di
Francesco Zanotti
Il rifiuto del presente e la voglia di un nuovo futuro
(mi si lasci dire eticamente giusto ed esteticamente emozionante) sono
condizioni mobilitanti. Ma non bastano. Sono risorse che, lasciate sole,
rischiano di trasformarsi in rabbia o delusione. Devono essere “sostenute” da
una nuova conoscenza. Infatti …
Noi siamo gli occhiali (le griglie) con cui guardiamo al
mondo fuori di noi. Gli occhiali che selezionano le cose che possiamo vedere e
quelle che ci rimarranno nascoste. Gli occhiali che ci forniscono i criteri per
giudicare cosa è possibile ed impossibile.
Noi siamo i linguaggi che sappiamo usare.
Noi siamo le storie (i progetti) cha sappiamo raccontare.
I nostri occhiali, i nostri linguaggi e le nostre storie
guidano le nostre strategie e comportamenti verso gli altri e verso la Natura.
Non illudiamoci, però, che i nostri occhiali siano
completamente trasparenti: guardiamo gli altri e la Natura con i nostri
“colori” specifici.
Non illudiamoci che i linguaggi che conosciamo ci
permettano di dire tutto: quando scegliamo un linguaggio selezioniamo quello
che potenzialmente possiamo dire.
Non illudiamoci che le storie che abbiamo scritto siano le
uniche possibili: esse hanno il colore dei nostri occhiali e sono scritte con i
linguaggi che possediamo.
Il patrimonio di occhiali, linguaggi e storie che ognuno di
noi possiede evolve, come ogni sistema “complesso”, e le “leggi
dell’evoluzione” sono abbastanza semplici: se non lo arricchiamo continuamente,
il suo uso continuo diventa ossessivo e tende a sclerotizzarlo. Piano piano, siamo portati a considerare i nostri occhiali, i nostri linguaggi e le nostre
storie come gli unici, le uniche “vere”, “belle” e “possibili”.
Da ultimo: siamo noi umani che costruiamo il nostro
futuro economico, sociale, politico, istituzionale e culturale. E costruiamo il
futuro partendo dal mondo che riusciamo a vedere, scrivendo storie che sappiano
scrivere con i linguaggi che conosciamo.
Allora la conclusione è molto semplice. Oggi guardiamo il
mondo con gli occhiali della crisi e raccontiamo storie di crisi.
Partendo da essi, scopriamo quali sono i fondamenti
della società industriale: la visione del mondo di Galileo. E diventa evidente
che per riuscire a costruire una nuova società è necessario partire da una
nuova visione del mondo. Essa sta emergendo come sintesi di tutte queste nuove
conoscenze. E credo si possa definire una visione del mondo “quantistica”.
Usando queste nuove conoscenze e la visione del mondo che
le sintetizza, vedremo cieli nuovi e sapremo costruire una nuova terra.
Abbiamo immaginato un Progetto per raccogliere, rendere
socialmente disponibili la nuova conoscenza che vive intorno a noi e che non
usiamo. E per iniziare un grande processo di progettazione sociale di una nuova
conoscenza. Lo abbiamo definito Expo della Conoscenza. Abbiamo costituito una
associazione per realizzarlo. Il suo manifesto è scaricabile al seguente
indirizzo:
E’ un Progetto che è di realizzabilità immediata, capace
di costruire immediatamente sviluppo. Abbiamo iniziato un “Roadshow” per
presentarlo in sede istituzionale (Camera dei Deputati, Senato della
Repubblica) e presso attori economici e sociali. Chi ci sta a darci una mano?
Mi par di capire che alla base si pone un problema di conoscenza, che posso dire di condividere. A mio avviso le sue origini affondano in quel modo particolare di intendere il rapporto col mondo inaugurato con l'astrazione di tipo logico-matematico tipica delle scienze. E mi riferisco a tutte le forme di conoscenza che (lo dico semplificando) attingono dal reale alcuni dati, costruiscono con essi un modello logicamente coerente e si applicano ad indagarne le strutture e i rapporti di ogni parte. Tale modello, una volta confermato e verificato che "funziona", viene assunto come spiegazione e strumento di elaborazione/trasformazione della realtà d'origine, la quale paradossalmente viene "modellata" secondo le possibilità, le strutture e le configurazioni consentite dal modello.
RispondiEliminaIn questo operare proprio delle forme tecno-scientifiche, non solo si attua una riduzione (ed un progressivo impoverimento?!) della realtà d'origine (la natura e la complessità del mondo), ma c'é anche un'azione filtrante/selettiva all'inizio di ogni conoscenza, per cui il dato reale viene osservato e restituito attraverso le "lenti" dell'astrazione logica propria di ogni particolare scienza: il resto viene espulso, come se non esistesse. Ancora di più: c'é anche un effetto frantumante dell'unità complessa del reale, e di isolamento settorializzante che, rifluendo con enorme vigore da tali spazi astratti delle conoscenze scientifiche, sugli spazi di vita reale delle nostre città e nei territori, crea grovigli intricatissimi e lascia il segno di un immenso, enorme disordine: lo stesso disordine e disorientamento profondo, esistenziale, che oggi c'é nell'animo di ogni uomo che pensa e si interroga, purtroppo lasciato culturalmente solo a fronteggiarlo.
Sia chiaro che non ho nulla contro le scienze, e ritengo che siano una preziosa e grandiosa conquista dell'umanità, ma é la nostra cultura che deve ancora digerire il loro portato reale e sospingerle a misurarsi con tale portato: non lasciarsi impropriamente ed acriticamente condurre da esse, perché non sanno e non possono farlo, non son nate per questo compito.