lunedì 23 maggio 2011

Cultura, scienza, economia e sviluppo

di
Francesco Zanotti

Ancora oggi, con l’espressione “Interventi per la Cultura” si intende il miglioramento della fruibilità del nostro patrimonio museale. Nulla in contrario, ovviamente sul migliorare la fruibilità del gigantesco patrimonio di opere d’arte che possediamo. Tutto in contrario al considerare che la Cultura si esaurisce in questo patrimonio.
Tutto in contrario oggi, quando dobbiamo urgentemente costruire sviluppo (economico, sociale, politico, istituzionale, culturale) e non ci riusciamo. E’ inutile elencare le mille geografie sociali dove non riusciamo a costruire sviluppo.
E non ci riusciamo perché è necessario costruire un nuovo sviluppo. Non si può immaginare un ulteriore sviluppo dell’attuale società. Voglio solo citare il "casino” che hanno fatto in Cina costruendo la più grande diga del mondo sullo Yangtze. Il Governo ha dovuto ammettere che le peggiori previsioni degli ambientalisti si sono verificate. Il riparare i danni sarà una impresa ciclopica, il sostituire l’energia prodotta dalla diga comporterà un massiccio ritorno al carbone con tutte le conseguenze che questi comporta.
E questo nuovo sviluppo non lo cerchiamo: stiamo continuando a cercare di rimettere in sesto la vecchia società industriale.

Bene, ma cosa c’entra la cultura? Ecco, entra subito in scena. Ogni processo di sviluppo, ogni società che da questo processo di sviluppo è generata, sono fondati su di una specifica visione del mondo che si manifesta, lasciatemi usare una vecchia espressione, nelle lettere, nelle arti e nelle scienze. Possiamo vedere anche le cose al contrario, così sarà chiara la stretta correlazione tra sviluppo e … una visione della Cultura che non rimanga chiusa nei musei. Ecco il ragionamento al contrario: lo sviluppo delle lettere, delle arti e delle scienze si sintetizza in una visione del mondo che sta a fondamento dell' economia, della socialità, della politica e delle istituzioni della società dove le lettere le arti e le scienze si sono sviluppate.

Se questo è vero la conclusione è banale: per costruire una nuova visione del mondo (che, sola, darà origine ad una nuova società) è necessario rivoluzionare le lettere, le arti e le scienze perché possano, insieme, costruirla.

Questo significa, innanzitutto, che ci dobbiamo convincere di una cosa che dovrebbe essere entrata nella coscienza comune da decenni: la cultura non è solo capolavori passati,  spolverati e esposti. E' l’insieme di tutto il sapere dell’uomo. Non è una persona colta solo chi va per musei o legge i classici. E’ una persona colta chi fa tutte  queste cose e, poi  passeggia anche per la scienza …

No, non basta! Per costruire un nuovo sviluppo occorre che tutti diventino persone colte di nuova generazione. Ecco la mia proposta.

Per spiegarla, riprendo il concetto di opera d’arte. Le conoscenze attuali non sono più in grado di produrre opere d’arte. Non si producono più rappresentazioni del mondo che possano essere paragonate a quelle che stanno nei musei. Non si producono più teorie scientifiche capolavoro. Sembra che il mondo tenda a rintanarsi sempre di più in mondi specialistici dei quali pochissimi, fuori da quei mondi, ne capiscono il significato. E questi mondi devono essere sovvenzionati perché non sono in grado di produrre valore.
La ragione di tutto questo è che non ci si riesce a staccare dalla visione del mondo attualmente prevalente che una volgarizzazione assolutizzante della visione della scienza di Galileo.
Posso ora spiegare cosa intendo quando propongo che tutti diventino persone colte di nuova generazione. Intendo dire che la responsabilità di costruire una nuova visione del mondo dalla quale potrà nascere una nuova società non può essere lasciata agli attuali specialisti delle lettere, delle arti e delle scienze perché sono troppo legati al loro specialismo che è figlio diretto della visione del mondo oggi prevalente. Essa potrà nascere dall’impegno di menti libere dal desiderio di perpetuare recinti specialistici, ma interessate a costruire un nuovo futuro per tutti. Persone che passeggiano per i musei delle lettere, delle arti e delle scienze con la voglia di costruire nuovi capolavori che si condenseranno in una nuova società che sarà il nostro capolavoro complessivo.

Credo che la mia proposta sia davvero diversa da una difesa piagnisteistica ed interessata della cultura. Del tipo: la cultura è dove opero io. "Salvare la cultura significa mantenermi".

E l’economia? E' l’ambito di conoscenza dove l’esigenza di rinnovamento è più forte. Dove è più forte l' impronta di una visione della scienza che è oramai superata, forse che non c’è mai stata. L’ambito di conoscenza che più ci opprime con teorie insostenibili, ma prescrittive che perseguono il perverso obiettivo della stabilità e non dello sviluppo.

1 commento:

  1. Pubblico con piacere il commento che mi è stato inviato dal Prof. Ignazio Licata.
    "Hai messo bene il punto su una questione che mi sta a cuore (ne faccio cenno nell'ultimo capitolo del mio ultimo libretto sulla complessità) e che ti avrei fatto notare: oggi c'è una dicotomia grave tra cultura ( intesa essenzialmente come conservazione delle conoscenza umanistiche del passato e gratificazione) ed economia ( intesa come status quo finanziario, tecnica e tecnologia del prodotto e del denaro). E le due cose non si incontrano quasi mai, se non all'interno di appuntamenti occasionali di mecenatismo.
    Abbiamo bisogno di un'idea di cultura più attiva , come la comprensione che incide sul mondo e la consapevolezza, e dell'economia più ampia, come la disciplina dei desideri umani, e dunque della creatività oltre chè dei bisogni. Mi trovi dunque d'accordo con il tono.
    Trovo un pò semplificante l'esempio di arte/scienza non più all'altezza del passato. Anche se corrisponde ad una percezione popolare, non è corretto.
    Senza fare esempi specifici (nè arte nè scienza possono giudicarsi in base ad un'ideale hit parade stipulata sulla base della comprensione popolare: a parte Voltaire e pochi altri, ancora un secolo dopo Newton non c'era nessun "cittadino comune" che sapesse chi era Newton!), se vogliamo giocare il gioco della cultura bisogna accettare quello che è vero per tutti i giochi, ad esempio gli scacchi: man mano che la conoscenza progredisce, le "partire" diventano sempre più complesse, meno immediatamente "emozionanti", perchè consapevoli delle "mosse precedenti".Ma non per questo meno belle o importanti. Vanessa Beecroft nel ritrarre l'ora non è meno importante di Veermer e dell'ora secentesca, e Bil Viola è l'erede diretto di Piero della Francesca, Pontormo e Caravaggio! Una posizione del tipo "i bei tempi andati", non fa che confermare la tesi che si vuol demolire, ossia quella della dicotomia cultura/economia.Direi piuttosto che c'è un scollamento sempre più ampio tra specialisti, sistemi (dell'arte, della scienza)e mondo.
    Il problema sta nel costruire- diversamente che ai tempi di Newton, oggi è possibile farlo!- un ponte informazionale sempre più stretto ed in tempo reale, con le frontiere della conoscenza.
    C'è anche il problema del mito dell'innovazione, che ha sostituito la creatività, e della tecnoscienza che ha sostituito la scienza.
    Infine, anche se comprendo da dove nasce quest'espressione, proporre di riscoprire l’originale messaggio di Galileo, al di là di ideologizzazioni e semplificazion: corretti ragionamenti e sensate esperienze, anche se oggi gli diamo un ruolo sempre più attivo e pragmatico( ma chi dice che Galilei la pensasse diversamente?), sono comunque alla base di ogni atto di ri-costruzione del mondo.
    Osservare, Modellizzare, Rappresentare sono sempre i momenti irrinunciabili del porsi davanti al mondo.
    E' l'oggettivismo naive che va evitato, il riduzionismo tout court con pretese esaustive, e la visione meccanica e macchinista del mondo."

    RispondiElimina

...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.