di
Francesco Zanotti
Ieri sera, alla trasmissione di Fabio Fazio ho ascoltato le idee di Emma Marcegaglia. Il mio commento fondamentale: ho visto la voglia di conservare il sistema economico esistente, impersonificata. Non ho sentito nessuna parola sulla conoscenza. Poi … tante idee “discutibili”. Ad esempio, quella che il mercato funziona con le regole: sono le burocrazie che funzionano con le regole…
Ma andiamo con ordine.
Le misure proposte (non per niente definite “riforme”) sono le solite: liberalizzazioni, fisco, pensioni, riforme istituzionali, infrastrutture. Accenni all’innovazione tecnologica.
Ma nessuno si accorge che, innanzitutto, sono misure ininfluenti sul breve: non permettono di pagare stipendi ed aumentare occupazione? Salvo forse le infrastrutture, ma il fare infrastrutture genera occupazione stabile solo se si continuano a farle …
E qui arriva la grande incomprensione: sono dannose sul lungo termine. Non serve cambiare il “contorno” all’attività di impresa. Occorre immaginare nuove imprese. Poi progetteremo il contorno adatto a questa nuova imprese.
Credo che sia oramai documentatissima la necessità di un nuovo sistema economico. Non è più possibile sviluppare all’infinito quello attuale. Sono necessari prodotti e sistemi produttivi completamente diversi da quelli attuali. Lo sviluppo ulteriore dei prodotti e sistemi produttivi attuali è assolutamente incompatibile con l’ambiente naturale. Le esigenze delle persone cambiano, quindi, perdono interesse per gli attuali prodotti. Quella degenerazione del mercato che si chiama competizione, inevitabile se tutti fanno le stesse cose di sempre e queste sono sempre meno appetibili, costringe a considerare le persone come strumenti di produzione da far funzionare nel modo più efficiente possibile e pagare il meno possibile.
Un nuovo sistema produttivo necessita di un nuovo sistema finanziario, distributivo ed infrastrutturale. Nota: non basta parlare di infrastrutture, bisogna dire quali … E le infrastrutture progettate oggi servono a far funzionare meglio l’attuale sistema economico. Peccato che vada cambiato.
Poi ho visto il servizio di Dossier sull’agricoltura. Non ne condivido la continua accusa ai trasformatori di prodotti agricoli. Ma il servizio ha dimostrato chiaramente che la battaglia competitiva, tipica di mercati che non si rinnovano, sta distruggendo la nostra capacità di lavorare la terra. Cioè di produrre cibo.
La grande incomprensione… Mi ripeterò, ma sembra che “repetita Juvant”: non serve conservare, occorre riprogettare tutto da capo.
E qui arriva la conoscenza. E’ il caso di dirlo: quella sconosciuta. Che c’entra la conoscenza? Non voglio fare il solito richiamo alla innovazione ed alla formazione. Formazione che, poi, è rivolta solo ai giovani, con la speranza di “metterli in forma”, la forma che serve all’interno della società attuale. Voglio parlare della conoscenza come risorsa progettuale.
Noi siamo le conoscenze (modelli e metafore) di cui disponiamo.
Esse sono i filtri con cui guardiamo il mondo. Sono occhiali “cognitivi” che colorano, selezionano.
Esse sono gli strumenti con cui progettiamo il nostro e altrui agire.
Esse sono i linguaggi con cui raccontiamo il mondo che vediamo e come vogliamo trasformarlo.
La nostra “competenza” di governo dello sviluppo è direttamente proporzionale alla qualità della conoscenza di cui disponiamo.
Ma il patrimonio di conoscenze fondamentali della classe dirigente non cambia mai …
In particolare, i modelli e le metafore che usa la classe dirigente attuale sono ispirati alla fisica classica.
E la fisica classica propone una visione riduzionista, programmabile, gerarchica del mondo. E’ la fisica classica che propone l’ideale della stabilità. E’ la fisica classica che sta alla base di tutti gli Stability Forum.
E’ la fisica classica che ci guida a progettare Piani Strategici burocratici. E’ la fisica che suggerisce di lasciare agli esperti la conoscenza ed occuparsi solo di “politica”.
Noi, però, non abbiamo bisogno di stabilità.
Gli imprenditori, come Steve Jobs, non cercano stabilità. Vogliono costruire un nuovo mondo. Credono che la stabilità sia conservazione. Essi hanno, anche se inconsapevolmente, le nuove scienze nel sangue. In particolare hanno nel sangue quella nuova visione del mondo che è costituita dalla fisica quantistica che indica una precisa strada dal basso per costruire un nuovo sistema economico ed una nuova società.
In particolare, suggerisce di guardare all’ambiente in cui si muovono le diverse organizzazioni come ad un vuoto quantistico in tempesta da cui emergono autonomamente cambiamenti continui.
Suggerisce di guardare all’Attore di governo come Operatore Quantistico che fa condensare il turbinio del vuoto in nuclei di futuro.
Rivela che la ricerca della stabilità è solo autoreferenzialità in atto. Cercando stabilità, si genererà solo una progressiva perdita di significato dell’attuale sistema economico-finanziario e delle attuali istituzioni.
Una classe dirigente che voglia veramente costruire sviluppo, soprattutto quella parte che considera la stabilità come condizione per costruire sviluppo (i banchieri, i politici, gli alti burocrati, ad esempio), non può continuare ad arroccarsi, anche inconsciamente, nella fisica classica.
Deve immergersi nella innovazione “cognitiva” (nuovi filtri, strumenti, linguaggi) costituita dalla fisica quantistica. E in molte altre scienze naturali ed umane.
Coraggio, saliamo sulle spalle dei Giganti. Meglio: iniziamo a scalare la montagna della conoscenza.
La formazione per i giovani… certo. Ma soprattutto, velocemente ed urgentemente, una formazione intensa e diffusa sule nuove scienze per una classe dirigente che si sente irragionevolmente “imparata”. E che, per questo, attua una progettualità che è solo rimescolamento. Costruisce i mondi futuri con i cubetti di Lego che possiede. Poiché sono sempre gli stessi cubetti, non fa che re-immaginare sempre lo stesso mondo. Che ci si sta sfaldando sotto i nostri piedi.
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