di
Francesco Zanotti
Il copione è sempre lo stesso. In ogni regime dittatoriale, prima o poi, si genera un moto di protesta popolare che viene scatenato da un evento apparentemente banale che porta alla caduta, quasi sempre violenta, dello stesso regime. Se leggete l’ANSA di stamattina, scoprirete che la rivolta in Tunisia è stata scatenata da un giovane venditore ambulante che si è dato fuoco. Come scoprirete che un piccolo gesto, come quello di una donna che ha sfidato il divieto di guidare l’automobile da sola, rischia di coagulare una valanga che, forse, inizierà venerdì, quando le donne saudite, mussulmane e non, si metteranno al volante per trasgredire il divieto di guida e posteranno i loro video su youtube.
La dittatura, insomma, coagula inevitabilmente la protesta. Ci si mette insieme facilmente contro un nemico. E i social network sono grandi facilitatori dei processi di catalizzazione della protesta.
Ma poi, quando la protesta ha vinto, che accade?
Ma non c’è problema! Arriviamo noi occidentali a dare la soluzione: la democrazia rappresentativa. Ora, a parte il fatto che la democrazia rappresentativa è solo una forma di Governo e, dopo averla scelta, occorre aggiungere ad essa una economia, una finanza, delle istituzioni, una visione del mondo, vi è il grave problema che la democrazia rappresentativa non è lo strumento adatto a progettare e realizzare una nuova società.
Non lo è, come ho proposto più volte, perché è fondata su un meccanismo competitivo. Ed un meccanismo competitivo non può generare progettualità solidale. Immaginate che Berlusconi e Bersani (per semplificare, ovviamente) decidano di mettersi insieme a progettare una nuova società. Non lo farebbero in una situazione di parità, ma in una situazione squilibrata: uno sarebbe al potere e l’altro all’opposizione. Questo squilibrio impedirebbe ogni progettualità profonda. Infatti, supponete che, insieme, scrivano davvero i grandi lineamenti di una nuova società. Poi, come si presentano alla prima scadenza elettorale? Con che faccia chi è all'opposizione potrebbe improvvisamente interrompere il dialogo progettuale ed iniziare a dire peste e corna di colui che governa e con il quale, fino a poco prima della scadenza elettorale, stava collaborando? Che giudizio potrebbe dare del lavoro progettuale svolto? Se desse un giudizio positivo, non avrebbe ragioni per chiedere al popolo sovrano di sostituire chi è in maggioranza. Dovrebbe darne un giudizio negativo che non saprebbe come fondare.
Specularmente, chi è al potere come potrebbe dire peste e corna di una opposizione con la quale ha appena finito di collaborare? Come potrebbe riconoscere i risultati di una progettualità comune e nel contempo attaccare, cercare di combattere chi ha dato un contributo essenziale nel formulare questi risultati? E’ inutile: progettualità politica e competizione elettorale non vanno d’accordo.
Ed allora? Noi occidentali, dobbiamo piantarla di dare lezioni di democrazia a destra e a manca. Non abbiamo lezioni da dare, non sappiamo quale potrebbe essere un metodo per costruire una democrazia sostanziale e progettuale.
Dobbiamo, allora, proporre a questi popoli nascenti una riflessione comune su come strutturare una democrazia sostanziale e progettuale.
Magari la proposta di Sorgente Aperta di noi balbettanti poietici può diventare utile …
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