sabato 20 dicembre 2008

Dante, i media, la tecnologia e il futuro

Stamattina mentre stavo chiudendo la porta di casa mi è balenata per la testa una idea che, nel tragitto tra casa e ufficio, si è andata precisando e mi è apparsa degna di essere socializzata. Allora lo scrivere è diventato inevitabile … E lo scrivere riguarda Dante, la tecnologia e il futuro.

Dante ha scritto una grande storia su come egli immaginava il mondo definitivo, cioè l’ “al di là”. Una storia che si è ingigantita nei secoli. E che ancora oggi raduna folle, quando viene proposta in pubblico. Raduna folle silenti e pensanti.

Ma Dante aveva a sua disposizione strumenti molto più limitati dei nostri. Strumenti molto più limitati per rappresentare, comunicare e realizzare storie: carta e penna, neanche la stampa. Certo non aveva nessuna tecnologia per realizzare l’ “al di là” immaginato.
Nonostante questa povertà di strumenti, egli ha scritto una delle più grandi storie del mondo. Tanti altri uomini (o gruppi di uomini) hanno scritto storie immense. In tempi in cui vi erano ancora meno strumenti e tecnologie.

Arriviamo a noi.

Noi disponiamo, per rappresentare le storie che immaginiamo nella nostra mente, strumenti di scrittura e di rappresentazione incommensurabilmente più potenti della carta e della penna d’oca: dal pc agli strumenti di fotografia, di ripresa, di simulazione, di grafica.
Disponiamo di strumenti incommensurabilmente più potenti di diffusione: dalla stampa, ad un sistema di trasporti e di distribuzione, alle rete.
Disponiamo di tecnologie potentissime per realizzare quello che abbiamo immaginato. Forse non mondi ultraterreni, ma quasi tutti i mondi terreni che ci possiamo immaginare.
Disponiamo di strumenti incommensurabilmente più potenti, ma li usiamo per scrivere e realizzare storie banali. Quasi sempre le stesse storie da circa quaranta anni …

Le stesse storie economiche.
Cioè le stesse imprese, lo stesso sistema finanziario, lo stesso sistema di servizi. Quando abbiamo tentato di scrivere una “New economy”, ci siamo persi nei biglietti di auguri via internet, come massima espressione creativa.

Le stesse storie istituzionali.
Siamo fermi alla divisione settecentesca dei potere e ad una democrazia rappresentativa molto rudimentale: la dittatura della maggioranza al di là del giusto, del vero e del bello.

Le stesse storie politiche.
Sostanzialmente le stesse parti politiche che si contrappongono come eserciti in guerra in nome di valori che, quando assumono i grandi nomi di libertà e giustizia sociale, appaiono, al sentirli, mobilitanti. Ma, poi, si dimostrano subito scatole vuote che vengono usate solo come armi per combattere l’avversario. Perché se qualcuno chiede come si fa a realizzare libertà e giustizia sociale, la riposta è sempre la stessa. Basta eliminare i cattivi. Cioè gli avversari politici, peste li colga.

Le stesse reazioni civili: forse chiarezza contestativa, ma ci vuole poco a capire che se si vuole conservare una società che ha fatto il suo tempo, in ogni sua dimensione apparirà insoddisfacente. Le stesse reazioni civili, ma poi la stessa isteria etica che risolve la sfida del costruire una nuova società con assurde pretesi di alterità del contestatore di turno.

La stessa visione del mondo che aveva Galileo, dimenticando tutte le conoscenze alternative che, da allora, nel tempo, nello spazio e nelle civiltà, si sono aggiunte alla sua visione ed alle sue conoscenze. Certo benemerite, anzi profetiche. Ma quasi 500 anni fa …

Allora forse la crisi economica, sociale, politica istituzionale, culturale e personale che stiamo vivendo non viene da qualche demiurgo incattivito. Ma dal fatto che stiamo riscrivendo da decenni le stesse storie banali mentre il mondo sta cambiando radicalmente. Come se fossimo rimasti nelle vecchie stalle invernali della bassa padana a raccontare storie di mondine, al tempo del Grande Fratello e delle veline.

Se questo è il problema, allora la soluzione è quasi banale, almeno a dichiararsi: occorre cominciare a scrivere la storia della nuova società nella quale vorremmo vivere.
Non stiamo a discutere di quali modalità di controllo sull'economia  Progettiamo una nuova economia: come dovrà essere il nuovo sistema produttivo prossimo futuro che dovrà fornire prodotti completamente nuovi, attraverso processi produttivi altrettanto nuovi. E come dovranno essere i nuovi sistemi finanziario e distributivo? Dove dovrebbe guardare la ricerca? Perché qualche problema ce l’abbiamo se spendiamo quasi dieci miliardi di dollari per costruire il più grande martello del mondo. Che, poi, si guasta appena dopo aver dato le prime martellatine di prova.
Quali nuove istituzioni che, invece di decidere chi comanda e su chi, possano permettere lo svilupparsi di una nuova progettualità sociale.
Che senso hanno parti politiche istituzionalizzate? Come si può pensare che non diventino autoreferenziali? Come si può pretendere che esita una netta divisione dei poteri quando una società complessa è proprio quella nella quale tutto si mischia?
Quale nuova visione del mondo, dopo quella galileiana, che condensi tutti le nuove idee emerse durante il ‘900?

Vale la pena di provare a scrivere questa storia perché abbiamo tutte le tecnologie per scrivere e, poi, realizzare. E’ obbligatorio provar a scrivere questa storia, altrimenti la Storia si scriverà da sola la storia della società prossima ventura. E, se si fa agire la Storia da sola, essa finirà con lo scrivere storie che finiscono troppo spesso nella tragedia.

Vogliamo cominciare?
Quale nuovo sistema economico? Quale nuovo sistema sociale, politico, istituzionale, culturale e mediatico vogliamo?
Io qualche primo capitolo della storia della società prossima ventura ho cominciato a scriverlo. E non ha come personaggi, né chiave, né comprimari, Berlusconi e Veltroni. Citati in rigoroso ordine alfabetico, come i ragazzini a scuola …

Da solo non riuscirò certo a finirla. Ma in tanti insieme, sì. Così tra cinque secoli diranno che più di sette secoli dopo Dante è nato un nuovo Dante sociale che ha saputo scrivere una nuova e più intensa commedia, degna delle mille nuove penne e dei mille nuovi calamai di cui disponiamo.

Francesco Zanotti

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...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.