sabato 30 marzo 2013

Expo 2015: è un problema di sistemi cognitivi


di
Francesco Zanotti


Comincia a circolare la voce che non ce la faremo per il 2015 (http://urbanpost.it/expo-2015-sara-rinviato ). Che dovremo rinviare o, addirittura, rinunciare.
Sarebbe un bel guaio!
Ma il problema di fondo non viene discusso neanche ora che si comincia ad aver paura di non farcela.
Qual è?
Semplice: nessuno ha mai parlato di “contenuti”. Si sarebbe potuto e dovuto avviare un grande processo di coinvolgimento progettuale del mondo sul tema di come nutriremo il pianeta. E l’Expo sarebbe stato il momento di rappresentazione, collettivamente (a livello mondiale) organizzato, del primo sforzo di progettualità congiunto di tutte le nazioni del Mondo. Il primo Progetto-mondo della storia dell’uomo. Invece, abbiamo attivato solo grandi discussioni (liti?) sui “muri”. Sì, le opere infrastrutturali. Certo importanti, ma solo condizione necessaria e in nessun modo sufficiente.
Perché nessuno ha mai parlato di contenuti? Perché il patrimonio di conoscenze di coloro che si sono succeduti alla guida di questa che poteva essere una svolta nello sviluppo del mondo, non era in alcun modo sufficiente per affrontare questa sfida. Non sto accusando nessuno, non si tratta di abilità personali. Si tratta di sistemi di conoscenze.
Possiamo ancora riuscirci, perché la conoscenza non è come i muri: si può scatenare anche i tempi brevi un movimento mondiale e di progettazione sulla sfida del nutrire il Pianeta che farebbe di Milano il centro del mondo.
Non è neanche necessario un cambio di dirigenza: basterebbe fornire a quella attuale le conoscenze necessarie a guidare un progetto, in buona sostanza, di progettazione della futura società dell’uomo.
Noi abbiamo indicato una via concreta da percorrere: l’Expo dellaConoscenza i cui dettagli si possono scaricare da questo blog.
Ma, ovviamente, non se ne farà nulla. Scrivo questo blog perché rimanga traccia del fatto che qualcuno ci ha provato a fare dell’Expo la vera via per uscire dalla crisi mondiale che stiamo vivendo. In modo che, almeno dopo il flop, sulla scia di una figura meschina a livello internazionale, si possa cominciare a discutere della conoscenza e non di come abbattere i muri che si sono costruiti inutilmente.

venerdì 29 marzo 2013

Delegittimare o studiare?


di
Francesco Zanotti





Tu non sei presentabile, io sì! Io devo difendere la mia storia passata. Sono stato un uomo integerrimo … Il tuo passato, invece, è almeno “oscuro”, non sei un uomo integerrimo.
I media sono pieni di questo sforzo di legittimare se stessi perché “buoni” e delegittimare gli altri perché “cattivi” …

Allora guardiamo alla situazione di questo Paese e del mondo. E, poi, guadiamoci negli occhi per riuscire a leggere l’animo profondo.
Noi, che ci legittimiamo e delegittimiamo gli altri, facciamo parte, da tanti anni, della classe dirigente di questo Paese. Dovremmo, allora, tutti, auto-delegittimarci perché non possiamo chiamarci fuori: siamo noi che abbiamo costruito la situazione in cui viviamo. Più siamo classe dirigente, più dobbiamo sentire il peso di un fallimento che, prima che di risultati, è di vita.
Ma riconoscere il fallimento non basta! Poiché, non certo con merito, facciamo ancora parte di questa classe dirigente, ci dobbiamo assumere la responsabilità di trovare una strategia capace di costruire un nuovo sviluppo etico ed estetico. Il primo passo è inevitabilmente uno solo: cambiare noi stessi. Non è retorica, vi è una precisa “cosa” da cambiare immediatamente: i nostri sistemi di conoscenze. Immersi in una continua ed asfissiante battaglia di delegittimazione reciproca, ci siamo persi nel gorgo del non conoscere. Abbiamo snobbato tutte le conoscenze che l’uomo ha prodotto negli ultimi decenni. Siamo rimasti con quelle stesse due idee in croce che ripetiamo da decenni, che ci impediscono di vedere i segni dei tempi futuri, che ci impediscono di progettare un nuovo mondo. Allora la prima cosa da fare per riuscire a costruire una nostra reputazione presso le generazioni future è semplice: studiare! Acquisire tutte le conoscenze che sono indispensabili per svolgere realmente il nostro ruolo di classe dirigente e che ci mancano quasi totalmente.

lunedì 25 marzo 2013

I profeti a metà: Jeremy Rifkin


di
Francesco Zanotti


Mi riferisco a Jeremy Rifkin ed alla sua Terza Rivoluzione Industriale. Il suo libro contiene una profezia a metà, monca. Che quindi non ha probabilità di realizzarsi. Purtroppo.
In cosa consiste la terza rivoluzione industriale è presto detto. Ruota intorno a poche parole: energie rinnovabili prodotte localmente, una rete mondiale che collega tutti i produttori locali, una nuova empatia con la Natura, una nuova empatia tra gli uomini favorita dalla rete.
Il perché si tratta di una rivoluzione monca lo si vede dalla storia del rapporto di collaborazione tra Rifkin e Zapatero che lo stesso Rifkin, alle pag. 163-166 del suo libro, racconta. Essa è partita con la “conversione” di Zapatero alla terza rivoluzione industriale e con l’impegno a realizzarla come via di sviluppo fondamentale della Spagna. Rifkin si è impegnato allo sfinimento per scrivere un Master Plan per arrivare a costruire in Spagna la sua terza rivoluzione industriale. Ed è finita (lo dice lo stesso Rifkin) con un nulla di fatto e poi con la crisi della Spagna.
Cosa insegna questa storia?
Le idee di Rifkin sono certamente importanti, ma il processo attraverso il quale vengono concepite e proposte è direttivo: qualche saggio costruisce un Master Plan e gli altri lo realizzano. Con tutte le buone intenzioni, ma si tratta di una logica direttiva. Se si vuole un altro segno della sua fede nella direttività, egli crede nel meccanismo delle lobby. Propone di sostituire le lobby della seconda rivoluzione industriale con lobby che propugnino la terza.
E in una società complessa le idee che nascono direttivamente (da pochi) sono troppo parziali per poter mobilitare.
Se i “saggi” (o le classi dirigenti) vogliono veramente fare una rivoluzione, non devono descrivere come pensano debba essere il mondo dopo la rivoluzione. Non devono fare Master Plan.
Piuttosto, devono diffondere nuovi “sistemi cognitivi”.

Il Rinascimento insegna: è nato dalla riscoperta della cultura classica.

giovedì 21 marzo 2013

Il fisico assurdo


di
Francesco Zanotti


Un nuovo ricercatore, al suo primo giorno di lavoro, si presenta nell’atrio di un Centro di Ricerca che l’aveva assunto. Il portiere all’ingresso gli indica il suo ufficio ed egli vi si dirige. Poi seguono i convenevoli di rito: il Direttore, i Colleghi. E finalmente inizia la sua attività.
Ma tutti si accorgono che ha un atteggiamento strano. Se ne sta tutto da solo, non frequenta la biblioteca. Chi ha sbirciato sul suo tavolo di lavoro, non ha trovato né copie della “Physical Review”, né stampe da ArXiv. Tanto meno fogli con formule o un computer. Solo, sembra incredibile a dirsi, un testo antico: “Zymotechnia fundamentalis sive fermentationis theoria generalis”.
E’ un libro, uscito nel 1697, di Georg Ernst Stahl nel quale l’autore espone la teoria del flogisto.
Ora il Centro di Ricerca organizza periodicamente un incontro plenario nel quale i diversi ricercatori espongono i risultati del loro lavoro per avere giudizi, per confrontarsi. Anche perché tutti sono consapevoli che la fisica è sempre di più un’opera collettiva. E tutti i progetti che vengono portati avanti nel Centro sono progetti di ricerca che impegnano gruppi di persone.
Il primo incontro a cui partecipa il nostro neo-ricercatore avviene un venerdì pomeriggio, quindici giorni dopo il suo arrivo. Tutti sono curiosissimi di capire cosa dirà.
Parlano i due fisici più autorevoli del Centro di ricerca e poi tocca a lui. Egli esordisce annunciando che proporrà una teoria rivoluzionaria. Ed inizia a contestare la teoria del flogisto, riscoprendo, dopo almeno 250 anni, la teoria della combustione.
Sconcerto e silenzio. Ma fino ad un certo punto: il tempo di convincersi che quello che era accaduto riguardava la realtà e non il sogno. Poi il Direttore del Centro, con tutto il garbo possibile, gli fa notare che quella teoria era già stata scoperta e che, da allora, la fisica aveva fatto qualche progresso ed ora si occupava di tutt’altre cose.
Il nostro ricercatore non si scompose minimamente. Risponde immediatamente: ma a me la teoria non interessa. Io mi fondo sulla mia esperienza, sull’esperienza che ho fatto in almeno tre esperimenti di combustione. Ed essa mi dice che la combustione non avviene come sosteneva Stahl. In nome delle mie esperienze e della mia competenza nel progettare questi esperimenti, vi chiedo di assegnare a me un gruppo di ricerca e i fondi adeguati per continuare la mie esperienze sulla combustione.
Ovviamente il fisico non solo non raccoglie il consenso desiderato per i suoi folli progetti, ma viene buttato fuori subito dopo, lasciando tutti interdetti al pensiero che un fisico così assurdo sia stato assunto come ricercatore …
Storia impossibile, più assurda dell’assurdo? Nel mondo della fisica, sì.
Ma è quello che accade ogni giorno alle classi dirigenti politiche e manageriali. Esse hanno fatto una religione del rifiuto della teoria e del rifugiarsi nell’esperienza. E propongono nuove idee (programmi politici, strategie per uscire dalla crisi) che ritengono nuove, ma sono addirittura peggio delle “nuove” idee del nostro fisico. Sono come l’affermazione della teoria del flogisto oggi quando tutti (ma non le classi dirigenti) sanno che è sbagliata, e non ci pensano neanche più. Sono idee che prescindono dalle conoscenze sistemiche strategiche, sociali, politiche etc. Ma non vengono buttati fuori. E se qualcuno ci prova, non lo fa certo in nome della conoscenza.


domenica 17 marzo 2013

Paura della conoscenza



di
Francesco Zanotti

Forse il dato più distintivo delle attuali classi dirigenti è la paura, oserei dire il disprezzo, verso la conoscenza. Operativamente: un rifiuto molto dannoso.
Devono gestire (governare verso lo sviluppo) sistemi umani, perché non hanno alcun desiderio e non fanno nulla per conoscere, innanzitutto, lo stato dell’arte delle scienze umane? Ne faccio un elenco, ovviamente non completo: psicologia, linguistica, sociologia, economia, politica, antropologia, filosofia, storia e, aggiungo, religioni?
Queste aree di conoscenza sono in profonda evoluzione sia a causa della loro palese insufficienza (come l’economia), ma, soprattutto, sotto la spinta delle scienze naturali che offrono nuovi linguaggi e paradigmi. Ne cito uno solo: la fisica quantistica. Come fanno ad esserne completamente all'oscuro?
Esiste una meta-conoscenza che si chiama sistemica che dovrebbe essere una scienza dei paradigmi che pesca da ogni area di conoscenza e cerca di costruire una meta conoscenza che dovrebbe generare un grande progresso in tutte le altre conoscenze “specialistiche”. Come fanno a non saperne proprio nulla quando, ad esempio, la teoria dei sistemi auto poietici permetterebbe di capire la probabile evoluzione del nostro sistema politico e le vere origini dell’attuale crisi economica?
Il problema è che in una democrazia “competitiva” non c’è tempo per la conoscenza. Tutto il tempo è impegnato a combattere l’avversario. Con buona pace dello sviluppo.

giovedì 14 marzo 2013

Un Popolo che ha scelto Francesco


di
Francesco Zanotti


Confesso che non mi aveva mai emozionato l’elezione di un Papa. Neanche quella di un Papa che veniva dall’Est. Sorpreso intellettualmente, intrigato politicamente, ma non emozionato esistenzialmente.
Questa volta è diverso. E, credo, non solo per me. 
Ieri sera si sentiva, risuonava palpabile l’emozione del mondo: un Papa che vuole chiamarsi Francesco nella terra di Francesco. Lo Spirito di Dio era palpabile presenza nel mondo, nei volti degli uomini nel respiro della Natura.


Auguri Francesco. 
Che tu riesca a guidare la Chiesa e il mondo a scrivere un nuovo corale Cantico delle Creature.

E di più, per ora, non so dire! Perché forse il silenzio è davvero la “strategia” migliore per diventare Uomo, Natura, Spirito.

domenica 10 marzo 2013

Ora si che siamo a posto: Renzi lancia la sfida a Bersani



di
Francesco Zanotti


Il titolo principale della prima pagina del Corriere di oggi: “Renzi lancia la sua sfida a Bersani”.
Credo che il proporre titoli di questo tipo espliciti la maggior parte delle cause della crisi che ci attanaglia.
Partiamo dal ridicolo. Ora che Renzi ha lanciato la sua sfida a Bersani, che facciamo? Ci mettiamo seduti in poltrona a vedere come si svolge la sfida e chi vince? E, poi, circenses! Per celebrare il vincitore?
E il “Panem”? Nel frattempo (un tempo lungo) chi ci garantisce la cuccuma di pasta e la birra (di fantozziana memoria) per seguire trepidamente la finale di Champions, delle gare di atletica alle Olimpiadi.
Accidenti, mi sono fatto prendere la mano. Ma è perché non mi viene proprio in mente di collegare le dinamiche politiche ad una sfida tra persone con la fanfara dei media, pronta a drammatizzare ogni colpo di “spada” …
E torniamo seri, con la consapevolezza che, prima era l’imperatore che dispensava “Panem et Circenses”. Ma ora chi dispensa “Circenses” se ne guarda bene di procurarci anche il Panem. E ce lo dobbiamo procurare noi.
Tornando profondamente seri, la soluzione è la conoscenza profonda dell’uomo. Non sono le riforme istituzionali.
Solo qualche flash ... come si deve in un blog.
Oggi la cosa da fare è che le nostre imprese ricomincino a produrre cassa. Non “profitto” che non si sa bene cosa sia. Ma la cassa: quella che permette di pagare dipendenti e fornitori. Per riuscirci è necessario che le imprese si dotino di Progetti d’Impresa radicalmente nuovi. I progetti del passato sono stati grandi ed importanti, ma stanno perdendo di senso e la dimostrazione è che, attraverso quelli, non si riesce più a produrre cassa.
Per definire Progetti d’Impresa rivoluzionari è necessario che imprenditori e manager si dotino di nuove risorse di conoscenza.
Poi, tutti questi Progetti d’Impresa devono essere coagulati in un Progetto Paese che costruisca una nuova società. Allora anche le classi dirigenti politiche (ma anche sindacali, amministrative etc.). Allora anche la classi dirigenti non economiche debbono dotarsi di nuove risorse di conoscenza.

E parliamo delle nuove risorse di conoscenza...

martedì 5 marzo 2013

Evitiamo la delusione e il conflitto


di
Francesco Zanotti



Di storie come quella di Bebbe Grillo ne sono nate tante. E tutte hanno avuto o stanno avendo la stessa fine. O delusione e disillusione o il conflitto. Oppure tutte e tre. Cito la mia esperienza in quel movimento che si chiamava Vivere Milano. Cito la nuova esperienza di Italiacamp.
Le ragioni sono “sistemiche”. Sono movimenti che nascono da un grande slancio ideale. Ma questo slancio ideale non è nutrito da sufficienti risorse di conoscenza. Ed allora quando si tratta, inevitabilmente, di passare dalla protesta alla proposta, si frantumano in progetti parziali che generano conflitti e delusioni. Oppure, cercano un consenso istituzionale che non può che essere “peloso”. E il movimento finisce quando gli appoggi istituzionali vengono meno.
Non occorrerà attendere molto per vedere queste stesse dinamiche scatenarsi nel Movimento Cinque Stelle. Grillo contro Casaleggio, i gruppi parlamentari spezzarsi in sottogruppi. Ed alla fine il movimento perdere di consenso
Il fatto che ci sia di mezzo Internet non fa che ampliare ed accelerare i processi. Ma non li cambia nella sostanza.
Ecco, forse non è esatto: una differenza esiste perché, questa volta, la quantità fa qualità. Oggi si è costituito un movimento molto grande. Se lo slancio ideale si trasformerà in conflitto e delusione le conseguenze non riguarderanno solo il movimento, ma tutti noi. Sarà difficile riavviare una nuova stagione di passione ed entusiasmo per il futuro dopo una disillusione diffusa e profonda.
Allora è urgente arricchire le persone che operano nel movimento di nuove risorse di conoscenza che permettano loro di immaginare davvero un Progetto per lo Sviluppo del nostro Sistema Paese.
Non è etico lo sforzo delle altre forze politiche di ridimensionare la spinta ideale di questo movimento. Invece di combattere i giovani cinque stelle dovrebbero fornire ai loro giovani una più forte spinta ideale e nutrirla di risorse cognitive all'altezza di entusiasmo e speranze.
Soprattutto le generazioni più mature dovrebbero porsi questo obiettivo. Non devono impegnarsi a spartirsi i giovani, ma devono fornire ai giovani tutte le risorse cognitive che sono loro necessarie per superare tutti noi.
Se faranno questo (Grillo compreso) vedranno che i giovani di questo Paese si dimenticheranno di militare in sponde diverse e sapranno unirsi per costruire un vero progetto per lo sviluppo del nostro Sistema Paese.

venerdì 1 marzo 2013

Dateci un nuovo sogno!!


Cesare Sacerdoti
c.sacerdoti@cse-crescendo.com




Seguendo i dibattiti post elettorali ho avuto la sensazione che i leader politici siano concentrati a definire il nuovo nemico, già pensando alla prossima campagna elettorale. Il dibattito infatti non scorre sui contenuti, ma sugli atteggiamenti di questo o quel rappresentante politico, senza comprendere, senza prendere atto, ancora una volta, delle vere istanze che stanno dietro il voto dei cittadini.
Nel bene o nel male, l’Italia sta vivendo una nuova “rivoluzione” pacifica (come quella, non compiuta, post Tangentopoli). Francamente credo che questa sia una grande opportunità, da difendere e a cui dare compimento positivo. Non dico di esserne orgogliosi, ma non so quante altre Nazioni abbiano il coraggio di mettersi davvero in gioco. Purché si dia seguito positivamente a questa rivoluzione.
C’era chi voleva “mandare tutti a casa” per un forte rinnovamento: oggi abbiamo un Parlamento fortemente rinnovato, con un’età media dei Parlamentari molto bassa (la più bassa in Europa), con una forte componente femminile. Quest’obiettivo, malgrado tutto è stato raggiunto. E voglio non discutere dell’esperienza e delle competenze degli eletti. Loro hanno in mano ora l’opportunità di riscrivere il prossimo futuro del Paese.
La cosa per me drammatica è sentire i leader sconfitti parlare di “il bene del Paese”: cos'è il bene del Paese? Come lo si definisce? Secondo quale criterio? E’ il bene dell’Italia (c’era chi diceva “il bene dell’Italia sono io”) o degli italiani?
Ma purtroppo, al momento, si sente discutere solamente di provvedimenti “contro” qualcuno. Non si parla di futuro: nessuno sta cercando di dare un nuovo sogno agli italiani. Non può essere un sogno quello di “ridurre il costo della politica”; non può essere un sogno neanche “la restituzione dell’Imu”; e ancor meno è un sogno la politica dei tagli (che anzi per qualcuno può diventare un incubo).
Confondiamo i fini con i mezzi: quelli sopra indicati possono essere al più strumenti attraverso cui passare per perseguire una strategia.
In soldoni, mi chiedo, quanti posti di lavoro creano tali provvedimenti? Di quanto crescerà il benessere degli italiani? O vogliamo accontentarci di un’”Italia più giusta” in cui il malessere sia più diffuso, secondo il noto proverbio del mal comune mezzo gaudio (e mia nonna, saggia, aggiungeva “questo è il proverbio degli stupidi”)?

...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.