lunedì 8 dicembre 2008

Costruiamo la primavera... in questo inverno

Da quando ho una ragionevole coscienza delle cose sento un profondo cicalio di lamenti, che il più delle volte si risolve non in una pragmatica ricerca delle soluzioni, delle risorse e modalità per implementarle quanto, in aggressioni verbali ed accuse per le azioni passate a volte commesse dagli antenati dell'avversario. Gli stessi discorsi che tornano su loro stessi; l'ho sentito fare presso i bar dei comuni di provincia dove simpatizzanti politici di diverse aree, qualsiasi fosse il punto di partenza di una discussione sul presente, arrivavano comunque a scambiarsi le medesime accuse per fatti di dieci, venti, a volte anche trenta, anni prima. Ogni volta, un continuo replay del passato. Lo si vede molto frequentemente, ancora oggi, sui quotidiani nazionali, in convegni e dibattiti di più alto livello da parte di più colti e potenti interlocutori, e più colto pubblico. Non sono certo che sia una strategia razionale scelta per affrontarsi su temi di letteratura, ed accademia, piuttosto che sulle responsabilità e le concrete progettualità dell'oggi. Mi viene il sospetto, una accusa anche peggiore, che sia proprio una forma mentis.
E così non posso che abbandonare il discorso sul passato (che va da sé bisogna conoscere ed apprezzare, capire ed approfondire, ma non in questa situazione) e proiettare il tema in avanti. Senza voler ignorare, ma per necessaria economia delle risorse cognitive prima ancora che materiali.
Le sfide dell'oggi e del domani sono così grandi , mondiali, sistemiche, che non possiamo che dedicarci a quelle: coniugare benessere economico delle imprese e delle persone, giusti rapporti tra popoli nel mondo, libertà personali, il futuro del pianeta e delle prossime generazioni. Mai prima di ora abbiamo avuto così tante conoscenze e tecnologie, possibilità ed anche ingiustizie.
Quale sviluppo, quali modelli produttivi, quali modalità di distribuzione, quali libertà e quali responsabilità, quale modo di decidere , governare, eleggere? Quali modelli e percorsi formativi, educativi, di socialità? Quali rapporti con l'ambiente e l'energia? Quale quantità? Quanta qualità? Giustizia, libertà e verità, In aggiunta: e come? E chi? Tutto questo in prospettiva locale, e mondiale.
Sono le domande enormi che la grande crescita tecnologica, scientifica, ed ideale ci hanno portato a dover affrontare. Enormi questioni che rendono affascinante il calcare col piede la terra degli anni 2000. Per moltissime persone, responsabili in proporzioni diverse, di quello che avviene ed avverrà, diversamente dai secoli passati. Domande che riguardano la collettività, che ci coinvolgono a cui dobbiamo e possiamo insieme procedere a rispondere, solo insieme costruire delle proposte.
E così, sebbene in tanti ambienti (popolari, istituzionali, d'avanguardia, salottieri o meno...), sia diffuso l'adagio che sia necessario cambiare e fare, in realtà poco o nulla avviene, non si sa bene che fare o dove andare o se c'è qualche intuizione di sorta, manca la capacità di passare dalle parole alla pratica, dall'azione individuale a quella collettiva, si affoga negli ismi.
Eppure sappiamo moltissimo e sempre di più. Ci sono tante conoscenze e competenze, tantissime persone valide ed organizzazioni intelligenti, gruppetti preparati e validi, innovativi, ma troppo autoreferenziali o sconosciuti, poco dialoganti, o non sufficientemente influenti o diffusi. Si fa fatica a costruire una visione generale e motivante per tutti (sia chi ha da guadagnare chi da perdere nel breve periodo), ad organizzare una azione collettiva, sebbene diversificata in modi, forme, tempi.
Nella società italiana, ribollono progetti, micro attività, laboratori, piccoli imprenditori, riflessioni, sperimentazioni di processi politici intelligenti, competenze, risorse non usate, voglia di fare desiderio di miglioramento, valori positivi.
Ma la società non è perfetta, è incapace. Manca la poesia o la filosofia forse la teologia, per suonare una musica tale per cui ciascuno ne riconosca strofe e ritornelli e capisca come suonare la sua parte, in armonia col resto. Non c'è nessuno che possa dirigere e guidare il tutto, ma manca un cantastorie che faccia di tanti fili colorati una tela con cui coprirsi.
L'Italia è un magma in movimento, una donna in travaglio, un minestrone che ribolle, pronta per un altro Rinascimento; ci sono da rimuovere gli argini ed i frenatori, il gufi e gli uccelli del malaugurio, i detrattori, le sanguisughe, i soffocatori.
Da qui, cari amici, dalla composizione poetica e visionaria, che faccia trovare un ruolo a ciascuno ed un giusto ritmo alle cose, c'è da ripartire. Un concerto non per raccogliere fondi ma per mostrare quante possibilità ci sono intorno e quanto è meglio suonare in gruppo, coerenti e caotici al contempo, più che fischiettare lamentosi ognuno nel proprio cantone. Che ciascuno sappia che gli altri pezzi lo sosterranno, nella direzione forse più faticosa perché nuova e non scontata, non abituale e quindi da imparare, supportare, ricordare ogni giorno.
Ci sono le possibilità ora, grazie alle tecnologie ed alla più diffusa capacità di usarle, ma non basta, perché questo avvenga occorre che si prendano armi e bagagli e si parta, ci si muova, si provi, e si inizi. Prima con le parole poi con le azioni. Che qualcuno scriva le prime righe e che gli altri compongano il resto del romanzo. Anche senza sapere chi siano i personaggi, chi i protagonisti, né la trama, né tantomeno i finali possibili (ma è davvero arrivare al finale?).
Aleph V ha deciso di emettere pubblicamente i suoi balbettii, che da tempo coltiva e diffonde sussurrando, c'è di certo qualcosa di buono da cui partire. Ad ognuno la possibilità e la responsabilità di dare il proprio contributo, in base alle proprie possibilità, per perfezionare il disegno; si parte dalla conoscenza, frutto della storia dell'uomo, ma è sopratutto un dialogo, una conversazione, con la parola si costruisce il futuro, si cantano le canzoni. Di certo sarà appassionante e piacevole, molto più che lamentarsi; un esperimento, speriamo una "impresa" di successo. Non sappiamo se ce la faremo, dove il soggetto è un noi molto allargato, a beneficio di tutti, ma di certo sappiamo che la grandezza non sta solo nei risultati ma anche nel coraggio di tentare. Siamo fiduciosi, siate fiduciosi, per scaldarci dobbiamo aprirci e mettere a disposizione conoscenze, possibilità, risorse affinché germoglino positivamente anche nel freddo inverno.
Ci sono già in gran parte, ma devono fare massa critica per pensiero comune per incidere davvero.
Buongiorno Italia, E' primavera.
Aleph III

1 commento:

  1. Desidero citare, a supporto di questo sentimento, l'ultimo rapporto Censis, di cui ha parlato qualche giorno fa sulla "Repubblica" Valerio Gualerzi (http://www.repubblica.it/2008/12/sezioni/economia/censis-rapporto-2008/censis-rapporto-2008/censis-rapporto-2008.html?ref=search)

    Si tratta di un cambio di tendenza, secondo De Rita presidente Censis, rispetto alla "mucillagine" dell'anno scorso. Deboli, sparsi, ma sempre più numerosi segnali stanno indicando che l'Italia si muove, ritornando a quelli che sono i suoi punti di forza storici (scarso indebitamento, propensione per l'economia reale rispetto a quella finanziaria, ecc.) che potrebbero aiutarci ad uscire dalla crisi.
    Ancora una volta però non viene indicata una direzione. Uscire dalla crisi per tornare a campare come prima o per definire un nuovo assetto sociale? A leggere De Rita l'ambizione, o meglio, l'unica direzione, è sempre quella di sempre (non a caso si parla ancora di competitività, consumi, ecc.)
    Iniziamo a parlare allora di cose nuove, bene che ci sia un cauto ottimismo diffuso, ma usiamolo per costruire qualcosa di diverso dal passato, che stiamo ancora vivendo oggi.
    E facciamolo suggerendo temi precisi, e indicazioni chiare, che sono tanto anelati da tutti. Primo fra tutti, prendo questa responsabilità: smettere di aspettarsi un "messia" che indichi la direzione. Questa deve emergere, non essere disegnata da un deus ex-machina che essendo poco deus, siamo tutti esseri umani, e nemmeno ex-machina, viviamo sulla terra, correrebbe il rischio di piacere a pochi e rendere insoddisfatti i più.
    Agli altri commenti ulteriori proposte.
    LM

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...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.