di
Francesco Zanotti
Non solo sparare direttamente, ma anche lasciare che i
nostri leader sparino o sbrodolarsi in inutili invettive pseudo etiche che è
quasi una istigazione a sparare … Tutto pur di non mettersi a studiare.
Non so neanche da che parte
cominciare tanto è assurda la situazione. La nostra società è percorsa da
fremiti conflittuali ad ogni livello. Dai livelli apocalittici dei conflitti armati
tra Stati e tra gli stati e il terrorismo agli scontri generazionali, alle liti sociali
(l’opposizione crescente ad ogni opera pubblica) e a quelle tra le persone che possono
portare anche all’omicidio, fino alla guerra contro se stessi che porta al
suicidio. E la lista potrebbe essere molto più lunga.
Come evitare questa
conflittualità permanente effettiva? Beh, cercando di capire come si origina,
ovviamente. Tanto ovviamente. E, invece, no! Ed allora la soluzione dello
sparare sembra inevitabile.
Infatti, innanzitutto, si
pensa che la lite tra persone sia diversa dalle lite tra stati e che queste due
liti non c’entrino nulla con le diverse altre forme di conflittualità. E, poi, di
ognuna di queste liti si danno spiegazioni banali. Nessuno vuole accettare il
fatto che esiste una mole infinita di conoscenze che potrebbe permettere di
arrivare ad una spiegazione più profonda. Del tipo: i conflitti sono la “somma”
di risorse cognitive troppo povere per riuscire a vedere la complessità del
mondo e la parzialità di ogni convinzione ideologica e della mancanza di meccanismi
di auto realizzazione costruttivi. Detto diversamente: aumenta il desiderio di
autorealizzazione, ma abbiamo risorse cognitive troppo limitate per riuscirci
costruttivamente insieme agli altri. Allora spariamo, qualche volta metaforicamente
ma oggi, sempre più spesso, fisicamente.
Per semplificare, guardate anche
la banalità di tutti i giorni: chi mi sta intorno nega la mia identità? Allora lo
ammazzo, fisicamente o metaforicamente. Per semplificare, immaginate un
Presidente degli Stati Uniti che si emoziona pensando a bambini seviziati dal
Sarin e vuole intervenire. Lo fa come capisce e sa fare. Ieri il suo modo di capire
e fare lo hanno portato a sparare … con le lacrime agli occhi.
Soluzione? L’unica strategia
che può funzionare è diffondere il patrimonio di risorse cognitive che permetterebbero
di capire le ragioni profonde e comuni dei conflitti e che oggi vengono, colpevolmente
trascurate soprattutto dalle classi dirigenti. Diffondere risorse cognitive per
poter avviare ad ogni livello della società processi di auto progettazione (del
futuro del mondo, di una impresa, di ogni persona) che sono processi di auto
realizzazione costruttivi e non distruttivi.
Conoscenza per avviare
progettualità, invece di sparare, sia fisicamente che metaforicamente.
Conclusione? Se davvero ci
fa orrore la violenza, allora mettiamoci a studiare. Se non lo facciamo
diventiamo quelli che una volta si definivano: sepolcri imbiancati. Che noi si
sia classe dirigente o no.
Bellissimo post come sempre. In questo caso aggiungo un punto vista ulteriore. La scelta della guerra non so se sia solo una questione legata alla mancata conoscenza di altre strade. Non è detto che la semplice conoscenza aiuti in quanto in ballo ci sono questioni molto profonde. Cito per esempio Pagliarani che a lungo si occupò di questi temi cercando una risposta alla domanda “perchè si fa la guerra piuttosto che la pace? Anche se tutti, a parole vogliono la pace?
RispondiElimina“La pace paradossalmente non è pacifica, ma è la scienza della complessità e della coesistenza degli opposti....ci vuole molto più coraggio la complessità e la conflittualità della pace che non nel fare la guerra. La scelta dell'elaborazione pacifica e dolorosa del conflitto è la scelta di chi è animato dal bisogno di conoscere, di vedere in sé stesso e nella parte avversa, come stanno le cose e , quindi, è capace di entrare in una depressione positiva che comporta il pentimento, la rinuncia, la mediazione... Invece il bisogno di negare nasce dalla paura della depressione. Ma se si evita la depressione del conflitto, si finisce nella paranoia della violenza e della guerra.
Dal punto di vista di Pagliarani ( e di altri psicoanalisti come Fornari), quindi, la scelta della guerra risiede a livello molto più profondo. Non è solo una mancanza di conoscenza, ma incapacità di gestire la paura della depressione. Un approfondimento e uno studio di questi temi aiuta certamente a gestire la complessità connessa alla pace, ma forse la conoscenza è solo uno dei tasselli.
Stefano Pollini