mercoledì 10 novembre 2010

Ma ci prendiamo in giro? Tentiamo di aiutare le classi dirigenti con un corso di meccanica quantistica


Ho letto ieri mattina, sul Sole 24 Ore, in un articolo a firma di Marco Fortis, che, secondo l’indice di competitività elaborato da Onu e WTO, che si chiama Trade Performance Index (TPI), l’Italia è al secondo posto, dopo la Germania nella classifica dei dieci paesi più competitivi al mondo.

Sono rimasto molto sorpreso e mi sono documentato: tutto esatto. Rendiamo disponibile un Paper che spiega a chi fosse interessato a capire di più cosa è il TPI.

Ma allora qualche domanda sorge spontanea: non abbiamo sempre detto che noi, quanto a competitività, facciamo schifo? Che abbiamo bisogno di Progetto Competitività che coinvolga tutto il Paese. Non hanno sempre detto tutti queste cose? Ed allora?

Una prima risposta ci arriva dallo stesso Marco Fortis che ci rivela che, se si guardano i fattori che dovrebbero generare competitività (produttività, tasso di cambio reale etc.), l’Italia va male. Quello che dicono tutti.
Se si vedono gli indici che riguardano i risultati (il surplus manifatturiero, le quote di mercato) invece le cose vanno esattamente all’opposto.

Conclusione brutale: la gente nel mondo compra i prodotti italiani anche se, secondo gli economisti, non dovrebbe comprarli. Quasi come il calabrone che non dovrebbe teoricamente volare, ma invece vola …

Che pensare di fronte a tutto questo?
La prima cosa è che i cosiddetti fattori che dovrebbero condizionare la competitività non condizionano un accidente.

Ma la seconda cosa è un fenomeno che ho sempre denunciato come pericolosissimo e che qui trova una sua evidente, clamorosa, dannosa manifestazione.
Il fenomeno è il seguente. I sistemi complessi, cioè tutti i sistemi umani, tendono a chiudersi nei confronti dell’ambiente che li circonda. Questa chiusura cognitiva fa sì che all’interno del sistema si crei una realtà propria di quel sistema che ne condiziona l'evoluzione, ma non c’entra nulla (c’entra a caso) con quello che succede al suo esterno.

Il discorso sulla competitività ha seguito questa dinamica: competitività è diventata, piano piano, una parola che le classi dirigenti politiche ed economiche hanno imparato ad usare. Serve ad indicare tutto il bene possibile. Serve a chi è all’opposizione per indicare quanto chi governa sia inetto. Ma le stesse classi politiche non sanno esattamente a cosa ci si riferisce. E, così, si innescano infinite discussioni, battaglie, tavoli negoziali (non programmatici, perché altrimenti si rischierebbe di capire) diversissimi, dove si incontrano sempre le stesse persone che si scambiano la stesse accuse. E, intanto, gli imprenditori, come i calabroni, se ne fregano e fanno soldi (ben facendo)!

Ovviamente, le classi dirigenti non sono consapevoli di questi meccanismi sistemici: ci si fanno inviluppare dentro e considerano il di riuscire ad individuare dei nemici come sintomo del loro indefettibile amore verso il bene comune.

Che fare? Credo che non ci si debba proporre di cambiare classe dirigente. Credo che sia più utile dire alle attuali classi dirigenti che devono informarsi, formarsi.
Che governino pure. Io non mi metterei a governare l’Italia a nessun patto e credo che molti altri condividano il mio pensiero. Ci sono loro e ci stiano. Ma accettino di usare parte del loro tempo ad imparare come sono fatti e come evolvono quei sistemi umani (ad esempio l’economia) cose delle quali non sanno assolutamente nulla.

Più precisamente e concretamente, organizziamo un seminario dove invitiamo i nostri leader politici ad apprendere la meccanica quantistica…
Perché è nella meccanica quantistica (nella sua forma odierna di Teoria Quantistica dei Campi) che sta il segreto della struttura e dei meccanismi di evoluzione dei sistemi umani…

Rileggo il mio scritto e mi chiedo: chissà che ne pensano quei lettori completamente assorbiti da qualche battaglia ideale contro qualcosa… Mi piacerebbe conoscere l’opinione delle nuove forze politiche (rottamatori e finiani)  che sono accomunati da vigore polemico e flebilità di proposta…


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...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.