lunedì 3 aprile 2017

Le opposizioni al progetto TAP e la gestione degli stakeholder

di
Francesco Zanotti
Risultati immagini per stakeholder engagement


Sembra economicamente e strategicamente indispensabile, ma la sua realizzazione sta sollevando aspre resistenze in Puglia. Cosa fare? Non certo tirare in ballo sciocchezze come l’effetto Nimby, ma attivando un progetto di ricerca.

TAP sta per Trans-Adriatic Pipeline e che trasporterà il gas dell’Azerbaigian in Italia. Vi sono ragioni economiche e strategiche per cui sembra utilissimo. Non ultima il fatto che è frutto di un vasto accordo di cooperazione internazionale  che di questi tempi sembra manna piovuta dal cielo.
Eppure tutti leggiamo di opposizioni sociali che durano da tempo e che oggi si stanno concretizzando nell’impedire l’estirpazione di qualche decina di ulivi.
Cosa fare?
La risposta “mainstream” è fondata su di una espressione “Effetto Nimby”. Nimby sta per “Not In my Backyard”: fate pure l’opera di pubblica utilità che vi pare, ma non a casa mia. Il pensiero mainstream sostiene che alla radice di ogni opposizione a nuove infrastrutture vi sia un egoismo primitivo che, come tale, non ha legittimazione etica. Poi c’è chi vi aggiunge il peso dell’ideologia: chi si oppone lo fa in base ad ideologie irragionevoli di tipo “passatista”, anarchico o contro l’impresa. Una sorta di opposizione al progresso della società industriale.
Se così è, allora la soluzione può consistere solo in un richiamo alla legalità: il TAP ha ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie, quindi non può essere fermato dai pochi che, per di più, hanno completamente torto visto che sono egoisti e ideologici. La soluzione sarebbe solo l’uso della forza pubblica per mettere a tacere gli oppositori.
Ma la risposta mainstream è troppo semplicistica. In realtà, le ragioni dell’opposizione non hanno nulla a che vedere con il fenomeno Nimby. Sono solo la conseguenza del fatto che i desideri di autorealizzazione stanno crescendo nelle persone e nei gruppi sociali mentre la nostra società non offre occasioni di autorealizzazione positive e, quindi, costringe ad autorealizzazioni conflittuali. Attraverso un opporsi che, proprio perché può essere solo opporsi, finisce con il prescindere dai contenuti.
Detto diversamente: l’opporsi come forma di autorealizzazione zittisce la ragionevolezza.
Accanto a questo, occorre ricordare che non è così certo che i progetti infrastrutturali siano socialmente ed economicamente indispensabili. Lo dimostra il fatto che manca il loro riferimento fondamentale: progetti di sviluppo del territorio o del sistema paese a cui finalizzarli. Rischia che si sviluppino infrastrutture che sono funzionali al Progetto Paese inconscio di coloro che le progettano. Tecnicamente, poi, è noto che non si può parlare di ottimo assoluto. E’ ottimo da un certo punto di vista, ma non da altri.
Ovviamente con questo non voglio dire che “hanno del tutto ragione” gli oppositori. Anzi proprio la modalità attraverso la quale si formano le obiezioni, le costringe a diventare ideologie che ostacolano proprio quella partecipazione che stanno cercando.

E allora?
Allora è necessario che i progetti infrastrutturali nascano da una progettualità sociale diffusa. Tecnicamente si parla di “stakeholder engagement”.
Ma perché non lo si è attivato questo stakeholder engagement? Perché non si sa ancora esattamente come fare. Le attuali proposte finiscono per essere proposte di comunicazione: “Spiegate esaustivamente i progetti infrastrutturali e vedrete che le popolazioni capiranno la loro necessità.”. Ora adottare questa strategia di “convincimento razionale” è come buttare benzina sul fuoco: si nega proprio quel bisogno di autorealizzazione che è all’origine di ogni opposizione.

La risposta che noi stiamo cercando di dare uscirà da una ricerca che stiamo compiendo.
Parlando di persone e attori sociali sarebbe sensato utilizzare (cosa che, però non accade) le conoscenze che derivano dalle scienze cognitive, dalle diverse tipologie di psicologie, dalla sociologia e dall’antropologia.
Allora il primo capitolo di questa ricerca sarà capire quali possono essere le conoscenze di riferimento da porre a fondamento di una metodologia di stakeholder engagement.
Poi andremo ad esaminare le metodologie più consolidate per verificare fino a che punto utilizzano tutto il patrimonio di conoscenze necessarie e disponibili.
Da ultimo esamineremo le esperienze più avanzate a livello internazionale per valutare, innanzitutto, successi ed insuccessi. E, poi, per valutare il patrimonio di risorse cognitive utilizzato e il loro grado di trasferibilità.
“Ispirati” da tutto questo materiale e dalle nostre esperienze formalizzeremo una metodologia di stakeholder engagement che possa permettere la costruzione di coalizioni sociali profonde che progettino e supportino l’evoluzione di un sistema di infrastrutture. Che trasferiscano le energie sociali, che oggi generano confitti, in contributi di progettualità.

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...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.