lunedì 29 aprile 2013

Le radici della violenza


di
Francesco Zanotti


La causa più immediata è evidente. Se in una situazione di grande disagio sociale si individuano coloro che l’hanno generata, beh non è sorprendete che qualcuno cerchi la strada più (apparentemente) semplice per risolvere il problema: eliminarli.

Ma fermarsi alla causa più immediata è pericoloso. Chi è stato additato come colpevole ha gioco facile a ributtare la palla nel campo avversario, fino a voler tacitare le proteste. Un po’ come dire: poiché il “dalli all'untore" è generatore di guai, allora non c’è la peste.

E le cause più profonde? Ne cito alcune.

La prima è la mancanza di proposte alte e forti. Non ci sono disegni di nuove società che emozionano, fanno sognare, cambiano la vita e, quindi, cambiano il mondo. Ci sono proposte di piccoli interventi sintomatici che cercano di aggiustare un mondo che sta perdendo di senso.

La seconda è la istituzionalizzazione del conflitto politico: per governare occorre battere qualche avversario. Se il conflitto è il meccanismo sacralizzato dalle istituzioni per scegliere chi governa, come si può non pensare che il conflitto si riproduca in tutta la società?

Riporto un pezzo del post del 29 gennaio per ricordare come il conflitto sia diventato carne e sangue dei politici, fino a raggiungere assurdità assolute.
Si tratta di un dibattito tra Ignazio Marino e Mara Carfagna: riporto a memoria.
Marino: “Uno degli elementi che distingue il Centro-sinistra dal Centro-destra riguarda i diritti civili. Noi siamo per i matrimoni gay .. etc.” La Carfagna ribatte: “Ma guarda che su quel tema le mie posizioni non sono così distanti dalle vostre.”. A questo punto Marino insorge: “E no! Tu sei di Centro-destra e devi sostenere le posizioni di Centro-destra che sono notoriamente anti-diritti civili.”. Straordinario: il fatto di aver individuato un possibile terreno di dialogo costruttivo l’ha mandato in confusione. Il tema dei diritti civili (che è molto di più dei matrimoni gay) era uno strumento di differenziazione che permetteva di caratterizzare negativamente l’avversario. Lo scoprire che l’avversario non la pensava proprio all'opposto  ma si poteva costruire una strada comune verso maggiori diritti, ha generato disorientamento. Gli si leggeva in faccia la delusione. Se l’avversario non la pensa all'opposto (un opposto stereotipato, quasi caricaturale) di come la pensava lui, come faceva a differenziarsi? Come volevasi dimostrare: i problemi sono considerati occasioni di differenziazione per competere sui voti.

L’istituzionalizzazione del conflitto avviene anche nell’economia attraverso l’ideologia della competizione. Il mercato viene visto con una arena dove occorre battere l’avversario.

Sommando tutte questa cause: se le persone vedono combattere, sono chiamati a partecipare alla lotta, allora … lascio al lettore la conclusione.

Ma perché è emersa in ogni dove questa ideologia del conflitto? Ci deve essere una causa più profonda, che sta dietro quelle che ho proposto.
Sì, penso ci sia. E stia nella visione del mondo della società industriale che è una semplificazione ideologica della visione del mondo su cui si basa la fisica classica.

Cosa dice questa visione del mondo?

martedì 23 aprile 2013

Sarchiapone: chi era costui?

di
Luciano Martinoli


Non di rado si sente usare questo termine per indicare qualcosa, o qualcuno, di ingombrante, goffo, grosso se pur non ben definito. Ma cosa è esattamente un "sarchiapone"? La domanda corretta però sarebbe "chi" era Sarchiapone. Infatti egli nasce come personaggio apparso per la prima volta nel Cunto de li Cunti overo lo trattenimiento de peccerielle, di Giambattista Basile, una raccolta di 50 fiabe in lingua napoletana edite fra il 1634 e il 1636 a Napoli. L'opera è nota anche col titolo di Pentamerone (cinque giornate) in quanto 10 narratrici si susseguono nella narrazione in uno schema usuale all'epoca che richiama il Decamerone di Boccaccio. 
Il nostro eroe compare nel racconto Peruonto come protagonista in quanto definito "Lo chiù granne sarchiopio e lo chiù sollenne sarchiapone c'avesse creiato la natura". 
Da allora si intende per Sarchiapone, almeno nel dialetto napoletano, un uomo grosso e grasso, bietolone e melenso, nonché lo stupido, ma più esattamente, con riferimento all'aspetto fisico, un tipo basso e storto. Da qui la trasposizione ad oggetti con simili caratteristiche è stato quasi naturale.

A proposito de lu Cunto pochi sanno che alcune delle più belle fiabe del mondo, da Cenerentola al Gatto con gli stivali, un po’ prima di finire dentro i libri di Perrault e Grimm, dove tutti le scoprimmo da bambini, erano giunte all'orecchio del Basile, che all'inizio del Seicento le acciuffò e inguainò nella sua lingua, infilandole in questo libro che fu definito da Croce il «più bel libro italiano barocco» e da Italo Calvino «il sogno d’un deforme Shakespeare partenopeo». Ancora oggi, infatti, questo libro straordinario, insieme regale e cencioso, gentile e brutale, fastoso e plebeo, resta un capolavoro sconosciuto in Italia ma molto noto all'estero anche per i riconoscimenti dei favolieri, Perrault, Grimm e altri, che non mancavano di citarlo all'inizio delle loro opere.

Il nostro eroe però continua la sua presenza nelle arti popolari di Napoli apparendo nel 1698 nella Cantata dei Pastori di Andrea Perrucci, drammaturgo gesuita tra i primi napoletani a dedicarsi allo sviluppo della commedia dell'arte. Si tratta di un dramma sacro che rappresenta la nascita di Gesù tra personaggi del Seicento napoletano tra cui Razzullo, scrivano ignorante inviato per il censimento, e, appunto, Sarchiapone. L'opera ebbe un grande e duraturo successo tanto che si è inserita nelle tradizioni natalizie partenopee venendo rappresentata ancora oggi a Napoli e dintorni. Ciò ha contribuito al perdurare nella memoria collettiva popolare di Sarchiapone.

giovedì 18 aprile 2013

Si muore di correlazione, si vive di desiderio e volontà


di
Francesco Zanotti


Amici, siamo tutti “liberi e forti”. Non possiamo lasciarci condizionare da accademici banali. O da politici che usano le teorie di accademici banali per venire incontro a loro debolezze psicologiche. Dobbiamo riprendere in mano il nostro destino di costruttori di mondi. Soprattutto noi italiani, costruttori di imperi ricordati per il diritto, rinascimenti di bellezza, qualità innate di santi, poeti e navigatori.
A cosa si riferisce questa filippica?
Stamattina sul Corriere leggo che tre economisti (Ash, Pollin e Herndon) hanno scoperto degli errori nello studio dove altri due economisti (Reinhart e Rogoff) avevano trovato una correlazione statistica tra alto debito a bassa crescita, concludendo che sono necessarie politiche di austerity per ridurre il debito e, così, aumentare la crescita.
Non dico che fare e trovare errori sia uno scandalo. Dico che è uno scandalo che studi di questo tipo siano presi sul serio ed usati per condizionare il futuro di interi paesi.
Il problema di fondo è epistemologico e psicologico. Ma non infieriamo sulle persone e fermiamoci all’epistemologia.
Mi direte, ma l’epistemologia è un mestiere da filosofi: noi dobbiamo campare tutti i giorni.
Guardate sono proprio considerazioni epistemologiche che ci possono liberare dalla tirannia stupida di correlazioni che vogliono tarpare le ali dei liberi e forti.
Provo a spiegarmi. Supponiamo pure che i dati dei due studiosi “austeristi” siano corretti, non significano nulla lo stesso. Il trovare una correlazione statistica non significa che si è scoperta una legge. Non significa che si è scoperto un rapporto di causa ed effetto dal quale non si può scappare. Nel caso specifico, scoprire una correlazione statistica tra bassa crescita ed alto debito non significa che abbassato il debito si aumenta la crescita. Tanto è vero che nello stesso articolo si cita Krugman che propone una legge “opposta”: l’Italia e il Giappone hanno un alto debito perché hanno avuto una bassa crescita.
La difesa dei due studiosi, poi, è peggio dell’errore: “ma il fatto che ci sia qualche errore non inficia la nostra tesi fondamentale che serve l’austerity”. Come a dire: “Io sostengo l’austerity e vi faccio vedere delle correlazioni statistiche che ne dimostrano la necessità. Ah … le mie correlazioni statistiche non esistono? E va beh, ma non saranno due errori nei dati ad inficiare la mia tesi”. Come a dire: io voglio sostenete a tutti i costi la tesi dell’austerity.
Al di là della stupidaggine epistemologica del dire che ad ogni correlazione statistica corrisponde una legge, una tale ostinazione può derivare solo dalla paura (le debolezze psicologiche di cui parlavo all'inizio di un mondo che vuole ... diventare un altro mondo. Ah già, ma ho promesso di non infierire sulle persone …
Ok ... basta l’epistemologia. Essa ci difende dunque da tutti i tarpatori di ali. Ma fa anche molto di più: ci dice che il nostro sviluppo futuro non dipende da presunte “leggi dell’economia”, ma dipende dalle nostre ali. Quanto sono libere e forti. Quanto abbiamo voglia di usarle per viaggiare in altri mondi.
Infatti, le conclusioni che ricaviamo quando “analizziamo” un sistema complesso (la società) dipendono dalle risorse cognitive con cui guardiamo questo sistema che, di suo, è “uno nessuno e centomila.
Allora, tocca a noi progettare come vogliamo che diventi questo mondo che oggi è uno, nessuno e centomila.  Noi che siamo tutte le “cose” che ho detto all'inizio.
Se continuiamo a dare retta ad economisti che credono di esporre tesi e invece raccontano delle loro paure, allora ogni “uno, nessuno, centomila, diverrà il nulla.

E noi pavidamente ed ingloriosamente parleremo di crisi.

domenica 14 aprile 2013

Non siamo tutti uguali?


di
Francesco Zanotti


Ieri sera durante il Telegiornale di RAI 1, ho sentito una frase urlata con slancio liberatorio da Bersani “Non siamo tutti uguali”. Per sottolineare la differenza rispetto alla destra. La rivendicazione di una alterità morale profonda che fa degli altri cittadini di serie “C”.
Ovviamente la controparte risponde con una altrettanta affermazione di alterità etica …
La prima reazione è stata di pietà. Parafrasando: “Signore perdona loro perché non sanno cosa dicono.”.
Riflettendo meno emozionalmente: curioso che, proprio la sinistra, che dovrebbe essere paladina della uguaglianza, si liberi quasi con violenza del suo valore di fondo per rivendicare di essere meglio degli avversari. Affermazione tecnicamente razzista.
Riflettendo sistemicamente: ecco il problema della società industriale. Essa si fonda sulla visione classica della scienza che è profondamente ideologica, visto che cerca ancora una teoria del tutto che diventa la verità più verità che c’è.
Questa passione per l’ideologia, scambiata per verità, si diffonde, con ancora meno senso, in tutta la società. Fino al paradosso. Se affermo di disporre di un valore, allora i miei avversari non lo possono possedere.  Il paradosso: usare il valore dell’uguaglianza per rivendicare una disuguaglianza profonda.

venerdì 12 aprile 2013

Un identikit …


di
Francesco Zanotti


… di una nuova classe dirigente. 
Se volete: del nuovo Presidente della Repubblica.
Primum la conoscenza. Occorre una classe dirigente che padroneggi tutta la conoscenza prodotta dall'uomo.  Che si senta protagonista del costruire nuova conoscenza.
Immaginate: sarà una classe dirigente che, innanzitutto, condividerà i linguaggi che utilizza. Sarà “naturalmente dialogante” perché la nuova conoscenza è solo un risultato collettivo. Sarà esteticamente concreta perché la conoscenza può essere espressa solo nel mondo: opere d’arte, imprese opere d’arte, una società opera d’arte all'interno della Natura opera d’arte dell’evoluzione. Sarà solidale perché l’infelicità è insopportabile. Il potere sarà solo uno strumento organizzativo per costruire opere d’arte sempre più collettive. Il richiamo all'etica non sarà né un momento di auto rappresentazione  né uno strumento di discriminazione. L’etica sarà solo un traguardo da raggiungere tutti insieme, risultato di una solidarietà profonda … che quando qualcuno cade, tutti tendono la mano per sorreggerlo.
Una classe dirigente che non ha nulla a che fare con quella attuale.

lunedì 8 aprile 2013

Il Sig. Ernesto e i manager di carta pesta


di
Francesco Zanotti

Gli anni ’50 ed un paesino della bassa padana di cui non è importante il nome. In quel paesino (una fila di case lungo una strada) viveva il Sig. Ernesto. Un persona come tante della sua generazione: niente inglese, pochi viaggi, la cronaca del paese o della provincia.
Il Sig. Ernesto, però, si è inventato, da solo e tutti e due insieme, il credito al consumo e il microcredito.  Vendeva i primi elettrodomestici e girava le cascine della bassa padana con un camioncino carico di questi elettrodomestici. Li mostrava dal vivo e li lasciava a credito. Faceva firmare cambiali, ma a persone che sapeva non certo ricche. E valeva di più la parola della garanzia delle cambiali. Il credito al consumo con la filosofia del microcredito, insomma. E, come accede oggi, a chi conta profondamente sulla parola dei più poveri e non rimane mai deluso, così anche il Sig. Ernesto non è rimasto deluso. Ed è rimasto sempre nel cuore della gente, anche oggi che non c’è più.
Nel nuovo secolo ci sono i top manager di carta pesta …
Absit injuria verbis: saranno certamente persone degnissime, coltissime. Ma quando vivono il loro ruolo sono tutto autorappresentazioni, giochi di potere e retorica. Lo si vede dai Progetti Strategici che firmano: burocratiche sequele di fogli excel, senza nulla dello spirito imprenditoriale del Sig. Ernesto che non si occupava del valore per gli azionisti, ma che “vendeva” il sapore di una nuova società.

Oggi sarebbe possibile far sì che lo spirito del Sig. Ernesto riviva nelle nostre imprese? Soprattutto nelle più grandi, nelle banche, nelle utilities? Si certo. E non cambiando i manager, ma fornendo loro nuove conoscenze: le conoscenze di strategia d’impresa che sono gli occhiali per vedere il nuovo mondo che sta nascendo e che ora snobbano alla grande e il linguaggio per descrivere le nuove imprese del futuro che il nuovo mondo permette e richiede.
Ma i top manager, soprattutto delle conoscenze di strategia d’impresa, sapranno tutto. Certo io non ho fatto esami, ma guardando i loro Progetti Strategici e la condizione complessiva nella quale ci siamo impantanati si direbbe proprio di no.


giovedì 4 aprile 2013

Chi è il Francesco della Politica


di
Alessandro Aleotti


Il nostro Paese vive una forte crisi di disorientamento: le mutazioni che la Tecnica (cioè il combinato disposto di pensiero scientifico e razionale con la secolarizzazione di tutti i valori conosciuta come “morte di Dio”) impone all'economia e alla politica sono ben lontane dall'essere comprese. Assordati e rimbambiti dal frastuono mediatico, coloro che presiedono gli snodi politici e istituzionali sembrano alla mercé di qualunque idea bislacca. Se il Presidente Napolitano prende tempo (e fa bene), tutti gli altri non riescono ad uscire dalle gabbie culturali che li tengono prigionieri: a sinistra si rincorrono le proposte folli dei Grillini senza capire che, nell'exploit di M5S, il fattore vincente non è il significato (cioè i contenuti), ma il significante (cioè la rottura); al centro ci si rinchiude nella sicurezza dell’ortodossia europeista che, un pò alla volta, sta azzerando il potenziale creativo del Paese in nome di una “burocrazia della povertà” che sovrasta ogni ambito del vivere civile; a destra si ondeggia tra la nostalgia di un “uomo forte” ormai scomparso dalla circolazione e il tentativo di rifugiarsi nei territori e nelle funzioni lontane da Roma.

La nomina del nuovo Presidente della Repubblica è, ragionevolmente, il perno simbolico di un possibile cambio di paradigma. L’esempio Vaticano è troppo vicino, nel tempo e nello spazio, per non influenzare positivamente la scelta repubblicana. Un “Francesco per l’Italia”, tuttavia, deve possedere caratteristiche molto diverse da quelle del “Francesco per la Chiesa”.

mercoledì 3 aprile 2013

Dalla 500 esistenziale alla 500 barocca


di
Francesco Zanotti


Ricordate la vecchia (la prima) 500? Non era un prodotto “utile” ad un buon prezzo: era un ologramma, una promessa di una nuova società. Acquistarla significava mettere un piede dentro questa nuova società che tutti desideravano e riuscivano a intravedere, a percepire emotivamente proprio grazie a questo tipo di prodotti. L’acquisto diventava momento di promozione esistenziale e sociale sostanziale.
Guardate alla attuale 500: un prodotto barocco. Bello esteticamente, ma racconta solo della degenerazione barocca della società che l’altra 500 aveva contribuito sostanzialmente a fare sognare e a costruire.

Il senso della crisi che stiamo vivendo è quello di un Rinascimento che è diventato barocco. “E’ del poeta il fin la meraviglia” scriveva, come tutti sanno, il Marino. La nuova 500 suscita (forse) meraviglia, ma non passione per il futuro.
Non voglio riecheggiare le critiche di Benedetto Croce al barocco. Voglio dire, sistemicamente, che l’emergere di un barocco è il segno che un Rinascimento non è riuscito a diventare altro da sé.
Oggi viviamo in una società che è stata splendida (un Rinascimento), ma che deve diventare urgentemente altro da sé. L’attuale sistema economico non è più in grado di servire la vita degli uomini e rischia di distruggere Natura ed Uomo. L’urgenza è così rilevante che non ci possiamo neppure permettere una deriva barocca della società industriale. Il cercare di farla più bella, rischia di nascondere con il belletto il suo essere diventata distruttiva.

Le imprese devono ridiventare i profeti e i costruttori di questa nuova società.
Ma non sta succedendo. Anzi ci siamo dimenticati che è successo. Il lettore provi a riflettere sulle strategie che stiamo immaginando, anche se non riusciamo a realizzare.
Vogliamo che le imprese diventino più competitive. E con questo non arriviamo neanche al barocco. Non immaginiamo neanche che le imprese attuali possano generare, se non un altro Rinascimento, almeno un barocco leccese, anche se come ho detto, non ce lo potremmo permettere.
Ci accontentiamo che funzionino meglio. Anche quando usiamo della parola “innovazione”, stiamo immaginando una innovazione che faccia aumentare le prestazioni del sistema industriale ed economico della società industriale. Come a dire: l’innovazione finalizzata alla conservazione.

Come possono le imprese diventare profeti e costruttori di una nuova società?

...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.