Stamattina (31 ottobre 2010) leggiucchiando: dal Sole 24 Ore al Corriere alla ultima edizione della Enciclopedia Filosofica Bompiani... Le cose che non vanno e le soluzioni che sono peggio.
La denuncia, indignazione da parte di Emma Marcegaglia e Federica Guidi perché in Italia non si fanno le riforme che potrebbero rilanciare il Paese perchè i politici sono affaccendati nelle loro beghe (che sono sempre meno nobili) di potere.
Per carità, le due Signore dell’industria italiana hanno certamente ragione: alle liti sarebbe meglio una azione riformatrice che ridesse competitività alle imprese di questo Paese.
Ma… poi ripensandoci, no, non hanno ragione! Meglio: certamente occorre piantarla subito con liti che diventano sempre più squallide. Ma non serve pensare a riforme e competitività.
Tesi ardita, ma inevitabile. E’ guardando ad essa che riusciremo a costruire un nuovo sviluppo …
Provo a dettagliare ...
Guardiamo in questa luce le strategie delle riforme e della competitività. Le riforme e la competitività non sono strategie di creazione imprenditoriale. Sono solo strategie di miglioramento del funzionamento di imprese e Stato. Sono strategie che hanno il compito di far funzionare meglio l’economia e la società attuali. Ma noi non abbiamo bisogno di far funzionare meglio questa economia e questa società. Noi dobbiamo costruite una nuova economia in una nuova società. Allora, ogni tentativo di far funzionare meglio questa società è controproducente. Allora, parlare di riforme e competitività è come mettere la testa sotto la sabbia attendendo che tutto ritorni come prima.
In molti post dei nostri blog, questa proposizione è stata esposta in dettaglio. Nella sua forma più compiuta è stata descritta nel libro “Un Expo della conoscenza per fare emergere una nuova società”. La stessa tesi è stata proposta da molti altri. Tra gli italiani, il compianto Giampaolo Fabris e Marco Vitale. Non mi dilungo quindi, ma propongo solo un esempio e, poi, provo a generalizzarlo un pizzico.
La “vecchia” 500 è stata un prodotto profetico, cioè un prodotto che costituiva un ologramma di una nuova società. Acquistare la 500 era come entrare in questa nuova società. La “nuova” 500 è stata solo una splendida operazione di restyling e di marketing, ma essa non rappresenta alcuna nuova società, anzi sembra il canto del cigno della vecchia società industriale che si rifugia nella comunicazione per mancanza di contenuti.
Costruire una nuova economia significa far sì che nasca una nuova generazione di imprese: nuove imprese e vecchie completamente reinventate.
Allora, la tesi delle due Signore, ma non solo di loro, è ingenua. Meglio conservatrice: indicano tutto quello che serve per lasciare il mondo come è. Se mi posso permettere: per lasciare il mondo come glielo hanno lasciato i padri.
Allargando il discorso, anche l’attuale dramma del lavoro è frutto di una attenzione spasmodica alla competitività ed di una rinuncia quasi completa alla imprenditorialità. L’imprenditore di cui ho detto non genera problemi ai suoi dipendenti, anzi… La FIAT sta soccombendo al totem della competitività attraverso l’imitazione. Non sto criticando la mancanza di nuovi modelli, ma il fatto che hanno eretto a mito insuperabile un sistema di produzione (il sistema Toyota) che ha oramai decine di anni e che ha gravissimi limiti. E, così, costruendo totem è costretta ad una continua escalation di richieste ai lavoratori in cambio di salari che, nella migliore delle ipotesi, cresceranno sempre meno.
Ma, come fare a riattivare quella stesse imprenditorialità non solo economica, ma sociale, politica, culturale?
La risposta è semplice, ma non breve. Richiede un ragionare su come si sviluppano i sistemi complessi come l’uomo, l’impresa, i mercati, la società. E su come gestire questi loro processi evolutivi. Per imprenditori, lavoratori e banche, i soggetti più interessati ad una nuova imprenditorialità economica serve quella nuova cultura strategica che stiamo sviluppando e della quale parliamo in dettagli nel nostro blog imprenditorialitaumentata
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