di
Francesco Zanotti
Sembra economicamente e strategicamente indispensabile,
ma la sua realizzazione sta sollevando aspre resistenze in Puglia. Cosa fare?
Non certo tirare in ballo sciocchezze come l’effetto Nimby, ma attivando un
progetto di ricerca.
TAP sta per Trans-Adriatic
Pipeline e che trasporterà il gas dell’Azerbaigian in Italia. Vi sono ragioni
economiche e strategiche per cui sembra utilissimo. Non ultima il fatto che è
frutto di un vasto accordo di cooperazione internazionale che di questi tempi sembra manna piovuta dal
cielo.
Eppure tutti leggiamo di
opposizioni sociali che durano da tempo e che oggi si stanno concretizzando
nell’impedire l’estirpazione di qualche decina di ulivi.
La risposta “mainstream” è
fondata su di una espressione “Effetto Nimby”. Nimby sta per “Not In my
Backyard”: fate pure l’opera di pubblica utilità che vi pare, ma non a casa mia.
Il pensiero mainstream sostiene che alla radice di ogni opposizione a nuove
infrastrutture vi sia un egoismo primitivo che, come tale, non ha legittimazione
etica. Poi c’è chi vi aggiunge il peso dell’ideologia: chi si oppone lo fa in
base ad ideologie irragionevoli di tipo “passatista”, anarchico o contro
l’impresa. Una sorta di opposizione al progresso della società industriale.
Se così è, allora la
soluzione può consistere solo in un richiamo alla legalità: il TAP ha ottenuto
tutte le autorizzazioni necessarie, quindi non può essere fermato dai pochi che,
per di più, hanno completamente torto visto che sono egoisti e ideologici. La
soluzione sarebbe solo l’uso della forza pubblica per mettere a tacere gli
oppositori.
Ma la risposta mainstream è
troppo semplicistica. In realtà, le ragioni dell’opposizione non hanno nulla a
che vedere con il fenomeno Nimby. Sono solo la conseguenza del fatto che i
desideri di autorealizzazione stanno crescendo nelle persone e nei gruppi
sociali mentre la nostra società non offre occasioni di autorealizzazione
positive e, quindi, costringe ad autorealizzazioni conflittuali. Attraverso un
opporsi che, proprio perché può essere solo opporsi, finisce con il prescindere
dai contenuti.
Detto diversamente:
l’opporsi come forma di autorealizzazione zittisce la ragionevolezza.
Accanto a questo, occorre
ricordare che non è così certo che i progetti infrastrutturali siano
socialmente ed economicamente indispensabili. Lo dimostra il fatto che manca il
loro riferimento fondamentale: progetti di sviluppo del territorio o del
sistema paese a cui finalizzarli. Rischia che si sviluppino infrastrutture che
sono funzionali al Progetto Paese inconscio di coloro che le progettano.
Tecnicamente, poi, è noto che non si può parlare di ottimo assoluto. E’ ottimo
da un certo punto di vista, ma non da altri.
Ovviamente con questo non
voglio dire che “hanno del tutto ragione” gli oppositori. Anzi proprio la
modalità attraverso la quale si formano le obiezioni, le costringe a diventare
ideologie che ostacolano proprio quella partecipazione che stanno cercando.
E allora?
Allora è necessario che i
progetti infrastrutturali nascano da una progettualità sociale diffusa.
Tecnicamente si parla di “stakeholder engagement”.
Ma perché non lo si è attivato
questo stakeholder engagement? Perché non si sa ancora esattamente come fare.
Le attuali proposte finiscono per essere proposte di comunicazione: “Spiegate
esaustivamente i progetti infrastrutturali e vedrete che le popolazioni
capiranno la loro necessità.”. Ora adottare questa strategia di “convincimento
razionale” è come buttare benzina sul fuoco: si nega proprio quel bisogno di
autorealizzazione che è all’origine di ogni opposizione.
La risposta che noi stiamo
cercando di dare uscirà da una ricerca
che stiamo compiendo.
Parlando di persone e attori
sociali sarebbe sensato utilizzare (cosa che, però non accade) le conoscenze
che derivano dalle scienze cognitive, dalle diverse tipologie di psicologie,
dalla sociologia e dall’antropologia.
Allora il primo capitolo di
questa ricerca sarà capire quali possono essere le conoscenze di riferimento
da porre a fondamento di una metodologia di stakeholder engagement.
Poi andremo ad esaminare le
metodologie più consolidate per verificare fino a che punto utilizzano tutto il
patrimonio di conoscenze necessarie e disponibili.
Da ultimo esamineremo le
esperienze più avanzate a livello internazionale per valutare, innanzitutto,
successi ed insuccessi. E, poi, per valutare il patrimonio di risorse cognitive
utilizzato e il loro grado di trasferibilità.
“Ispirati” da tutto questo
materiale e dalle nostre esperienze formalizzeremo una metodologia di
stakeholder engagement che possa permettere la costruzione di coalizioni
sociali profonde che progettino e supportino l’evoluzione di un sistema di
infrastrutture. Che trasferiscano le energie sociali, che oggi generano
confitti, in contributi di progettualità.
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