lunedì 27 giugno 2011

La TAV, le riforme, De Rita e la Sistemica

di
Francesco Zanotti

In questi giorni siamo nei guai con la TAV. E si tratta di guai di difficile soluzione. Tanto che il Corriere di oggi titola “Due eserciti ai piedi di una scarpata: Tempo scaduto, lo scontro annunciato che nessuno ha saputo evitare”. Che pensare? Che fare?

Credo che si possa trarre ispirazione da un articolo di qualche giorno fa di Giuseppe De Rita dal titolo “Le trappole della semplicità”. Guardiamolo un po’ da vicino.
De Rita afferma una indiscutibile evidenza: che i grandi problemi sono “sistemici”. Ed aggiunge che oggi, nel cercarne la soluzione con  grandi progetti sistemici, stiamo miseramente fallendo. Egli si riferisce non solo al problema della TAV, ma anche a quelli dell’acqua, della scuola, delle grandi infrastrutture, del welfare.

De Rita imputa queste incapacità ad una ondata di soggettivismo (libertà molecolare, per usare una sua espressione) che auspica possa essere sostituita dal ritorno ad una serietà sistemica.

Ecco, io credo che la via della “serietà sistemica” sia quella giusta, sia per capire cosa sta accadendo sia per trovare soluzione ad accadimenti futuri che si preannunciano di conflitto duro.
Ma non basta fermarsi a questa intuizione di De Rita. Anzi, io credo che occorra andare molto oltre.

Le ragioni delle mie affermazioni stanno nello stesso articolo di De Rita. Egli ricorda che nel passato si è formata e si è cercato di utilizzare la cultura sistemica, ma, poi, tutto si è disperso. Egli dice a causa del prevalere di una ondata di soggettivismo che ha soffocato ogni  visione e cultura sistemica.
Io credo che, invece, questo disperdersi della cultura sistemica sia stato generato da una sua evidente inadeguatezza. Era una cultura ambiziosa nelle intenzioni, ma semplicistica nella formulazione e socialmente inaccettabile nella proposta. Una esortazione retorica di ispirazione tecnocratica, insomma. Infatti consisteva sostanzialmente in due affermazioni. La prima, di struttura, “rivelava”che tutto è connesso. Ad esempio: una organizzazione è fatta di parti collegate tra di loro ed interdipendenti. L’organizzazione è un sistema. Questa è certamente una verità, ma se non la si approfondisce appare solo come un'ovvia banalità. La seconda, di processo, era una proposta per governare questa connettività complessiva: per comprendere, far funzionare e migliorare questi sistemi sono necessarie specifiche competenze “modellistiche” che possono essere ad appannaggio solo di tecnici. Ecco la dimensione tecnocratica: solo i tecnici possono comprendere, far funzionare, modificare i sistemi. Questa proposta di metodo di governo è, da un lato, socialmente inaccettabile: le persone ed i momenti sociali e i partiti politici che le rappresentano vogliono comprendere, far funzionare e modificare in proprio. E, dall'altro  non ha mai funzionato. I grandi disegni sistemici sono rimasti e rimangono sempre di più sulla carta.

Quindi come affrontare gli attuali problemi sistemici, dalla TAV e dalle riforme?

La mia proposta è molto semplice: occorre una nuova cultura sistemica, più precisa ed utilizzabile socialmente.

Per  la nascita di questa nuova cultura sistemica vi è abbondanza di “materie prime”: in tutte le scienze, sia quelle naturali che quelle umane, stanno emergendo nuovi modelli (linguaggi) che promettono di dare una mano a comprendere i processi di evoluzione spontanea dei sistemi umani: dalla mente delle persone, alle organizzazioni, agli attori sociali e politici, alle istituzioni. E stanno emergendo suggerimenti per gestire questi processi di evoluzione spontanea. La sfida è quella di “aggregare” tutti questi nuovi linguaggi in un nuovo linguaggio comune da usare per comprendere fino in fondo i processi di evoluzione spontanea dei sistemi umani e per poterli gestire. In modo da non finire nei guai come con la TAV o andare a sbattere contro una gigantesca frustrazione sociale complessiva di fronte alla incapacità di fare riforme.

Negli anni scorsi si è tentato di costruire questa nuova cultura sistemica sotto il “cappello” della complessità. Ma, si è rimasti a livello di nuove suggestioni che contenevano ombre di futuro, di cui  non si è riusciti a spazzar via le ombre e scorgere concretezza nelle suggestioni.

Oggi si sta tentando da molte parti di costruire una teoria sistemica di nuova generazione. Noi stiamo dando il nostro contributo utilizzando i modelli proposti dalla teoria quantistica dei campi, la teoria dei sistemi autopoietici, le nuove considerazioni “strutturali” che vengono proposte da quella biologia evoluzionista che si riassume nella sigla EVO_DEVO. Abbiamo definito questa nuova teoria “Sistemica quantistica”.

La TAV (per non parlare delle riforme), quindi?

Banalmente è accaduto quello che è accaduto, si teme che accadrà di peggio perché non si è tenuto conto delle modalità di evoluzione e sviluppo degli attori sociali. Semplificando al limite dell’indecenza scientifica: essi hanno come obiettivo quello di autorealizzarsi. Se li si pone di fronte ad un progetto già fatto e di notevole complessità, hanno come unica strategia possibile la contestazione del progetto stesso. Se si cerca, con una comunicazione intensa, di dimostrare la bontà del progetto, non si fa altro che aumentare le tentazione del conflitto. Soprattutto in quegli attori sociale che hanno poche risorse analitiche e progettuali. Se, poi, si cerca di imporre il progetto con la forza, ci si deve attendere una guerriglia permanente effettiva, nella quale i gruppi più violenti (cioè quelli dotati di meno risorse analitiche e progettuali) trascinano anche gli altri.

In alternativa? Si  dovrebbe usare il metodo di governo che nasce da questa cultura sistemica e che abbiamo denominato “Sorgente Aperta”. Ne ho parlato a lungo e in largo su questo blog. A chi interessasse, possiamo inviare la documentazione.

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...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.