di
Francesco Zanotti
Sul nuovo inserto “Economia” del Corriere della Sera ho
trovato due “paginate” interessanti. Federico Fubini elenca con spietatezza gli
errori degli economisti. E riferisce di due interpretazioni illuminanti di
questa incapacità di previsioni. Lucrezia Reichlin tenta di prendere la difesa
d’ufficio degli economisti, ma poi finisce per aggiungere una critica
pesantissima.
Il problema è che manca una proposta, allora proviamo a
farla … Almeno accennarla visto che siamo su di un blog.
Se non fosse tragico,
sarebbe spassoso leggere degli errori di previsione degli economisti. Riconosciuti
dagli stessi economisti. Fubini cita uno studio della Banca Centrale Australiana
dove si sostiene che una volta su due le previsioni sono diametralmente
sbagliate. Cita anche gli Autori di Freakonimics che sostengono che gli
economisti “fanno centro” tante volte quanto degli scimpanzé che tirano
freccette. Di fonte a questa realtà mi chiedo: perché andiamo ancora a cercare
spiegazioni e previsioni economiche dagli economisti? E anche: perché ancora i
politici usano addirittura visioni caricaturali di una scienza economica che è
già in crisi per conto suo?
Veniamo alle interpretazioni.
Sono sostanzialmente due che tendono a rafforzarsi l’un l’altra. La prima è di
Andy Aldane, Capo Economista della Banca d’Inghilterra. Egli sostiene che,
sostanzialmente, gli economisti hanno invidia dei fisici e ne scimmiottano
l’epistemologia: pensano che i sistemi economici, come i sistemi fisici,
tendono ad andare verso situazioni di equilibrio che risultato sempre meno
realistiche. La causa di questa insistenza nell’errore è la grave autoreferenzialità
degli economisti che non credono nella interdisciplinarietà. Aggiunge Paul
Rommer, Capoeconomista della Banca Mondiale: “Tremenda fiducia in sé stessi,
una comunità monolitica, un senso di identificazione simile a quello verso una
fede religiosa, indifferenza e disinteresse di chi non è parte del gruppo, una
tendenza ad ignorare la possibilità che le proprie idee siano sbagliate […]“.
Lucrezia Reichlin cerca di difendere
gli economisti dichiarando che le previsioni che riguardano i fatti umani sono
difficilissime. E sostiene una strana distinzione tra descrizione e previsione
... Ma poi finisce con confermare le ragioni dei critici aggiungendone
un’altra: “[…] i modelli usati dalle Istituzioni non tenevano conto del nesso
tra rischio finanziario e attività economica, una carenza fondamentale.”
Arriviamo ora a qualche
contributo, anche se con la consapevolezza che oggi, in realtà, nessuno è alla
ricerca di contributi.
Il primo è una spiegazione, prima
matematica e poi etica, del perché una teoria dell’equilibrio non funziona.
La spiegazione matematica. Lee Smolin, uno dei fisici più autorevoli, sostiene,
discutendo dei modelli di Arrow-Debreu, che gli stati di equilibrio di un
sistema economico certamente esistono, ma sono moltissimi, come accade nella
teoria delle stringhe. Sono forse proprio tutti quelli che si desiderano. La
scelta tra l’uno e l’altro deve essere fatta con ragioni extraeconomiche. Data
la loro varietà e numerosità, non è neanche possibile fare una esplorazione
sistematica di tutti. E allora?
Allora il contributo degli
economisti che propongono la teoria dell’equilibrio è nulla proprio per le
caratteristiche matematiche della teoria che propongono. E’ necessario, quindi,
immaginare socialmente quelli che si considerano desiderabili.
Per chi volesse approfondire
il discorso, il riferimento è al paper “Time and symmetry in models of
economic markets” (25 Feb 2009) di Lee Smolin.
La spiegazione etica: il concetto stesso di equilibrio non è etico. Vi
sembra il caso di cercare di riequilibrare la società attuale? Capsico che lo
facciano le società occidentali, ma non credo con grande possibilità di
successo. Tra l’altro: quando mai la storia dell’Uomo si è sviluppata
attraverso ristrutturazione di equilibri che si andavano disgregando? Quando si
è tentato questo, si sono scatenate rivoluzioni. Purtroppo il concetto di
equilibrio è molto radicato, soprattutto nelle classi dirigenti che hanno
interesse a rimanere tali tanto da coniare veri e propri ossimori come
“sviluppo nella stabilità”.
Il secondo contributo è una applicazione della teoria dei sistemi
autopoietici alle dinamiche finanziarie: permettono una spiegazione elementare
del formarsi delle bolle che non ha nulla a che vedere con la regolamentazione.
Ecco la spiegazione. Il sistema degli scambi sui mercati finanziari genera
sistemi autopoietici che sviluppano un loro proprio concetto di valore che va
continuamente aumentando. E’ questa specifica autopoiesi che “isola” gli
operatori dei mercati finanziari dall’economia reale. Il valore che si forma
nei mercati finanziari, però, non è riconosciuto da chi opera al di fuori di
questo sistema di scambi.
Nulla accade fino a che
qualcuno non cerca di fare accettare fuori dal sistema degli scambi finanziari
il concetto di valore che in essi si è formato. Cioè di monetizzare il valore
dei titoli nella valuta con cui si scambiano i beni economici. Quando questo
accade gli operatori dei mercati finanziari si accorgono che nessuno è disposto
a comprare con moneta “economica” i titoli al valore che essi hanno nei mercati
finanziari. Una storiella è più efficace della teoria:. … Vuoi comprare il mio
cane? Sì, ma quanto costa? Ecco costa un milione di Euro. Ok te lo pago due
gatti da 500.000 Euro ciascuno. Nei bilanci lasciamo il valore del cane a un
milione di euro, ma sappiamo che possiamo solo scambiarlo con due gatti da
500.000 e non con moneta corrente.
Per un riferimento al
pensiero autopoietico “Per
comprendere Luhmann” di H-G Moeller, tradotto da Lorenzo e Luciano
Martinoli e con una mia Appendice.
Per completare quanto è
possibile dire usando la teoria dei sistemi autopoietici ci si può riferire all’ultima
fatica di Arjun Appadurai “Scommettere sulla parole”, traduzione italiana edita
da Raffaello Cortina.
Il terzo contributo è una proposta complessiva. Sarà, inevitabilmente,
un contributo schematico che proprio la lettura dei nostri blog permette di
approfondire. La finanza deve tornare a ragionare in termini di analisi
fondamentale, cioè sul valore del sottostante i titoli. Per farlo gli operatori
dei mercati finanziari e tutti i “finanzieri”, compresi i top manager delle
banche commerciali, devono usare quelle conoscenze e metodologie di strategia
d’impresa che sono loro sconosciute. Come d’altra parte sono sconosciute agli
economisti. Queste conoscenze e metodologie usano non solo la teoria dei
sistemi autopoietici, ma molte altre conoscenze che vengono dalle diverse
scienze umane a naturali.
A questo proposito mi si
permetta una battuta: ma perché gli economisti pensano solo alla fisica
classica e non alla fisica quantistica, come è suggerito tra l’altro nel paper
di Smolin?
Usando tutte queste conoscenze
il discorso si sposta dalla valutazione alla progettualità strategico-imprenditoriale
che è la vera attività da intraprendere non solo per uscire dalla crisi, ma per
costruire una nuova economia e una nuova società.
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