di
Francesco Zanotti
Presidente ApEC
Una piccola anticipazione di cosa il pensiero di Luhmann permette di capire della situazione che stiamo vivendo.
E’ un estratto dall’appendice
alla traduzione del libro del Prof. Moeller su Luhmann che presenteremo giovedì
prossimo all’Università di Modena e Reggio Emilia.
La crisi politica e l’inutilità delle
semplificazioni. I partiti politici sono perennemente impegnati nella danza della
pioggia delle elezioni. Leggono i problemi della società cercando quello che
può servire a combattere i loro avversari,
costruiscono proposte che, pensano, servano a raggiungere il maggior consenso, indipendentemente dalla loro potenzialità di costruire sviluppo.
Forse si attendono che, dopo aver vinto, potranno fare davvero
quello che “serve al Paese”; ma è una pia (forse proprio non tanto pia)
illusione, perché le elezioni sono diventate un riferimento che non si può
abbando-nare mai. E la chiusura autoreferenziale della battaglia elettorale non
può che diventare sempre più assorbente, perché il sistema dei partiti non può che
diventare sempre più complesso.
La strategia della semplificazione, ispirata
all’ideale prometeico dell’uomo solo al comando, serve solo a fare emergere una nuova complessità
politica in altra forma. In questa trappola autoreferenziale l’uomo davvero scom-pare:
chiunque si inserisca nell’autopoiesi delle elezioni, non può più abbandonarla.
Detto diversamente: è inutile cambiare i giocatori se non si cambia gioco.
Anche l’intervento di nuovi attori non cambia
le cose. Luhmann descrive bene questa dinamica parlando degli ecologisti tedeschi, coloro
che hanno costituito in Germania un movimento che è nato per bloccare il
proliferare del nucleare, ma non riuscendo nell’intento. L’unico risultato che
hanno ot-tenuto è che il movimento è diventato un influente partito politico
che ha reso più complessa l’autopoiesi del sistema politico; insomma, si sono
trovati un posto al sole pur lasciando le cose come prima.
La crisi della scienza. Il problema di fondo
della scienza è lo specialismo che chiude gli scienziati in loro specifici
circuiti autopoietici che non sono altro, ancora una volta, che
danze della pioggia che finiscono per produrre nonsense.
Eclatante è l’esempio della fisica. Ai nostri giorni la visione
che la fisica ci propone del mondo è costituita dalla “somma” di due teorie: il
modello standard delle particelle elementari (che si fonda sulla teoria
quantistica dei campi) e la relatività generale. La prima manifestazione dei guai
dello specialismo è che queste due teorie sembrano irriducibili l’una all’altra,
frutto del fatto che esse vengono sviluppate in circuiti autopoietici loro
propri. Ma più eclatante è la seconda: la fisica attuale si è accorta che sa
spiegare solo il 4% della materia-energia (che per un fisico sono la stessa
cosa) esistente nell’Universo.
La crisi della filosofia. Non
va certo meglio nell’ambito delle discipline umanistiche come ad esempio la
filosofia. Da tempo si assiste al fenomeno della ideologizzazione del pensiero
che genera inevitabilmente conflitto. Emblematico
quello che si sta sviluppando, qualche volta anche con attacchi
personali, tra sostenitori del realismo e del pensiero postmoderno.
Il paradosso complessivo della società
industriale. La teoria di
Luhmann spiega quale sia il paradosso complessivo della società industriale. Essa è finalizzata a migliorare la
qualità del vivere dell’uomo e, in questo senso, ha ottenuto certamente successi rilevanti e indiscutibili, ma ora è
arrivata al capolinea.
La società industriale funziona solo se si
ipotizza che la natura sia infinita e inerte: una fonte di materie prime senza
fine, tanto che il sottrarre materie prime non la cambia, come accade all’infinito
matematico al quale si può togliere qualunque numero finito senza che cambi di
una virgola, e poi un deposito di rifiuti di
capacità infinita. Ma la natura non è né infinita né inerte. E ci sta facendo
pagare un conto salatissimo per averla considerata tale.
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