lunedì 26 ottobre 2009

Lettera Aperta a Giuseppe Morandini

Egregio Sig. Morandini,
ho appena terminato di leggere il suo appassionato intervento sullo speciale “Piccole imprese” del Sole 24 ore di Sabato 24 ottobre 2009.
Mi permetto un piccolo contributo. Piccolo nel senso di corto, forse un po’ più grande come contenuto. In sintesi: non disponiamo delle conoscenze e delle metodologie necessarie per uscire dalla crisi. Siamo come chirurghi che non abbiano fatto l’esame di anatomia. Ed allora è urgente procuracele, queste conoscenze e metodologie.

Mi spiego partendo da alcuni “basics” che sembrano banali, ma …
La imprese devono fornire cose che interessano e servono.
Quando forniscono cose che interessano e servono molto, prosperano molto. Quando forniscono cose che interessano e servono meno, prosperano meno.
Quando forniscono cose che interessano e servono molto sopportano tutti i disagi (fisco, energia, burocrazia). A mano a mano che producono cose che interessano e servono meno, sopportano sempre meno, fino a soccombere ad ogni stormir di fronde.

Ho proposto questa carrellata di basics perché è ragionando su di essi che si arriva ad una visione un po’ diversa da quella prevalente sulla crisi. La crisi attuale non è stata causata da finanzieri e banchieri banditi, incoscienti, pavidi. Certamente molti di loro non sono stati stinchi di santi. Anzi, si sono comportati da bambini viziati e capricciosi. Ma, anche quando li trasformassimo in finanziari e banchieri altruisti, saggi, financo coraggiosi, se continuassimo a produrre cose che interessano sempre meno e servono sempre meno, non avremmo risolto la crisi.

Sì, la crisi ha una ragione sola: il sistema industriale che ha generato la società industriale deve ristrutturarsi profondamente perché, da un lato, le esigenze, i desideri delle persone sono cambiati. Desiderano altre cose, altri oggetti, altre case, altre città. Lo stile di vita proposto dalla società industriale è stato “splendido splendente”, ma ora sta venendo in uggia: si desidera qualcosa di altro.
Da un altro lato, anche se le persone della terra non desiderassero altre cose e continuassero a delegare la loro auto realizzazione al prossimo paio di scarpe, garantendo la crescita di questo sistema industriale, ci si scontrerebbe con la ribellione della natura. Per essere praticissimi e per non fare i soliti discorsi di un ambientalismo solo interessato a combattere la libera impresa: se tutti i sei miliardi di persone desiderassero così intensamente (da remunerare adeguatamente chi le produce) lo stesso numero di paia di scarpe che possediamo io e lei, non vi sarebbero vacche sufficienti per fornire tutto il cuoio necessario. Al di là della metafora stupidotta: anche se tutti lo desiderassero (e non è così!)non vi sono le risorse per diffondere a tutto il mondo lo stile di vita occidentale.

Allora la soluzione della crisi sta in un lavoro di riprogettazione della identità delle imprese e del sistema industriale nel suo complesso. Diamo un nome a questo riprogettare. Si chiama “fare strategia”.
Ecco quelle che mancano sono le conoscenze e le metodologie per fare strategia.

Mancano: verbo troppo generico. Occorre specificare. Esiste certamente un corpo di conoscenze che servono a fare strategia. Ma, oggi, banchieri e imprenditori ne usano pochissime di quelle esistenti. Se prende in considerazione i business plans (che sono i documenti dove si scrive quale nuova identità dell’impresa si vuole costruire e che, purtroppo, descrivono solo come l’impresa stia tentando disperatamente di conservare l’identità del passato) vedrà che essi usano strumenti vecchissimi (la SWOT analysis, ad esempio) per descrivere l’attrattività del business, oppure invecchiati (il modello di Porter , ad esempio, in versione, per di più, edulcorata) per descrivere la posizione competitiva dell’impresa.

Esiste certamente un corpo di conoscenze che servono a fare strategia, ma, anche se imprenditori e banchieri le usassero tutte, invece di usarne solo un piccolo sotto insieme, non basterebbero ancora. La “scienza” della strategia è, come altri ambiti disciplinari, in profonda crisi. E non è certo solo un mio giudizio, ma è il giudizio di tanti tra i più grandi esperti internazionali. Ed è un giudizio suggerito dai fatti: la strategia d’impresa è una “scienza” giudicata inutile, perché non viene né appresa, né usata.
Attenzione non sto parlando delle conoscenze e delle competenze economiche, sulle quali pure ci sarebbe molto da ridire. Sto parlando di quelle conoscenze e competenze che servono a capire quanto la proposta di un’impresa è ancora “vitale” e come si può renderla vitale se tale non lo è più.

Allora nasce evidente una nuova urgenza che sta prima e dietro a tutte le altre: è necessario sviluppare e poi usare nuove conoscenze e competenze di strategia d’impresa.
Noi abbiamo fatto un primo passo in questa direzione e stiamo cercando con diversi strumenti ed eventi di mettere a disposizione del sistema economico italiano le nostre “scoperte”.

La presente News letter è uno di questi strumenti. Il nostro obiettivo è che, attraverso di essa, si possa non solo diffondere una nuova cultura strategica. Ma anche avviare un nuovo dibattito sulla crisi e sul modo di uscirne. Per questo stiamo inviando questa nostra News letter a tutta la Business Community italiana. E la pubblichiamo nei nostri blog: www.meconsulting.org e http://balbettantipoietici.blogspot.com/. Spero in un a sua risposta a questa mia lettera aperta. Sarà nostra cura pubblicarla nei nostri blog e farne oggetto di un numero della nostra News letter.

Un altro strumento è costituito da un Workshop che si terrà a Milano il giorno 10 novembre presso l’Hotel Michelangelo in Via Scarlatti, 33. Spero in una sua presenza.

Con stima, un cordiale saluto
Francesco Zanotti

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...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.