di
Francesco Zanotti
Come si fa a gestire le imprese (Il caso Fincantieri) lo si sa! Basta affidarle ad un bravo imprenditore o ad un bravo manager. Come si fa a gestire il nostro sistema di infrastrutture, lo si sa: basta scegliere una classe politica “etica” che, magari, scelga managers altrettanto etici. “Etico” significa: non privilegiare gli amici, ma solo il bene comune.
Se, poi, l’azienda va male o è colpa di circostanze esterne particolarmente sfavorevoli, come il nostro sistema paese (come scrive Gian Maria Gross Pietro sul Sole 24 Ore di oggi). Ed allora basta avviare le famose riforme. Oppure si è sbagliato a scegliere il management e basta cambiarlo (come sembra proporre Dario di Vico sul Corriere della Sera di oggi).
Se il costruire infrastrutture scatena conflitti sociali, allora la soluzione è anche in questo caso è cambiare Il “capo”, cioè la classe politica.
Queste sono le convinzioni quasi unanimemente condivise. Ecco, io sostengo che sono proprio queste convinzioni ad aver costruito la crisi (altro che la finanza). E, se continuiamo ad usarle, dalla crisi non ne usciremo, ma la peggioreremo.
Più in dettaglio, sostengo che il nostro problema più grande è che oggi non sappiamo come gestire lo sviluppo dei sistemi umani. Uso l’espressione “sistemi umani” perché sia una impresa che un sistema di infrastrutture sono sistemi umani. Cioè sistemi fatti di persone, materiali e tecnologie. Ma non solo, anche, ad esempio, di attori sociali (gruppi di uomini) sia interni che esterni all’impresa, e di culture.
Ripeto la mia tesi in modo diverso: lo stato dell’arte delle conoscenze manageriali e strategiche (quelle che permettono di gestire i sistemi umani) è troppo primitivo e troppo vecchio. Sono almeno trent’anni che la cultura manageriale gira intorno alle stesse parole: leadership, comunicazione, motivazione, negoziazione, assertività. Le conoscenze che stanno dietro queste parole sono il contenuto di mille corsi di formazione che sono indirizzati a dirigenti di secondo piano. Queste stesse conoscenze sono praticamente sconosciute (per fortuna) e, quindi, non sono utilizzate da manager, imprenditori o gestori della cosa pubblica di successo. Le conoscenze strategiche, cioè quelle conoscenze che servono a riprogettare l’identità delle imprese a concretizzare le nuove identità desiderate in “Piani industriali” ed a gestire gli interlocutori esterni, sono in genere completamente trascurate (non vengono insegnate, non vengono usate, non vengono neanche ricordate). Forse le conoscenze di strategie d’impresa sarebbero più utili di conoscenze manageriali ridotte ad abbecedario (di una lingua che non viene usata) per managers. Ma quelle esistenti non sono definitive.
Per dimostrare queste mie affermazioni, propongo due citazioni. La prima: "Handbook of strategy and management" curato da Andrew Pettigrew. In questo volume, lo stesso Pettigrew (uno dei più affermati “guro” della strategia d’impresa), nel suo contributo, ammette chiaramente che lo stato dell’arte di quella disciplina che si chiama strategia d’impresa è fallimentare.
Per quanto riguarda le conoscenze manageriali, bisogna citare il libro di un italiano: Ugo Morelli. E’ intitolato “Incertezza ed Organizzazione”. E’ una splendida disanima della povertà delle conoscenze manageriali diffuse, esaltate e per insegnare le quali si spendono un sacco di soldi.
Ed allora? Allora prima di tutto la ricerca! Se ci teniamo in mano un martello (le attuali conoscenze manageriali e strategiche) continueremo a picchiare martellate (conflitti, accuse etc.) Se ci convinciamo che i sistemi umani non sono macchine da gestire a martellate, allora dobbiamo cercare altri strumenti per gestirli.
E’ una tesi drammatica. Nel senso che, se vera, (mi piacerebbe che qualcuno dimostrasse a me, ma anche a Pettigrew e Morelli e tanti altri che non è vera) indica una urgenza di fondo alla quale nessuno sta pensando. Esplicitando con un linguaggio diverso: occorre affiancare alla tradizionale ricerca sulla tecnologica e sui sistemi tecnologici, una ricerca sui sistemi umani (sui processi di sviluppo e di governo dei sistemi umani).
E’ già delineato un possibile percorso di ricerca. Nel secolo scorso (e con una accelerazione in questo) si è sviluppata una rivoluzione che è partita dalle scienze della natura e ha poi risuonato nelle scienze umane. Sto parlando della “rivoluzione della complessità”. Essa è partita dalla matematica (geometrie non euclidee, addirittura nell’ottocento, i teoremi di Godel e i fenomeni non lineari e molto altro nel novecento), dalla fisica (la meccanica quantistica, oggi diventata teoria quantistica dei campi), dalla biologia (teoria dei sistemi auto poietici, EVO-DEVO etc.) e, poi, davvero, è dilagata nelle neuroscienze, nella sociologia (il grande disegno di Luhmann) … e in praticamente tutte le scienze umane. Tutte questa conoscenze permettono di guardare ai sistemi umani in modo radicalmente diverso rispetto a quella visione riduzionistico-meccanicistica che oggi domina ancora nella cultura manageriale e strategica. Purtroppo, salvo lodevoli casi sporadici, l’utilizzo di queste conoscenze è inesistente. Ed anche i tentativi che vengono fatti (a causa del fatto che la ricerca in questi campi è solo frutto delle somma di tante buone volontà individuali) sono veramente iniziali.
Noi abbiamo provato a sviluppare un progetto per seguire questo percorso di ricerca. Cioè: per utilizzare la “rivoluzione della complessità” per costruire nuove conoscenze manageriali e strategiche. Lo abbiamo chiamato “Expo della Conoscenza” ed è disponibile a tutti coloro che ne fossero interessati.
Il nostro obiettivo ultimo è quello di sostituire alla logica del conflitto attuale conoscenze capaci di fare emergere comunità (aziendali, sociali) che invece di disperdere risorse nei conflitti, sanno costruire sviluppo.
Ad esempio, conoscenze per costruire socialmente il nuovo piano strategico di Fincantieri, progettare socialmente il nostro nuovo sistema di infrastrutture.
Nessun commento:
Posta un commento