di
Francesco Zanotti
Ricordate la vecchia (la prima) 500? Non era un prodotto “utile” ad un buon prezzo: era un ologramma, una promessa di una nuova società. Acquistarla significava mettere un piede dentro questa nuova società che tutti desideravano e riuscivano a intravedere, a percepire emotivamente proprio grazie a questo tipo di prodotti. L’acquisto diventava momento di promozione esistenziale e sociale sostanziale.
Guardate alla attuale 500: un prodotto barocco. Bello esteticamente, ma racconta solo della degenerazione barocca della società che l’altra 500 aveva contribuito sostanzialmente a fare sognare e a costruire.
Il senso della crisi che stiamo vivendo è quello di un Rinascimento che è diventato barocco. “E’ del poeta il fin la meraviglia” scriveva, come tutti sanno, il Marino. La nuova 500 suscita (forse) meraviglia, ma non passione per il futuro.
Non voglio riecheggiare le critiche di Benedetto Croce al barocco. Voglio dire, sistemicamente, che l’emergere di un barocco è il segno che un Rinascimento non è riuscito a diventare altro da sé.
Oggi viviamo in una società che è stata splendida (un Rinascimento), ma che deve diventare urgentemente altro da sé. L’attuale sistema economico non è più in grado di servire la vita degli uomini e rischia di distruggere Natura ed Uomo. L’urgenza è così rilevante che non ci possiamo neppure permettere una deriva barocca della società industriale. Il cercare di farla più bella, rischia di nascondere con il belletto il suo essere diventata distruttiva.
Le imprese devono ridiventare i profeti e i costruttori di questa nuova società.
Ma non sta succedendo. Anzi ci siamo dimenticati che è successo. Il lettore provi a riflettere sulle strategie che stiamo immaginando, anche se non riusciamo a realizzare.
Vogliamo che le imprese diventino più competitive. E con questo non arriviamo neanche al barocco. Non immaginiamo neanche che le imprese attuali possano generare, se non un altro Rinascimento, almeno un barocco leccese, anche se come ho detto, non ce lo potremmo permettere.
Ci accontentiamo che funzionino meglio. Anche quando usiamo della parola “innovazione”, stiamo immaginando una innovazione che faccia aumentare le prestazioni del sistema industriale ed economico della società industriale. Come a dire: l’innovazione finalizzata alla conservazione.
Come possono le imprese diventare profeti e costruttori di una nuova società?
Immaginando prodotti e servizi (anche servizi) che abbiano lo stesso impatto emozionale e sociale che ha avuto la vecchia 500.
Immaginando prodotti e servizi (anche servizi) che abbiano lo stesso impatto emozionale e sociale che ha avuto la vecchia 500.
Devono riavviare processi di progettazione strategica, esplicita, sociale, intensa e non burocratica (come appare dai Progetti Strategici che pubblicano) della loro identità profonda che arrivi a esplicitare di che nuova società intendono essere ologrammi, profezie.
Questo “dovere” è soprattutto in capo alle imprese che oggi meno credono alla possibilità di una innovazione profonda come banche ed utilities.
Il futuro lo si leggerà dai Progetti Strategici delle grandi imprese. Oggi da quegli stessi progetti Strategici si legge solo voglia di conservazione.
Rischiamo di fare la fine di quelli che non sanno costruire (neanche, aggiungo io) meraviglia. “Chi non sa (neanche, aggiungo io) far stupir, vada alla striglia”, conclude il Marino.
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