di
Francesco Zanotti
Leggete questo articolo preso da “ilPaeseNuovo.it”
quotidiano di Lecce e provincia.
Verificherete che l’opposizione ai progetti infrastrutturali
trascende spesso i progetti stessi e diventa confitto a 360 gradi contro la società
industriale con quella degenerazione socio-cognitiva che si chiama
complottismo.
Il problema di fondo è
che oggi le infrastrutture non solo non vengono considerate strumenti di
sviluppo, ma accade anche che la loro crescita e il loro ammodernamento siano ostacolate
da una crescente conflittualità.
Essa si manifesta sia
a livello locale (di singolo progetto), sia verso l’esistenza stessa delle
Società di infrastrutture, sia verso la stessa società industriale. finendo
inevitabilmente nel complottismo.
Una conflittualità
locale crescente …
La conflittualità
emerge a livello dei singoli territori quando una Società di Infrastrutture presenta
da un nuovo progetto. Non è pre-esistente.
Essa viene scatenata
da attori sociali che si formano proprio per contrastare il progetto. O da
attori istituzionali locali che si mobilitano sempre per contrastare il progetto
di cambiamento infrastrutturale. Li definiamo entrambi “attori sociali emergenti” perché è il progetto che li fa emergere e
mobilitare.
L’opposizione sociale si
manifesta, innanzitutto, come opposizione ai contenuti (ma, vedremo, si tratta
di una “scusa”). Gli attori sociali emergenti non considerano mai
convincenti
né le ragioni, che hanno guidato la formulazione del progetto di una impresa di
infrastrutture, né le caratteristiche del progetto stesso.
La dimensione istituzionale non è vincolante
Non ha importanza se il
progetto ha ricevuto tutte le autorizzazioni necessarie. Neppure ha importanza
se gli Attori Sociali Istituzionali (le Associazioni ambientaliste nazionali,
ad esempio) e le Istituzioni locali (dalle Regioni, fino ai Comuni) hanno già
negoziato miglioramenti, compensazioni etc.
Il confliggere crea consenso
L’azione di opposizione ai
progetti infrastrutturali si autoalimenta. Quanto più gli attori sociali
emergenti mettono in atto azioni conflittuali, tanto più aumenta la loro
capacità di interdizione attraverso il crescente consenso che attirano proprio grazie
al successo del loro confliggere. Il fatto che chi confligge attira consenso è
anche favorito da una società dove l’ostilità verso le istituzioni e l classi dirigenti
è crescente.
Il consenso da conflitto rimette in discussione il
consenso istituzionale.
Il crescente consenso alle
azioni di interdizione, opposizione al progetto, e il conseguente consenso agli
attori che le mettono in atto, finisce per attivare ripensamenti nelle
Istituzioni e negli Attori sociali istituzionali.
Il conflitto approda nella aule giudiziarie
Da ultimo, accade sempre più
spesso che il conflitto approdi nelle aule giudiziarie con tutto quello che
questo comporta sia per la Società di infrastrutture e che per i suoi
Amministratori.
In sintesi, la conflittualità
si esprime con una crescente sanzione sociale che può arrivare ad attivare le sanzioni
certamente più cogenti della Magistratura.
Il confitto non è mai vinto
Neanche quando alcune infrastrutture,
alla fine, vengono realizzate il conflitto si spegne. L’esperienza elenca
numerosi casi di pervicace opposizione che risuona anche negli altri progetti.
… che diventa
complessiva, etica …
Accade, poi, che la conflittualità
non rimanga circoscritta ai singoli progetti, ma si trasformi in una
conflittualità complessiva che assume valenze etiche. Diventa molto simile a
una guerra di religione contro le Società di infrastrutture e la società
industriale.
Creano alleanze sempre più vaste
Gli attori sociali locali tendono,
per loro natura, a creare reti complesse a livello nazionale e internazionale
che “sommano” e generalizzano le singole opposizione locali in una meta
opposizione che ideologizza, istituzionalizza il confitto: generalizza
l’opposizione verso tutti i nuovi progetti infrastrutturali che arriva a
contestare la scelta stessa di affidare a imprese gestite con logiche
privatistiche (anche se di proprietà e di controllo pubblici) sistemi di
infrastrutture. Il caso TAV è esemplare.
Che finiscono nel complottismo.
Cioè nello spiegare i
comportamenti strategici e relazionali delle imprese di infrastrutture, immaginando
che esse sono motivate da qualche insieme di ragioni occulte e tendenzialmente
perverse.
Usare la teoria del complotto
è un ottimo modo per giustificare un conflitto permanente effettivo che è il
modo più semplice di affermare la propria identità. Infatti, tutte le
spiegazioni, le illustrazioni, le giustificazioni che la loro controparte può
dare sono solo una ulteriore conferma del complotto. La teoria del complotto
esorcizza completamente il dialogo.
… e costruisce un
gioco complessivo a somma negativa.
Questa conflittualità prima
locale e, poi, complessiva, genera un gioco sociale a somma negativa. E’ negativo per gli
shareholder che vengono danneggiati da questo “vulnus” alle operatività, e,
quindi, alle performance patrimoniali, economiche, finanziarie e sul valore
delle azioni delle Società in cui hanno investito. Ma lo è anche per il sistema
degli stakeholder oppositori che vedono rallentata o bloccata la realizzazione
di opere che molto spesso servono sia allo sviluppo delle economie locali sia
allo sviluppo del Sistema Paese.
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