lunedì 29 febbraio 2016

Prof. Boncinelli, non tradisca la scienza

di
Francesco Zanotti
Presidente ApEC

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Nell’ultimo numero dell’inserto “La lettura” del Corriere vi sono pagine dedicate al confronto tra Fede e Scienza. Ho letto, mi è sembrato un dibattito serio anche se un po’ astratto. Poi, ho saputo del libro di Eduardo Boncinelli e mi sono letteralmente scandalizzato.
Il titolo del libro è “Contro il sacro. Perché le Fedi ci rendono stupidi.”.
Passi il titolo offensivo per i credenti: che ci volete fare …
Ma la cosa che mi ha, appunto, scandalizzato è che Boncinelli chiama a testimonianza la Scienza per dare degli stupidi ai Credenti. Ma la scienza di cui parla è una scienza tutta sua. E’ la scienza che egli conosce e che scambia con la scienza esistente. Ma non è così.
Il lettore mi lasci dettagliare.
La prima cosa da dire è che un Credente non è un dimostrante. Non pretende di saper dimostrare razionalmente l’esistenza di un Dio. Quindi, non cerca di convincere chi non è credente. Mentre un ateo è un “dimostrante in servizio permanente effettivo”. Vuole a tutti i costi dimostrare che Dio non esiste. E si arrampica su tutti gli specchi che trova per riuscirci. Nel caso di Boncinelli fino all’insulto.
Premesso questo, arriviamo alla scienza. 
Devo riprodurre un passo del brano del libro "incriminato" per spiegare perché sostengo che la scienza che Boncinelli chiama a testimone è una scienza tutta sua.
A pag. 35 si legge “Qualcuno che vuole apparire più moderno, ma che non sa rinunciare a una visione progressiva e direzionale dei fenomeni evolutivi, invoca fantomatici processi di autopoiesi, di auto-organizzazione o di una non meglio definita spinta naturale verso una complessità biologica crescente. Di tutto questo non c’è alcuna evidenza e, soprattutto, non vi è alcun bisogno. I meccanismi a base dei processi evolutivi sono chiari. Sono il progettista e il supervisore a mancare.”.
Che dire? Che queste affermazioni sono un coacervo di confusione. Innanzitutto chi parla di sistemi autopoietici e di auto-organizzazione, per definizione, esclude che vi sia un progettista o un supervisore. Se per qualcuno di loro Dio esiste, non è certo né progettista, né supervisore.
Poi i processi di autopoiesi e di auto-organizzazione hanno così rilevanti evidenze scientifiche che solo evoluzionisti ideologici (che parlano di evoluzione solo perché questa sembra a loro uno strumento per negare che Dio esiste) possono negare.
Oltre ai processi autopoietici vi sono anche i processi emergenti frutto di rotture di simmetria ... fa male anche solo il pensare di continuare. Caro amico Boncinelli, il riduzionismo dell’Ottocento è passato …
Cito una citazione di Massimo Piattelli Palmerini nel suo ultimo libro “Il nono giorno della creazione”. Anche il prof. Piattelli Palmerini è ateo dichiarato, ma non usa la scienza per sostenere il suo essere ateo. Egli cita una frase del Prof. Leonid Kruglyak che su “Nature” (non una rivista di qualche setta religiosa) aveva scritto nel 2010 “E’ possibile che vi sia qualcosa che assolutamente non comprendiamo, qualcosa che è così diverso da ciò che ora stiamo pensando che non ci stiamo neanche pensando”. Prof Boncinelli, non è vero che i meccanismi a base dei processi evolutivi sono chiari.
Prof. Boncinelli, spingiamo i giovani ad andare molto al di là di quello che le nostre vite fino ad oggi ci hanno permesso di fare. Non pensiamo di consegnare loro una verità completa sostenendo che si dovranno occuparsi dei dettagli. Sono più di cento anni che la scienza ha capito che tutte le volte che si è illusa che “basti sistema qualche decimale” ne è nata una rivoluzione.

E, poi, se qualcuno di questi giovani vuole sperimentare una Fede, non diamo loro degli stupidi perché non accettano i nostri rifiuti. 

domenica 28 febbraio 2016

Il Papa, la Confindustria e la conoscenza

di
Francesco Zanotti
Presidente ApEC

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Ovviamente non c’ero, ma dai giornali mi sembra di aver colto un fondo di grande emozione e di voglia di “bontà” nell’incontro tra Papa Francesco e Confindustria. Lasciatemi usare questa parola antica ed un po’ intimista per indicare un sentimento personale di retta e profonda voglia di bene.
Ma, nello stesso tempo, dai resoconti dei giornali non si fatica a cogliere una tensione tra l’ideale e il contingente. Sì, tutti vogliamo (e credo che il desiderio sia profondo e per nulla strumentale) ... lasciatemi usare un’altra espressione un po’ intimista, ma da rivalutare .. vogliamo un nuovo e diverso bene comune. E tanti industriali lo hanno sempre voluto e negli anni del boom costruito. Già Pasquale Gallo Direttore generale dell’Alfa Romeo nel primo dopo guerra si chiedeva: “Ma dovremmo fare industria sulla miseria degli italiani?”.
Ma ora questo bene comune sembra diventare sempre più difficile. Sintetizzo una possibile obiezione: “Ma come faccio a dare un contributo al bene comune quando la mia azienda non produce cassa e non riesco neanche più a pagare non solo gli operai, ma neanche le tasse?”.
Io credo che Papa Francesco, abbiamo individuato il problema e, così, facendo ha indicato la soluzione, nella sua Laudato sì: “Il problema è che non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi”.
Si costruisce sviluppo quando si costruisce anche una nuova visione della società. Oggi noi non costruiamo sviluppo perché non abbiamo nessun modello sociale di riferimento. E non abbiamo le risorse cognitive necessarie per comprendere che la sfida è proprio questa ed affrontarle.
Mi devo correggere: queste risorse cognitive mancano alle classi dirigenti, ma sono disponibili nella società.
Allora se veramente le classi dirigenti attuali vogliono coniugare il bene con il contingente devono fare una cosa semplicissima. Mettersi a “studiare”. Cioè appropriarsi di risorse cognitive indispensabili ma che non sono nella loro disponibilità. I nostri blog oramai sono una sorta di enciclopedia di risorse cognitive non utilizzate, ma preziosissime. Abbiamo ora anche iniziato a pubblicare libri …
Ma non siamo sempre a contrapporre ideale e concretezza dei problemi? No! Perché proprio gli industriali possono pensare di tornare a produrre ricchezza solo attivando una nuova progettualità strategica. E per farlo servono risorse cognitive di cui non dispongono: le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa. Solo se le acquisiranno e le useranno ritorneranno a produrre concretamente ricchezza, cioè cassa.



venerdì 26 febbraio 2016

Italia, il Paese più “onorabile” della UE

di
Francesco Zanotti
Presidente ApEC

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Parola di tedeschi.
Stamattina Marco Fortis (a cui non si possono non fare i complimenti per la capacità di scovare e commentare conoscenze nascoste, ma rilevantissime) sul Sole 24 Ore ci informa che un “Think Tank” tedesco liberista (quindi contrario al debito pubblico) ha stimato una classifica sul debito pubblico “complessivo” dei Paese UE. Questo debito complessivo è dato dal debito pubblico “esplicito”, cioè quello di cui si parla normalmente, più quello “implicito”, cioè quello che verrà generato nel futuro, ma di cui già oggi si è certi (costi pensionistici, della sanità, generati dall’invecchiamento della popolazione).
Ora il debito pubblico complessivo italiano è il più basso della UE: 57% sul PIL. La Germania è solo al settimo posto e con un dato che dovrebbe preoccupare: 149% del PIL. Gli altri Stati Fondatori stanno ancora peggio. La Francia ad esempio è al 291% del PIL.
Fortis cita (ridicolizzandola) una possibile obiezione. ”Ma ai mercati interessa il debito di oggi e non quello futuro”. Essa è così cretina che non andrebbe neanche menzionata se non fosse rivelatrice del pericolo che costituiscono quelli che erano considerati i “Masters of the Universe” della finanza: il fatto che non capiscono che il debito non viene ripagato oggi, ma domani. E se al debito attuale se ne aggiungerà certamente un altro, quello attuale diventa di più difficile pagamento. Insistendo: questi signori non sono tanto pericolosi perché “rapaci”, ma perché ignoranti. Gli stupidi di Cipolla.
Ma torno al tema principale. E banalmente mi allineo alle posizioni di Fortis. Ma perché ci facciamo continuamente bacchettare quando siamo i primi della classe in “economia Pubblica” da coloro che stanno molto peggio di noi?
Provo però una risposta: perché i nostri Governanti ignorano queste cose. Ed è una risposta grave.


mercoledì 24 febbraio 2016

Brexit si o no? Domanda fuorviante!

di
Francesco Zanotti
Presidente ApEC

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Se voglio piantare un chiodo uso il martello. Se voglio svitare una vite uso un cacciavite.
Il martello e il cacciavite sono uno strumento. Non si sta a discutere se è meglio un cacciavite o un martello in astratto, senza sapere cosa se ne vede fare.
Lo stesso discorso vale per l’uscita della Gran Bretagna dalla UE.
Occorrerebbe sapere quale il Progetto di Sviluppo di quel Paese per poter discutere se Brexit è funzionale o meno alla realizzazione di quel progetto paese.
Purtroppo (non solo per loro, ma anche per noi) La Gran Bretagna non ha un Progetto paese.

Allora la discussione è sterile. E’ solo un’occasione per rinfocolare conflitti ideologici novecenteschi.

domenica 21 febbraio 2016

Un grande progetto nella conoscenza

di
Francesco Zanotti
Presidente ApEC



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Oggi tutti chiedono grandi progetti per Milano. Ma tutti si limitano a progetti “fisici”. Pur necessari, pur audaci. Ma sempre progetti di cose e non di pensiero.
Esiste lo spazio per un grande progetto sulla conoscenza.
Oggi la conoscenza umana è spezzettata in specialismi che la stanno spegnendo.
Siamo ancora alla suddivisione tra scienze umane e scienze naturali. All’interno di ogni disciplina gli specialismi impediscono di averne una visione complessiva e cercarne un significato sociale più complessivo. Gli specialismi generano paradossi che frustrano ogni desiderio di completezza e coerenza.
La fisica né è l’esempio più eclatante: oggi abbiamo leggi fisiche (per di più tra loro incompatibili) per spiegare intorno al 4% della materia-energia presente nell’universo.
Forse il guaio più rilevante è che nessuno di questi specialismi permette di capire e riuscire a governare i sistemi umani: dall’educazione allo sviluppo strategico delle imprese. Con mille altri “sistemi umani” sopra, sotto, intorno a lato.
Abbiamo una conoscenza che rischia di rischiarare solo piccoli mondi virtuali, lasciando nell’ombra la vita.
Allora pensiamo ad un progetto che cerchi di raccogliere gli specialismi esistenti ed a tentarne una sintesi. Che verrà giudicata eticamente ed esteticamente. Orientata a renderci protagonisti e non a subire l’evoluzione dei sistemi umani.
Che ne penseranno i candidati sindaci di Milano?


giovedì 18 febbraio 2016

Il Vertice Europeo di oggi. Magari Luhmann si sbaglia, ma non credo

di
Francesco Zanotti

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Oggi sul Sole 24 Ore Sergio Fabbrini parla del Consiglio Europeo che si terrà oggi. 
Due sono i temi: cosa fare per evitare l’uscita della Gran Bretagna dall’UE e cosa fare di fronte ai flussi migratori.
Fabbrini dice che per prendere grandi decisioni servono grandi leader e sommessamente pensa che oggi non ce ne siano sulla piazza.
Ora, prima di tutto, cambierei le parole: non servono grandi decisioni, ma grandi progetti. Decidere non è progettare: sono due operazioni cognitive radicalmente diversa. Ma sorvoliamo … anche se non si dovrebbe.
La cosa più importante da far notare, pensando a Luhmann, è che la grandezza del leader non conta nulla. La dinamica politica dei Vertici che devono decidere (progettare dico, io) fa sì che le decisioni siano inevitabilmente irrilevanti. Infatti, sono il risultato degli scambi comunicativi all’interno del gruppo che deve decidere. Sono una fotografia dell’equilibrio interno al gruppo di coloro che decidono. Ed è difficile che una decisione che rappresenta un equilibrio interno ad un  gruppo abbia un influenza prevedibile all’esterno.
Pensate alla danza della pioggia. Fa piovere? No! Se cambiate tipo di danza la pioggia si decide a scendere? Ovviamente, no!
Allora i lavori di ogni gruppo di Vertice sono sempre danze della pioggia. Un leader forte può cambiare il tipo di danza, ma la pioggia se ne frega.
Cioè: i guai per risolvere i quali ci si è riuniti non trovano soluzione.


martedì 16 febbraio 2016

Chi di muro perisce …

di
Francesco Zanotti

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Ecco in questo caso il proverbio andrebbe parafrasato: chi di muro è perito di muro vuol fa perire. E’ drammatico che proprio i paesi dell’EST Europa vogliano affliggere a popoli martoriati la stessa tragedia che ha imposto loro la cortina di ferro. Ai popoli dell’Est si sparava quando cercavano di scavalcare il famoso muro. Oggi sono loro che vogliono sparare a coloro che cercano di scavalcare il muro creato da loro stessi.

Classi dirigenti egoistiche? Forse, certo classi dirigenti “dotate” di banalità cognitiva e memoria corta. Da sempre tutti coloro che hanno costruito muri per dividere sono stati travolti dal loro crollo.

domenica 14 febbraio 2016

Futurologia del passato

di
Francesco Zanotti
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La Lettura di oggi (l’inserto culturale del Corriere della Sera) propone un’intervista a Jacques Attali e sulle sue previsioni del futuro.
Egli prevede che si succederanno cinque fasi:
  • La fine dall’impero americano entro il 2025
  • il mondo policentrico entro il 2035
  • l’iperimpero entro il 2050
  • l’iperconflitto nel 2060 (con tanto di uso di bombe nucleari)
  • l’iperdemocrazia dopo il 2060.
Cosa c’è che non va? L’uso delle parole. Usa le stesse parole che si usano oggi. E per marcare la differenza con l’oggi (non si può sostenete che il futuro sarà uguale ad oggi) le “iperizza”. Il futuro è solo un mix esagerato della realtà attuale. Con un finale ottimista, ma banale. Ci sarà una democrazia più funzionale di quella attuale. Ma finali banali sono solo quelli della letteratura di secondo ordine, non quelli che la realtà costruisce.
Io credo che il futuro sarà esattamente quello che ci costruiamo ogni giorno usando le risorse cognitive di cui disponiamo. Il futuro potrà essere catastroficamente simile a quello immaginato da Attali solo se noi ci rifiuteremo di usare parole nuove e risorse cognitive nuove.
Dobbiamo andare alla ricerca di nuove parole, di nuove conoscenze. Altrimenti non ci sarà domani.
Il nostro “strano” libro su Luhmann è un passo nella ricerca di parole e conoscenze nuove. Credo che siamo riusciti a dimostrare che un mix di parole e conoscenze nuove permette di illuminare il presente e di costruire un nuovo futuro che non conterrà nessuna delle parole che si usano oggi.


giovedì 11 febbraio 2016

Davvero i giovani italiani fanno fatica con la matematica?

di
Francesco Zanotti
Presidente ApEC


Mi riferisco ad un articolo di Paolo Giordano. Sul Corriere di oggi commenta una ricerca OCSE-Università di Pisa sui “Low performing students” dove si rivela che i ragazzi italiani sono particolarmente “low performing” in Matematica.
L’Autore cerca spiegazioni e propone osservazioni e spiegazioni pertinenti, come la vetustà e l’inamovibilità dei programmi di matematica.
Da parte mia vorrei proporre quello che a me sembra il tema di fondo: dobbiamo piantarla col sostenere che la matematica sia “far di conto”. E la formazione matematica sia imparare a fare conti sempre più difficili.
Io credo che il rifiuto sia al fare di conto banale spacciato come pensiero profondo, non alla matematica.
Perché non si insegna quella matematica che non è far di conto?
Credo che se si insegnasse quella matematica che non è far di conto, magari spiegandone l’evoluzione storica, i ragazzi italiani sarebbero i primi.
Tanti anni fa ho fatto un’esperienza straordinaria. Ho tenuto un piccolo corso a ragazzi delle medie sul tema: cosa è un numero usando la teoria degli insiemi e partendo dalla definizione assiomatica dell’italiano (perché nessuno sa dei grandi matematici italiani?) Giuseppe Peano.
Successo straordinario. Ma non perché io sono bravo. Perché sono salito sulle spalle dei giganti. I ragazzi capiscono subito quando si raccontano loro le grandi idee dell’Uomo e quando si vuole proporre loro i conti della serva come grande matematica.
A proposito, quando incontrate un insegnante di matematica chiedetgli: ma cosa sono i numeri? Scoprirete che pochi sanno spiegare cosa sono quelle cose che vogliono costringere i ragazzi a maneggiar in modo meccanico. Giudicano “minus habens” chi, anche senza esserne consapevole, si rifiuta  di dare importanza a banalità. Far di conto non merita una materia pari alle scienze ed alle lettere. La matematica, invece, lo merita eccome.


...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.