giovedì 28 luglio 2011

Io imprenditore, le mie associazioni, gli stipendi da pagare

di
Francesco Zanotti


Tutti i giornali di oggi riportano le proposte congiunte delle principali associazioni imprenditoriali e sindacali.
Immaginiamo che io sia uno dei piccoli imprenditori che aveva un mestiere, ma che ora sta perdendo di senso. Oppure un terzista che sta soffrendo la crisi del suo cliente di riferimento… Qualcuno, forse, si ricorda il caso da me citato più volte e raccontato dal prof Sartori: un produttore di scarpe toscano a cui la produzione di scarpe costa 17 Euro che si è trovato sdoganate al porto di Livorno scarpe provenienti dalla Cina a 4 Euro. Ecco prendiamo questo piccolo imprenditore, le sue ansie nel pagare gli stipendi, la sua liquidità esaurita, le banche e i creditori in allarme se non sul sentiero di guerra, come riferimento.
E cerchiamo di capire l’impatto che avranno su di lui queste proposte. Immaginiamo anche che esse possano venire realizzate con un colpo di bacchetta magica …

“Per una crescita duratura, creiamo le condizioni per l’aumento della produttività”. Non dico chi ha fatto né questa proposta, né le altre che citerò in nome del precetto: si dice il peccato e non il peccatore. Se si vuole un riferimento più autorevole, si ricordi papa Giovanni XXIII e la sua distinzione tra errante ed errore …
E’ una proposta che suona come una beffa al nostro amico costruttore di scarpe. Mi sembra di sentirlo “Ma come: io non riesco a vendere le mie scarpe e questi vogliono che ne produca di più?”. Certo, gli si può rispondere: perché così costeranno meno…  Ma l’obiezione muore in gola perché è evidente che nessun aumento di produttività potrà ridurre i costi tanto da competere con chi può vendere le stesse scarpe a 4 Euro.
Le altre proposte non sono una beffa, ma molte suonano come la famosa orazione “Cicero pro domo sua”: aiutate il mio settore. Altre chiedono un miglior funzionamento del Sistema Italia nel suo complesso… Altre ancora…

E’ inutile che io entri nei dettagli: basta comprare il Sole 24 Ore di oggi e leggere a pagina 11. Dopo la lettura, il nostro amico imprenditore nelle scarpe (e molti altri imprenditori in condizioni “strategiche” simili) si accorgerebbe che nessuna di questa proposte lo aiuta nei problemi di liquidità che sono diventati insostenibili. Nessuna lo aiuta con un mercato al quale non può chiedere di comprare a 20 Euro (i suoi 17 erano solo i costi di produzione. Poi occorre aggiungere costi di spedizione, vendita etc.) quello che può comprare a 4 Euro (in questo caso tutti i maggiori costi sono già compresi). Soprattutto, nessuna lo aiuta a riprogettare la sua impresa e i suoi prodotti perché quelli che produce attualmente proprio non sono più proponibili.

Certo tutte queste proposte bisognerà realizzarle, ma sarà possibile farlo quando le imprese avranno ripreso la loro capacità di produrre ricchezza. Tentarle oggi sarebbe come stiracchiare una coperta che diventa sempre più corta, perché le imprese stanno perdendo la capacità di produrre valore. Peggio sarebbe coltivare pericolose illusioni: ci si fermerebbe ad attendere (oggi ci fermiamo addirittura ad attendere che vengano approvate) che la realizzazione di queste proposte sviluppasse i suoi effetti … E, così, la coperta si accorcerebbe sempre di più perché lo stiracchiarla non riuscirebbe a coprire le imprese. Ed allora occorrerebbe tirarla ancora di più… fino allo strappo inevitabile del quale si intravvedono i primi sfilacciamenti.

In alternativa? Occorre aumentare la capacità di progettualità strategica delle imprese fornendo loro nuove conoscenze e metodologie di strategia d’impresa. Magari attraverso le banche che potrebbero vendere non solo finanza, ma conoscenza. E’ questa una proposta che va direttamente al nocciolo del problema: permette di costruire dal basso (cioè subito) un nuovo sistema di imprese, nuove banche ed una nuova società.

lunedì 25 luglio 2011

Tragedia, banalità, sconforto

di
Francesco Zanotti


Ovviamente mi riferisco alla tragedia norvegese.
Nei giorni scorsi, il ministro Tremonti ha usato una metafora efficace, ma incompleta: quando il Titanic è affondato, neanche i passeggeri della scintillante prima classe si sono salvati.
Può sembrare una prefigurazione di quello che è accaduto in Norvegia: neanche i paesi più tranquilli ed avanzati riescono a salvarsi dalla violenza.
Ma perché una metafora incompleta? Perché non si è chiesto come mai il Titanic sia finito contro l’iceberg.
Come non ci chiediamo perché la nostra società industriale stia andando incontro al suo iceberg storico, mentre la sua classe dirigente è davvero convinta che la prima classe possa salvarla.

lunedì 18 luglio 2011

Una Via allo Sviluppo che parta dal basso

di
Francesco Zanotti

Il Sole 24 Ore, sabato, ha proposto una sua ricetta allo sviluppo. Si tratta di una ricetta dall’alto. Che deve attivare chi governa, mentre noi tutti possiamo solo stimolare o contestare chi governa. E poi aspettare.

In questo blog, a più riprese, abbiamo iniziato a tratteggiare un strategia dal basso che ci vedrebbe tutti attori protagonisti, non solo contestatori o piagnoni. A proposito: facciamo l’associazione di tutti quelli che si sono stufati delle denunce? E che diamine, è evidente che tutta una società è al collasso: non sarebbe meglio proporre, invece di contemplare con masochistico piacere questo collasso in ogni suo anfratto? Davvero, piantiamola: la denuncia è un ottimo alibi per non fare proposte.

In questo spirito, torniamo alla nostra proposta.

Immaginate che tutti noi ci impegniamo ad aumentare gli schemi mentali (gli occhiali con cui guardiamo il mondo) di cui disponiamo. La “potenza” progettuale complessiva  della nostra società farebbe un enorme salto di qualità. Cominceremmo ad intravedere ampi spazi di futuro che prima non vedevamo a causa di occhiali appannatissimi da passato e privilegi (anche meschini) da conservare. Immaginate che vi sia una classe dirigente capace di trasformare questa potenzialità progettuale in atto. Stimolando le persone ad usarla, sintetizzando le loro proposte. In poco tempo, noi avremmo trasformato la nostra economia, la nostra finanza, la nostra socialità. Poi, verranno le riforme ad istituzionalizzare la nuova società che è, però, già vita concreta.

Troppo astratto? Allora facciamo degli esempi.



lunedì 11 luglio 2011

Dolomiti, consulenza, “non conoscenza”, “Governo”

di
Francesco Zanotti



Il lettore non si faccia ingannare dalla prima parte. E’ un raccontino, anche dolce e, forse, malinconico, ma finisce in una accusa precisa a tutta una classe dirigente, interessata solo alle relazioni e non ai contenuti, alla conoscenza.
Poi, questa accusa diverrà un'autoaccusa: grande responsabilità va ai consulenti di direzione che, invece di essere catalizzatori di futuro, si accontentano di sopravvivere tra le pieghe del presente per poco interesse verso la conoscenza. E cercherò di finire con una proposta, perché l’andazzo del solo criticare è davvero odioso.

Ma cominciamo dalle Dolomiti …

Quel paesino dove, da trent’anni, andiamo a fare le vacanze estive era stato scelto attraverso un “processo emergente”. E’ stato un percorso di desiderio e di audacia che ci ha condotto piano piano a quel paesino.

Eravamo una compagnia di giovani che voleva una montagna avventurosa. Ci piaceva esplorare anche con fatica, anche rischiando. Ma volevamo arrivare sulle cime.

Allora abbiamo cercato, innanzitutto, di individuare la zona dove cercare le montagne più avventurose, tra quelle che ci sembrava offrissero avventure avventurose.
Non avevamo, evidentemente, internet, abitavamo in un piccolo paese di pianura, quindi non sapevamo destreggiarci tra google map, agenzie e tour operator, reali o virtuali. Lo strumento principale di cui disponevamo era una banale carta geografica. Abbiamo, quindi, scelto in base a quello che una carta geografica (anche un po’ logora) riesce a raccontare. Una carta non ha immagini, non ha profumi. E, certo, non potevamo esplorare tutte le Dolomiti, prima di decidere.
Poi, abbiamo ascoltato le storie (solo storie, perché non c’erano le macchine fotografiche digitali, né c’erano i telefonini sovrabbondanti di megapixel) di qualcuno del paese che sulle Dolomiti ci era già stato. Erano quelli che ci avevano fatto il militare come alpini. Ma le storie parlavano di piccole vicende personali e non di grandi paesaggi. Piccole storie che somigliavano troppo alle storie di campagna per esserci di aiuto.

Partendo da queste fonti di informazione, abbiamo scelto. Non ricordo più perché abbiamo scelto quel paesino e non altri.
Abbiamo scelto e ci siamo andati. Viaggio avventuroso su di una seicento troppo piccola, troppo rumorosa… troppo poco affidabile. Ovviamente si è guastata e il viaggio è durato un'interminabilità di guai. Ma, alla fine (il giorno dopo la partenza), siamo arrivati. E quel paesino e le sue montagne ci sono sembrati subito tutto un mondo: grande, quasi infinito, completo, tanto da contenere tutta la vita. Lo sguardo, in qualunque posto indagasse, sembrava trovare l’infinito di monti che hanno come confine il cielo. Abbiamo iniziato ad esplorarlo, ancora con una carta geografica, ma più di  dettaglio e con le storie dei valligiani. Abbiamo scelto i percorsi e… li abbiamo percorsi.

Ogni passeggiata, però, non soddisfaceva, non esauriva. Anzi, ogni passo rivelava curiosità che il voler concludere la passeggiata lasciava senza risposta. Allora, il giorno dopo, la passeggiata era più corta: forse ci chiudeva la speranza di arrivare all’infinito dei monti. Ma permetteva di conoscere profondamente il mondo vicino. Ed era un profondità inesauribile. Anzi una profondità che il nostro cercare rendeva più profondo.

La prima vacanza ha chiuso le Dolomiti in una valle. La altre vacanze hanno, vacanza dopo vacanza, ridotto, nelle nostre menti, nei nostri desideri, quella valle ad un paese, una chiesetta, ciottoli rotolanti ed un pezzo di torrente gorgogliante.

Fuor di metafora …

Noi tutti siamo convinti che la crisi attuale non la si risolve a colpi di ristrutturazioni (le imprese) o riforme (le istituzioni), ma solo progettando una nuova società.

L’esigenza di una nuova e più intensa capacità progettuale è vivissima: è necessario progettare nuove imprese, nuovi sistemi economici nuovi sistemi sociali, nuove istituzioni, nuove visioni del mondo. Insomma: per progettare una società che superi i limiti della società industriale.

Da cosa è nutrita la capacità progettuale? Sicuramente dalla qualità delle mappe delle Dolomiti che possediamo. Noi siamo le nostre “mappe”: le nostre capacità progettuali, decisionali e gestionali dipendono dalla qualità dei linguaggi (modelli, metafore etc.) di cui disponiamo e che sappiamo usare.

In questi decenni, siamo andati via via impoverendo le nostre mappe e la nostra capacità di visione. Oggi,(ecco che arriva la denuncia) abbiamo anche dimenticato le mappe (senza colori, movimento, sapori, odori) che ci hanno portato a quel paesello. Le nostre mappe si sono ridotte alle vie di quel paesello. E, invecchiando, abbiamo scelto di percorrerle sempre meno, rimanendo al bar a giocare a tre sette.

Accidenti, sono tornato alla metafora: ora ne vengo fuori. Le conoscenze (i modelli e le metafore) che le classi dirigenti attuali non hanno e che non hanno nessuna intenzione di procurarsi sono innumerevoli. Sono tutti i modelli e le metafore che sono nati nell’ultimo secolo (ma anche prima) dalle scienze naturali ed umane. Essi potrebbero fornire nuove mappe ed una nuova capacità progettuale alle nostre classi dirigenti. Sì, a tutte le classi dirigenti, non solo a quelle che governano le aziende pubbliche.

Ma perché le classi dirigenti snobbano la conoscenza? Perché non è chiesto loro, da parte di tutti noi, di progettare il futuro, ma solo di far funzionare il presente. E’ questa nostra richiesta di basso profilo che innesca quella banale ricerca del potere che, poi, sfocia inevitabilmente in comportamenti anche illegali.

Le classi dirigenti snobbano la conoscenza, anche perché i consulenti di direzione, cioè coloro che dovrebbero rendere disponibili le nuove conoscenze, ecco, diciamo che si peritano poco di cercarle e di trovare il modo di renderle accessibili. Forse troppo impegnati a costruire relazioni con classi dirigenti che vivono solo di relazioni.

Allora, propongo di partire proprio dai consulenti di direzione. Invece di rincorrere clienti attraverso clientele, attiviamo tutti insieme un grande progetto di ricerca che abbia come obiettivo quello di raccogliere tutte le conoscenze che servono a comprendere come si sviluppano i sistemi umani (le imprese, le organizzazioni non profit, le burocrazie etc.). Costruiamo una sintesi di tutte queste conoscenze e cerchiamo una forma di governo che sia adatta  a gestire lo sviluppo dei sistemi umani.

Un esempio. Per comprendere i processi di sviluppo di una organizzazione complessa, è necessaria la teoria quantistica dei campi e la teoria dei sistemi autopoietici. Per governare questo processo di sviluppo è necessario un Governare che non è un decidere, ma un fare emergere e sintetizzare.

Poi, troviamo il modo di diffondere queste conoscenze presso le classi dirigenti perché la piantino di litigare per contendersi quel paesello che oramai ci sta cadendo addosso, perché ci siamo impegnati solo a dividercelo, non facendo neanche più manutenzione.

martedì 5 luglio 2011

Alberoni... per l'Expo della Conoscenza

Scopriamo con sommo piacere che anche Francesco Alberoni, noto sociologo, è uno di noi, un balbettante poietico che intravede nella necessità di un cambiamento profondo l’unico esito possibile (positivo) di questa fase, che non è una crisi temporanea, ma “semplicemente” la manifestazione della chiusura di un lungo ciclo storico dell’evoluzione umana.
Sulla prima del Corriere di lunedì 4 luglio, giorno dell’indipendenza, in primis della mente, scrive infatti , dopo una descrizione dura della situazione economico industriale che stiamo vivendo nella quotidianità che “in tutto l’Occidente ed in particolare in Italia, ci siano le risorse CULTURALI per evitare il sottosviluppo, ma che certo tutti evitino azioni dissennate e cambino mentalità. Questa non è una recessione, è una svolta storica che richiede di inventare nuove istituzioni, e nuove imprese”.
Ricordiamo che Alberoni ha costruito la sua fortuna di ricercatore ed accademico proprio con lo studio dei movimenti culturali più recenti della storia del nostro paese. In altre parole, sa benissimo che istituzioni ed imprese sono il frutto dell’azione collettiva di persone che progettano un nuovo mondo; certo il risultato è “emergente”, ovvero non pianificabile dall’origine, ma frutto dell’azione umana. Quindi, per il profondo cambiamento necessario, secondo il sociologo milanese, la miccia da accendere è in primis culturale. Nuove parole, nuovi obbiettivi . Per fare avvenire tutto questo e generale nuova impresa (che generi prodotti ed attività economica per pagare buoni stipendi, buoni dividenti e tante tasse), è necessario uno stimolo culturale, e, così, per rigenerare e non riformare le istituzioni decadenti, è necessario saper immaginare qualcosa di radicalmente nuovo ed anche appassionante…cosa che non può fare nessuna grande riforma partorita dal parlamento o dalle stanze di qualche intellettuale solitario…..quello che non dice Alberoni è come fare…
Noi una proposta l’abbiamo avanzata, seria, scientifica, profonda, sincera, estetica, diffusa ed elitaria al contempo. L’Expo della Conoscenza. La storia l’abbiamo già raccontata tante volte in questo blog... non mi dilungo oltre….Sta di fatto che…abbiamo scoperto un nuovo compagno di strada.
Avanti tutta.
Chi altro si fa avanti?

lunedì 4 luglio 2011

I debiti si pagano solo attraverso un Progetto di Sviluppo

di
Francesco Zanotti

Dimentichiamo anche le verità più elementari.
Almeno due, complementari.

La prima: i debiti (il debito pubblico) si possono pagare solo aumentando i ricavi (misurati, magari,  attraverso un indicatore meno primitivo del PIL). Forse, servono anche tagli (io credo di no, perché i tagli deprimono gli scambi e il cuore), ma certamente da soli non bastano.  Se, poi, si promettono solo tagli (come sta facendo il governo Italiano), perché quelli veri li si faranno solo negli anni a venire, allora si rasenta anche la presa in giro.

Seconda verità elementare disattesa: per aumentare i ricavi occorre un Progetto di Sviluppo Paese. Non solo riforme strutturali, ma un Progetto di Sviluppo. Un Progetto di Sviluppo che indichi quale sia la visione del futuro di un Paese, quale mission si vuole dare (cercando di capire quale possa essere la sua vocazione profonda), su quali tipi di ricerca (per inciso: non basta parlare di ricerca, occorre dire quale. Vogliamo perseguire la riduzionistica ed anacronistica big science o cerchiamo di costruire una nuova scienza?) e di formazione si punta, quali saranno i settori di attività futura … Certo, anche le riforme, ma dopo. Quando si è progettato il “meccanismo” che porterà ad aumentar i ricavi e a rendere disponibili quelle risorse che permetteranno di migliorare non di tagliare Stato Sociale e quant’altro.

...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.