche e non semantiche.
La semantica viene ritrovata quando si parla di sviluppo e non solo di crescita. Si realizza che la crescita non è condizione sufficiente per lo sviluppo e neppure necessaria. Un processo di sviluppo può essere rappresentato in vari modi, ad esempio considerando (Minati and Pessa, 2006):
  1. la successione nel tempo di processi di crescita relativi allo stesso singolo processo oppure a processi sostitutivi, attivati ad esempio dall’innovazione in campo economico;
  1. l’armonicità o coerenza dei processi di crescita del sistema in esame in base ad un piano, un progetto di sviluppo. L’armonicità è così intesa come un fatto interno al sistema stesso, quasi fosse un aspetto inerente alla coerenza, alla reciproca compatibilità tra i processi di crescita stessa. Concettualmente si opera con considerazioni basate sul presupposto di operare in sistemi chiusi. Ad esempio crescite disarmoniche di vari aspetti aziendali come produzione, distribuzione, aspetti finanziari e risorse umane porteranno al fallimento. Allo stesso modo quando si parla di sviluppo di un bambino si parla dell’armonicità tra crescite di diversi aspetti del suo corpo e della sua mente. Disarmonicità nella crescita di singoli aspetti fisici porteranno a irregolarità antropometriche spesso di natura patologica;
  1. il passaggio tra curve di crescita quando vi è la fine e l’inizio di nuovi processi e prodotti grazie all’innovazione ed alla tecnologia;
  1. lo sviluppo come processo di emergenza1, come stormo di processi di crescita che acquisisce sviluppo come proprietà emergente. In questo contesto è il comportamento dello stormo di crescite a rappresentare sviluppo e può basarsi su comportamenti diversi delle singole crescite, anche disarmoniche ed alcune negative (come il volo degli uccelli di uno stormo).
In base a quanto sopra discusso, la tematica della sostenibilità si trova a diventare generica ed addirittura negativa quando intesa come conservativa e cioè inducente il mantenimento di equilibri incrementali piuttosto che trasformativi permessi da innovazione e processi tecnologici.
In questo contesto si va oltre la sostenibilità. Occorre considerare processi di creazione che possono sostituirsi ai precedenti, di emergenza e innovazione. Occorre considerare la sostenibilità di processi di emergenza, della capacità cioè di far emergere, innovare, trasformare e non solo dei singoli processi
La tematica della sostenibilità è spesso usata ipocritamente, confusa con tematiche ambientali ed ecologiche, senza permettere o favorire la visione sistemica complessiva dell’uso di risorse e neppure le relazioni tra effetti prodotti da cause e effetti prodotti da soluzioni.
Gianfranco Minati

1 Si hanno processi di emergenza (in Inglese emergence e non emergency, quella dell’ambulanza!) quando sistemi di elementi in interazione tra loro acquisiscono autonomamente effetti e proprietà come il comportamento di stormi di uccelli, sciami, folla, traffico e mercati, solamente influenzabili ma non decidibili.

sabato 20 dicembre 2008

Dante, i media, la tecnologia e il futuro

Stamattina mentre stavo chiudendo la porta di casa mi è balenata per la testa una idea che, nel tragitto tra casa e ufficio, si è andata precisando e mi è apparsa degna di essere socializzata. Allora lo scrivere è diventato inevitabile … E lo scrivere riguarda Dante, la tecnologia e il futuro.

Dante ha scritto una grande storia su come egli immaginava il mondo definitivo, cioè l’ “al di là”. Una storia che si è ingigantita nei secoli. E che ancora oggi raduna folle, quando viene proposta in pubblico. Raduna folle silenti e pensanti.

Ma Dante aveva a sua disposizione strumenti molto più limitati dei nostri. Strumenti molto più limitati per rappresentare, comunicare e realizzare storie: carta e penna, neanche la stampa. Certo non aveva nessuna tecnologia per realizzare l’ “al di là” immaginato.
Nonostante questa povertà di strumenti, egli ha scritto una delle più grandi storie del mondo. Tanti altri uomini (o gruppi di uomini) hanno scritto storie immense. In tempi in cui vi erano ancora meno strumenti e tecnologie.

Arriviamo a noi.

Noi disponiamo, per rappresentare le storie che immaginiamo nella nostra mente, strumenti di scrittura e di rappresentazione incommensurabilmente più potenti della carta e della penna d’oca: dal pc agli strumenti di fotografia, di ripresa, di simulazione, di grafica.
Disponiamo di strumenti incommensurabilmente più potenti di diffusione: dalla stampa, ad un sistema di trasporti e di distribuzione, alle rete.
Disponiamo di tecnologie potentissime per realizzare quello che abbiamo immaginato. Forse non mondi ultraterreni, ma quasi tutti i mondi terreni che ci possiamo immaginare.
Disponiamo di strumenti incommensurabilmente più potenti, ma li usiamo per scrivere e realizzare storie banali. Quasi sempre le stesse storie da circa quaranta anni …

Le stesse storie economiche.
Cioè le stesse imprese, lo stesso sistema finanziario, lo stesso sistema di servizi. Quando abbiamo tentato di scrivere una “New economy”, ci siamo persi nei biglietti di auguri via internet, come massima espressione creativa.

Le stesse storie istituzionali.
Siamo fermi alla divisione settecentesca dei potere e ad una democrazia rappresentativa molto rudimentale: la dittatura della maggioranza al di là del giusto, del vero e del bello.

Le stesse storie politiche.
Sostanzialmente le stesse parti politiche che si contrappongono come eserciti in guerra in nome di valori che, quando assumono i grandi nomi di libertà e giustizia sociale, appaiono, al sentirli, mobilitanti. Ma, poi, si dimostrano subito scatole vuote che vengono usate solo come armi per combattere l’avversario. Perché se qualcuno chiede come si fa a realizzare libertà e giustizia sociale, la riposta è sempre la stessa. Basta eliminare i cattivi. Cioè gli avversari politici, peste li colga.

Le stesse reazioni civili: forse chiarezza contestativa, ma ci vuole poco a capire che se si vuole conservare una società che ha fatto il suo tempo, in ogni sua dimensione apparirà insoddisfacente. Le stesse reazioni civili, ma poi la stessa isteria etica che risolve la sfida del costruire una nuova società con assurde pretesi di alterità del contestatore di turno.

La stessa visione del mondo che aveva Galileo, dimenticando tutte le conoscenze alternative che, da allora, nel tempo, nello spazio e nelle civiltà, si sono aggiunte alla sua visione ed alle sue conoscenze. Certo benemerite, anzi profetiche. Ma quasi 500 anni fa …

Allora forse la crisi economica, sociale, politica istituzionale, culturale e personale che stiamo vivendo non viene da qualche demiurgo incattivito. Ma dal fatto che stiamo riscrivendo da decenni le stesse storie banali mentre il mondo sta cambiando radicalmente. Come se fossimo rimasti nelle vecchie stalle invernali della bassa padana a raccontare storie di mondine, al tempo del Grande Fratello e delle veline.

Se questo è il problema, allora la soluzione è quasi banale, almeno a dichiararsi: occorre cominciare a scrivere la storia della nuova società nella quale vorremmo vivere.
Non stiamo a discutere di quali modalità di controllo sull'economia  Progettiamo una nuova economia: come dovrà essere il nuovo sistema produttivo prossimo futuro che dovrà fornire prodotti completamente nuovi, attraverso processi produttivi altrettanto nuovi. E come dovranno essere i nuovi sistemi finanziario e distributivo? Dove dovrebbe guardare la ricerca? Perché qualche problema ce l’abbiamo se spendiamo quasi dieci miliardi di dollari per costruire il più grande martello del mondo. Che, poi, si guasta appena dopo aver dato le prime martellatine di prova.
Quali nuove istituzioni che, invece di decidere chi comanda e su chi, possano permettere lo svilupparsi di una nuova progettualità sociale.
Che senso hanno parti politiche istituzionalizzate? Come si può pensare che non diventino autoreferenziali? Come si può pretendere che esita una netta divisione dei poteri quando una società complessa è proprio quella nella quale tutto si mischia?
Quale nuova visione del mondo, dopo quella galileiana, che condensi tutti le nuove idee emerse durante il ‘900?

Vale la pena di provare a scrivere questa storia perché abbiamo tutte le tecnologie per scrivere e, poi, realizzare. E’ obbligatorio provar a scrivere questa storia, altrimenti la Storia si scriverà da sola la storia della società prossima ventura. E, se si fa agire la Storia da sola, essa finirà con lo scrivere storie che finiscono troppo spesso nella tragedia.

Vogliamo cominciare?
Quale nuovo sistema economico? Quale nuovo sistema sociale, politico, istituzionale, culturale e mediatico vogliamo?
Io qualche primo capitolo della storia della società prossima ventura ho cominciato a scriverlo. E non ha come personaggi, né chiave, né comprimari, Berlusconi e Veltroni. Citati in rigoroso ordine alfabetico, come i ragazzini a scuola …

Da solo non riuscirò certo a finirla. Ma in tanti insieme, sì. Così tra cinque secoli diranno che più di sette secoli dopo Dante è nato un nuovo Dante sociale che ha saputo scrivere una nuova e più intensa commedia, degna delle mille nuove penne e dei mille nuovi calamai di cui disponiamo.

Francesco Zanotti

Tanta libertà, tanta tecnica, tanto amore. Che farne ora?

Tra i tanti articoli apparsi sulla stampa riguardo la crisi dell'auto, mi ha colpito quello di Henning Sussebach pubblicato recentemente sul settimanale tedesco Die Zeit.
Il giornalista compie un viaggio di 1500 chilometri sulle autostrade tedesche, da Monaco a Flensburg al confine con la Danimarca, ma più che per le città percorre un viaggio tra gli automobilisti.
In coda su un'autostrada per un incidente, osservando i vicini nelle loro auto lustre, i bambini sui seggolini, la vita all'interno di queste scatole veloci, si lascia andare all'esclamazione che ho riportato nel titolo.
Trovo che Sussebach abbia centrato il problema, con questa semplice battuta, meglio di tante analisi tecnico-economiche di cui siamo stati inondati in questo periodo.
L'industria dell'auto, come tutte le industrie, è industria dei sogni.
Un prodotto di successo, un mercato in espansione ha relazioni con margini, market-share e fatturato così come il tasso di colesterolo o della glicemia nel sangue di Dante Alighieri con la Divina Commedia.
La vera domanda da porsi è quella di Sussebach e credo che il reale motivo della crisi risieda proprio nella perdita di senso in cui sia caduta l'industria dell'auto.
Come tutte le industrie, crescendo e perdendo i loro Eroi, gli imprenditori che l'hanno fatta emergere (Agnelli senior, Ford, Benz, Romeo, Ferrari e tanti altri in Europa USA e Giappone) la macchina produttiva automobilistica ha perso via via la capacità di rimanere attaccata in modo viscerale al suo cliente, comprenderne le esigenze emotive e tradurle in un qualcosa che avesse senso per tutti (produttore e consumatore, o meglio, poeta e ascoltatore). I "mannàgger" che si sono succeduti a questi "poeti" hanno creduto che la magia creata da quegli uomini potesse essere perpetuata all'infinito semplicemente agendo sulle variabili quantitative, perdendo il contatto con la complessa e ampia sfera di bisogni intangibili, in costante trasformazione e spesso contraddittori (mobilità versus automobile, potenza vs. ambiente, bellezza vs. costo, ecc.) della comunità da SERVIRE e non di cui servirsi.
L'auto ha significato per noi tutti energia, libertà, identità, tecnica, amore e tanto altro ancora. Qualcuno può sostenere che siano bisogni decaduti? Penso proprio di no, il problema è che l'auto, così come è adesso, non li soddisfa più ed è su questo che dovrebbero concentrarsi gli industriali di questo come di altri settori in crisi.

lunedì 15 dicembre 2008

Contraddizioni di oggi: le Banche e il caso Madoff

Cliccando il titolo potete leggere, con maggiori dettagli, la notizia.
Brevemente: un certo Signor Madoff ha messo in piedi un sistema di investimenti per 50 miliardi di dollari che è fallito. Coinvolti anche investitori italiani posseduti da varie grandi banche nostrane che pare abbiano investito in questo "bell'affare" anche tutte le raccolte effettuate.
Non so se questa storia sia paradigmatica di come le banche utilizzino i nostri soldi, fatto sta che è capitata, come ne sono capitate altre, note e meno, sul fronte Wall Street, ovvero quello finanziario-speculativo.
Dal fronte opposto, le operazioni su quello che possiamo definire Main street (le aziende che hanno bisogno dell'ossigeno finanziario per campare, l'economia reale) il sistema bancario è molto più rigoroso, si è dato regole ferree, sistemi di ranking, analisi di bilancio, del sangue, tac e radiografie dell'azienda che chiede credito per evitare di incappare in situazioni di futura insolvenza e, così facendo, sta stritolando il tessuto economico in quanto la realtà delle aziende è ben più complessa degli intricati sistemi di indici che le banche hanno definito.
Ad occhio è chiaro che si tratta di un sistema di due pesi e due misure.

Facile la critica alle vituperate banche ma lo scopo di questo breve scritto è un altro. In una situazione così complessa, come quella della nostra società attuale, dimostrano i limiti sia la rigida regolamentazione alla "Basilea2" sia l'estrema liberalità dei mercati finanziari e dei loro operatori.
Stiamo assistendo ad un sistema, le banche in questo caso, che ha voluto adottare due modalità di operare diametralmente opposte, e che ha fallito in entrambi i casi.
La cronaca di sicuro ci consegnerà altre evidenze di questo tipo, e sarà mia cura evidenziarle, ma rimane il quesito di fondo: che fare? Se rigida pianificazione centralizzata, tipica dei defunti regimi comunisti, ed estremo liberismo senza regole, caratteristico del capitalismo gravemente ammalato, entrambi si sono rivelati fallaci per rispondere alle domande di benessere della società, quale strada intraprendere adesso?

Ecco un dibattito da aprire urgentemente, e che è nostra intenzione approfondire da queste pagine, a partire da punti di vista completamente diversi.
Il primo obbligo di tutti è tornare ad imparare, riprendere a studiare per conoscere nuovi punti di vista, apprendere nuovi strumenti da discipline diverse che possono fornire spunti e suggestioni nuove, che ci aiutino a costruire una visione del mondo profondamente diversa, unica strada per trovare soluzioni ai problemi di oggi.
Un primo spunto appare chiaro: le soluzioni devono emergere in virtù del contesto, mutabile con grande velocità, e devono vedere la partecipazione di tutti gli attori coinvolti, tutte le parti, nessun escluso. Rinunciamo definitivamente alle regolamentazioni centralizzate (le "Basilea2") e all'assenza totale e pervicace di qualsiasi regola (il loro opposto) per darci delle indicazioni di carattere generale che ci aiutino, volta per volta, a trovare le soluzioni giuste.
Quali sono? Come procedere? Ecco un buon inizio per un dibattito davvero diverso perché il mondo come lo conoscevamo fino a ieri è davvero finito e dobbiamo darci da fare per costruirne, pacificamente e senza attendere le "guerre purificatrici" del passato, uno nuovo.

lunedì 8 dicembre 2008

Costruiamo la primavera... in questo inverno

Da quando ho una ragionevole coscienza delle cose sento un profondo cicalio di lamenti, che il più delle volte si risolve non in una pragmatica ricerca delle soluzioni, delle risorse e modalità per implementarle quanto, in aggressioni verbali ed accuse per le azioni passate a volte commesse dagli antenati dell'avversario. Gli stessi discorsi che tornano su loro stessi; l'ho sentito fare presso i bar dei comuni di provincia dove simpatizzanti politici di diverse aree, qualsiasi fosse il punto di partenza di una discussione sul presente, arrivavano comunque a scambiarsi le medesime accuse per fatti di dieci, venti, a volte anche trenta, anni prima. Ogni volta, un continuo replay del passato. Lo si vede molto frequentemente, ancora oggi, sui quotidiani nazionali, in convegni e dibattiti di più alto livello da parte di più colti e potenti interlocutori, e più colto pubblico. Non sono certo che sia una strategia razionale scelta per affrontarsi su temi di letteratura, ed accademia, piuttosto che sulle responsabilità e le concrete progettualità dell'oggi. Mi viene il sospetto, una accusa anche peggiore, che sia proprio una forma mentis.
E così non posso che abbandonare il discorso sul passato (che va da sé bisogna conoscere ed apprezzare, capire ed approfondire, ma non in questa situazione) e proiettare il tema in avanti. Senza voler ignorare, ma per necessaria economia delle risorse cognitive prima ancora che materiali.
Le sfide dell'oggi e del domani sono così grandi , mondiali, sistemiche, che non possiamo che dedicarci a quelle: coniugare benessere economico delle imprese e delle persone, giusti rapporti tra popoli nel mondo, libertà personali, il futuro del pianeta e delle prossime generazioni. Mai prima di ora abbiamo avuto così tante conoscenze e tecnologie, possibilità ed anche ingiustizie.
Quale sviluppo, quali modelli produttivi, quali modalità di distribuzione, quali libertà e quali responsabilità, quale modo di decidere , governare, eleggere? Quali modelli e percorsi formativi, educativi, di socialità? Quali rapporti con l'ambiente e l'energia? Quale quantità? Quanta qualità? Giustizia, libertà e verità, In aggiunta: e come? E chi? Tutto questo in prospettiva locale, e mondiale.
Sono le domande enormi che la grande crescita tecnologica, scientifica, ed ideale ci hanno portato a dover affrontare. Enormi questioni che rendono affascinante il calcare col piede la terra degli anni 2000. Per moltissime persone, responsabili in proporzioni diverse, di quello che avviene ed avverrà, diversamente dai secoli passati. Domande che riguardano la collettività, che ci coinvolgono a cui dobbiamo e possiamo insieme procedere a rispondere, solo insieme costruire delle proposte.
E così, sebbene in tanti ambienti (popolari, istituzionali, d'avanguardia, salottieri o meno...), sia diffuso l'adagio che sia necessario cambiare e fare, in realtà poco o nulla avviene, non si sa bene che fare o dove andare o se c'è qualche intuizione di sorta, manca la capacità di passare dalle parole alla pratica, dall'azione individuale a quella collettiva, si affoga negli ismi.
Eppure sappiamo moltissimo e sempre di più. Ci sono tante conoscenze e competenze, tantissime persone valide ed organizzazioni intelligenti, gruppetti preparati e validi, innovativi, ma troppo autoreferenziali o sconosciuti, poco dialoganti, o non sufficientemente influenti o diffusi. Si fa fatica a costruire una visione generale e motivante per tutti (sia chi ha da guadagnare chi da perdere nel breve periodo), ad organizzare una azione collettiva, sebbene diversificata in modi, forme, tempi.
Nella società italiana, ribollono progetti, micro attività, laboratori, piccoli imprenditori, riflessioni, sperimentazioni di processi politici intelligenti, competenze, risorse non usate, voglia di fare desiderio di miglioramento, valori positivi.
Ma la società non è perfetta, è incapace. Manca la poesia o la filosofia forse la teologia, per suonare una musica tale per cui ciascuno ne riconosca strofe e ritornelli e capisca come suonare la sua parte, in armonia col resto. Non c'è nessuno che possa dirigere e guidare il tutto, ma manca un cantastorie che faccia di tanti fili colorati una tela con cui coprirsi.
L'Italia è un magma in movimento, una donna in travaglio, un minestrone che ribolle, pronta per un altro Rinascimento; ci sono da rimuovere gli argini ed i frenatori, il gufi e gli uccelli del malaugurio, i detrattori, le sanguisughe, i soffocatori.
Da qui, cari amici, dalla composizione poetica e visionaria, che faccia trovare un ruolo a ciascuno ed un giusto ritmo alle cose, c'è da ripartire. Un concerto non per raccogliere fondi ma per mostrare quante possibilità ci sono intorno e quanto è meglio suonare in gruppo, coerenti e caotici al contempo, più che fischiettare lamentosi ognuno nel proprio cantone. Che ciascuno sappia che gli altri pezzi lo sosterranno, nella direzione forse più faticosa perché nuova e non scontata, non abituale e quindi da imparare, supportare, ricordare ogni giorno.
Ci sono le possibilità ora, grazie alle tecnologie ed alla più diffusa capacità di usarle, ma non basta, perché questo avvenga occorre che si prendano armi e bagagli e si parta, ci si muova, si provi, e si inizi. Prima con le parole poi con le azioni. Che qualcuno scriva le prime righe e che gli altri compongano il resto del romanzo. Anche senza sapere chi siano i personaggi, chi i protagonisti, né la trama, né tantomeno i finali possibili (ma è davvero arrivare al finale?).
Aleph V ha deciso di emettere pubblicamente i suoi balbettii, che da tempo coltiva e diffonde sussurrando, c'è di certo qualcosa di buono da cui partire. Ad ognuno la possibilità e la responsabilità di dare il proprio contributo, in base alle proprie possibilità, per perfezionare il disegno; si parte dalla conoscenza, frutto della storia dell'uomo, ma è sopratutto un dialogo, una conversazione, con la parola si costruisce il futuro, si cantano le canzoni. Di certo sarà appassionante e piacevole, molto più che lamentarsi; un esperimento, speriamo una "impresa" di successo. Non sappiamo se ce la faremo, dove il soggetto è un noi molto allargato, a beneficio di tutti, ma di certo sappiamo che la grandezza non sta solo nei risultati ma anche nel coraggio di tentare. Siamo fiduciosi, siate fiduciosi, per scaldarci dobbiamo aprirci e mettere a disposizione conoscenze, possibilità, risorse affinché germoglino positivamente anche nel freddo inverno.
Ci sono già in gran parte, ma devono fare massa critica per pensiero comune per incidere davvero.
Buongiorno Italia, E' primavera.
Aleph III

martedì 2 dicembre 2008

Ma quando ci sarà la ripresa? Di questa economia, mai!

Leggo sul Sole 24 Ore di oggi (2 dicembre 2008), a firma Carlo Basastin, un pregevole articolo dal titolo “La fiducia e il costo delle riforme”.
Mi ha colpito molto una affermazione, quasi una certezza, che a me sembra proprio sbagliata. E se è sbagliata rende problematiche tutte le osservazioni (non mi sembra vi siano proposte) e le esortazioni al Governo presenti nell'articolo. Come quando togliete una pietra angolare …

L’affermazione è “Anche gli scenari peggiori contano in una ripresa globale nell’arco di 6-16 mesi.”.
Be’ una prima cosa da dire è che previsioni di questo tipo lasciano perplessi. Hanno una variabilità così rilevante (16 mesi sono quasi tre volte 6 mesi) che è come se, quando andate a comprare le scarpe, dite al commesso che avete un numero tra il 32 e circa il 90. Francamente: di una previsione di questo tipo non ce ne facciamo quasi nulla.

Ma la domanda più importante è un’altra.
Si prevede, sia pure con una incertezza quasi esiziale, la ripresa dell’economia, ma: di quale economia?
Se la risposta è: di questa economia, allora è una risposta completamente errata.
La ripresa di questa economia non vi sarà. Le ragioni sono sostanzialmente due … Più tante altre …

La prima delle due è che il sistema di output (i prodotti che stanno sugli scaffali) di questa economia interessano sempre meno. Quindi dovremo attenderci un calo del Pil generato da questa economia. Non vi sarà ripresa di questi consumi.

La seconda delle due è che, anche se tutto il mondo volesse alla follia i prodotti generati dall'attuale sistema produttivo, non vi sarebbero le risorse (materie prime, energia etc.) per farli. E non vi sarebbero le risorse e l’energia per costruire il sistema di infrastrutture necessario a far viaggiare materie prime e prodotti.

E poi vi sono le altre ragioni. Citando in ordine sparso …
Le strategie di sviluppo sono sostanzialmente competitività e produttività. Ma esse portano a ridurre gli occupati nelle imprese. Si immagina, forse, che essi saranno assorbiti da altre imprese che, poi, dovranno espellerli per essere più produttive e più competitive? E se si riducono gli occupati, questi licenziati, quando diventano consumatori, dove prendono i soldi per consumare?
Forse si gioca sulla innovazione tecnologica? Ma abbiamo valutato quanta occupazione potranno generare tutte le start-up su nano e biotecnologie possiamo immaginare? E che tipo di occupazione? O pensiamo che le innovazione tecnologiche sapranno rilanciare l’interesse per i prodotti attuali, aumentandone il contenuto tecnologico?

Allora che fare se questa economia non può riprendere? Banale: progettarne un’altra all'interno di una nuova società.
Più precisamente … Non dobbiamo cercare di fare funzionare meglio le imprese esistenti. Dobbiamo progettare un nuovo sistema di imprese che costruisca un nuovo sistema di consumi. Dobbiamo progettare un nuovo sistema di servizi e di infrastrutture. Nuove istituzioni ed un nuovo modo di fare politica.

Per riuscirci? Certo non riesco a costruire una proposta complessiva, ma alcuni semplici balbettii, sì! Sarà poi la riflessione comune che trasformerà i balbettii in proposta.

Primo balbettio: dobbiamo abbandonare le parole mito. La prima è: competitività. Essa ha oramai perso il suo significato originario di “produrre maggior qualità a prezzo più basso dei concorrenti”. E’ diventata una parola-valigia che oramai sta ad indicare tutto il buono ed il bello. Tutti sono d’accordo che la competitività è un valore, ma è un valore così generico che ognuno poi propone di raggiungerla in modo diverso. Soprattutto tutti sono d’accordo sul fatto che non va bene il modo proposto dall'avversario politico o aziendale che sia.

Secondo balbettio: dobbiamo aumentare la capacità di consapevolezza e progettualità di imprese e banche.
Intendo dire che le imprese e le banche devono sapere quando i prodotti di una impresa hanno perso di senso, cosicché la competitività è strutturalmente impossibile. Ed è necessario riprogettare l’impresa, ma con una sapienza progettuale molto più intensa dell’attuale, mortificata dai confini angusti della competitività.

Terzo balbettio: dobbiamo superare le tentazione di semplificare il politico ed il sociale. Ma imparare a considerare un valore e a gestire il continuo loro (del politico e del sociale) aumento di complessità, cioè di ricchezza della società.

Quarto balbettio: ripensiamo alle previsioni. La prima cosa che dobbiamo è smetterla di prevedere. Il futuro non è costruito da qualche dio minore o maggiore. E’ frutto dei nostri comportamenti. Se viviamo una crisi che diventa sempre più grave è perché ce la siamo costruita noi e ci crogioliamo dentro. Se continuiamo ad aspettare che la crisi passi e continuiamo nei comportamenti precedenti, allora la crisi peggiorerà. Come quando ci si tira la zappa sui piedi. Per non sentire male si può solo smettere di zappettare i piedi. Se si continua, magari proponendosi di farlo competitivamente, non si può attendere che in tutti i prossimi sedici mesi ci si farà sempre male.

Balbettio finale: ma come fare a balbettare in questo modo?
Mollando la zappa. Se si tiene in mano la zappa si menano colpi … Voglio dire che oggi stiamo usando per guardare il mondo e viverci la cultura che ha fondato la società industriale: il pensiero vetero-scientifico di Galileo. Vogliamo costruire una nuova economia ed una nuova società? Dobbiamo cambiare la nostra visione del mondo di riferimento. Dobbiamo mollare la zappa.
E cosa prendiamo? Esiste una interamente nuova cassetta di strumenti (cultura, linguaggi) che viene etichettata come “complessità”. Vi sono strumenti per aumentare la consapevolezza e la progettualità di banche ed imprese. Vi sono strumenti per gestire la complessità politico sociale. Si tratta di una nuova cultura che ci spinge non a prevedere ed a costruire.

domenica 30 novembre 2008

Accadde oggi … 30 novembre 2008

Da dove cominciare?
Da una affermazione banale, ma fondamentale. Oggi viviamo certamente una grande crisi. Si dice sia nata dalla finanza, si espanda nell'economia e contamini tutta la società.
Vogliamo proporre una visione opposta. Nasce nella società, si espande nell’economia e si manifesta nella finanza. Certo che quando poi la finanza si incasina, i suoi guai si ripercuotono su economia e società in un perverso circolo vizioso.
E’ una visione che cambia radicalmente le carte in tavola. Soprattutto porta in primo piano i nostri valori e i nostri comportamenti. Sono essi che stanno generando la crisi che ci attanaglia …
Allora dobbiamo cambiare noi e non chiedere agli altri di cambiare …

giovedì 27 novembre 2008

Tra Abbondanza e Carestia



In uno degli ultimi numeri di Internazionale, Loretta Napoleoni, economista italiana che vive e lavora a Londra, lancia un proclama all'azione rivoluzionaria.

Niente armi, né assalti ad avversari ma l’invito ad inventare un’altra teoria economica. E’ chiaro ormai a tutti che il modello economico attuale si basa su presupposti irreali: la presenza di risorse infinite (infinite materie prime, infiniti consumatori, infiniti spazi,ecc.).
Giusto per fare un esempio banale, qualora ce ne fosse bisogno, se ogni abitante del mondo occidentale, che mediamente possiede dieci paia di scarpe di pelle, volesse condividere con gli altri abitanti della terra questo standard, non ci sono, né ci potrebbero essere in futuro, vacche a sufficienza per confezionarle dal loro cuoio. Idem se le scarpe fossero di plastica (data la crescente scarsità di petrolio, ahinoi anch’essa limitata).
Anche se non viene detto, le ricette per superare questo paradosso sono quelle di aspettare cicliche crisi che mettano fuori gioco gli attori deboli a beneficio dei forti. La stessa Napoleoni esemplifica efficacemente questo meccanismo: “…come risolvere il problema dell’acqua? Gli economisti classici questo problema se lo sono posto e una soluzione l’hanno trovata: chi non si potrà permettere l’acqua morirà di sete, e la popolazione mondiale si ridurrà fino al punto in cui ci sarà acqua a sufficienza per i sopravvissuti.
E noi saremmo una società culturalmente evoluta!
Se questo è il gioco, è un gioco al massacro che prevede solo due squadre: chi devasta e chi viene devastato.
Da qui l’esigenza fortissima di ripensare non solo l’economia ma anche il motivo per il quale parliamo solo di questa, chiederci perché è diventata il valore principale della nostra esistenza. I segnali sono sempre più numerosi e chiari, anche se deboli, e si impone una riflessione che conduca ad una nuova coscienza collettiva, un nuovo assetto sociale globale, per dare un futuro alle generazioni a venire realmente diverso, non segnato, come accaduto finora dall'inizio della storia dell’umanità, dalla ciclica alternanza di abbondanze e carestie.

Luciano Martinoli

...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.