sabato 8 aprile 2017

Anche sparare pur di non studiare

di
Francesco Zanotti


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Non solo sparare direttamente, ma anche lasciare che i nostri leader sparino o sbrodolarsi in inutili invettive pseudo etiche che è quasi una istigazione a sparare … Tutto pur di non mettersi a studiare.

Non so neanche da che parte cominciare tanto è assurda la situazione. La nostra società è percorsa da fremiti conflittuali ad ogni livello. Dai livelli apocalittici dei conflitti armati tra Stati e tra gli stati e il terrorismo agli scontri generazionali, alle liti sociali (l’opposizione crescente ad ogni opera pubblica) e a quelle tra le persone che possono portare anche all’omicidio, fino alla guerra contro se stessi che porta al suicidio. E la lista potrebbe essere molto più lunga.
Come evitare questa conflittualità permanente effettiva? Beh, cercando di capire come si origina, ovviamente. Tanto ovviamente. E, invece, no! Ed allora la soluzione dello sparare sembra inevitabile.
Infatti, innanzitutto, si pensa che la lite tra persone sia diversa dalle lite tra stati e che queste due liti non c’entrino nulla con le diverse altre forme di conflittualità. E, poi, di ognuna di queste liti si danno spiegazioni banali. Nessuno vuole accettare il fatto che esiste una mole infinita di conoscenze che potrebbe permettere di arrivare ad una spiegazione più profonda. Del tipo: i conflitti sono la “somma” di risorse cognitive troppo povere per riuscire a vedere la complessità del mondo e la parzialità di ogni convinzione ideologica e della mancanza di meccanismi di auto realizzazione costruttivi. Detto diversamente: aumenta il desiderio di autorealizzazione, ma abbiamo risorse cognitive troppo limitate per riuscirci costruttivamente insieme agli altri. Allora spariamo, qualche volta metaforicamente ma oggi, sempre più spesso, fisicamente.
Per semplificare, guardate anche la banalità di tutti i giorni: chi mi sta intorno nega la mia identità? Allora lo ammazzo, fisicamente o metaforicamente. Per semplificare, immaginate un Presidente degli Stati Uniti che si emoziona pensando a bambini seviziati dal Sarin e vuole intervenire. Lo fa come capisce e sa fare. Ieri il suo modo di capire e fare lo hanno portato a sparare … con le lacrime agli occhi.
Soluzione? L’unica strategia che può funzionare è diffondere il patrimonio di risorse cognitive che permetterebbero di capire le ragioni profonde e comuni dei conflitti e che oggi vengono, colpevolmente trascurate soprattutto dalle classi dirigenti. Diffondere risorse cognitive per poter avviare ad ogni livello della società processi di auto progettazione (del futuro del mondo, di una impresa, di ogni persona) che sono processi di auto realizzazione costruttivi e non distruttivi.
Conoscenza per avviare progettualità, invece di sparare, sia fisicamente che metaforicamente.

Conclusione? Se davvero ci fa orrore la violenza, allora mettiamoci a studiare. Se non lo facciamo diventiamo quelli che una volta si definivano: sepolcri imbiancati. Che noi si sia classe dirigente o no.

1 commento:

  1. Bellissimo post come sempre. In questo caso aggiungo un punto vista ulteriore. La scelta della guerra non so se sia solo una questione legata alla mancata conoscenza di altre strade. Non è detto che la semplice conoscenza aiuti in quanto in ballo ci sono questioni molto profonde. Cito per esempio Pagliarani che a lungo si occupò di questi temi cercando una risposta alla domanda “perchè si fa la guerra piuttosto che la pace? Anche se tutti, a parole vogliono la pace?

    “La pace paradossalmente non è pacifica, ma è la scienza della complessità e della coesistenza degli opposti....ci vuole molto più coraggio la complessità e la conflittualità della pace che non nel fare la guerra. La scelta dell'elaborazione pacifica e dolorosa del conflitto è la scelta di chi è animato dal bisogno di conoscere, di vedere in sé stesso e nella parte avversa, come stanno le cose e , quindi, è capace di entrare in una depressione positiva che comporta il pentimento, la rinuncia, la mediazione... Invece il bisogno di negare nasce dalla paura della depressione. Ma se si evita la depressione del conflitto, si finisce nella paranoia della violenza e della guerra.

    Dal punto di vista di Pagliarani ( e di altri psicoanalisti come Fornari), quindi, la scelta della guerra risiede a livello molto più profondo. Non è solo una mancanza di conoscenza, ma incapacità di gestire la paura della depressione. Un approfondimento e uno studio di questi temi aiuta certamente a gestire la complessità connessa alla pace, ma forse la conoscenza è solo uno dei tasselli.
    Stefano Pollini

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...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.