di
Francesco Zanotti
Il lettore non si faccia ingannare dalla prima parte. E’ un raccontino, anche dolce e, forse, malinconico, ma finisce in una accusa precisa a tutta una classe dirigente, interessata solo alle relazioni e non ai contenuti, alla conoscenza.
Poi, questa accusa diverrà un'autoaccusa: grande responsabilità va ai consulenti di direzione che, invece di essere catalizzatori di futuro, si accontentano di sopravvivere tra le pieghe del presente per poco interesse verso la conoscenza. E cercherò di finire con una proposta, perché l’andazzo del solo criticare è davvero odioso.
Ma cominciamo dalle Dolomiti …
Quel paesino dove, da trent’anni, andiamo a fare le vacanze estive era stato scelto attraverso un “processo emergente”. E’ stato un percorso di desiderio e di audacia che ci ha condotto piano piano a quel paesino.
Eravamo una compagnia di giovani che voleva una montagna avventurosa. Ci piaceva esplorare anche con fatica, anche rischiando. Ma volevamo arrivare sulle cime.
Allora abbiamo cercato, innanzitutto, di individuare la zona dove cercare le montagne più avventurose, tra quelle che ci sembrava offrissero avventure avventurose.
Non avevamo, evidentemente, internet, abitavamo in un piccolo paese di pianura, quindi non sapevamo destreggiarci tra google map, agenzie e tour operator, reali o virtuali. Lo strumento principale di cui disponevamo era una banale carta geografica. Abbiamo, quindi, scelto in base a quello che una carta geografica (anche un po’ logora) riesce a raccontare. Una carta non ha immagini, non ha profumi. E, certo, non potevamo esplorare tutte le Dolomiti, prima di decidere.
Poi, abbiamo ascoltato le storie (solo storie, perché non c’erano le macchine fotografiche digitali, né c’erano i telefonini sovrabbondanti di megapixel) di qualcuno del paese che sulle Dolomiti ci era già stato. Erano quelli che ci avevano fatto il militare come alpini. Ma le storie parlavano di piccole vicende personali e non di grandi paesaggi. Piccole storie che somigliavano troppo alle storie di campagna per esserci di aiuto.
Partendo da queste fonti di informazione, abbiamo scelto. Non ricordo più perché abbiamo scelto quel paesino e non altri.
Abbiamo scelto e ci siamo andati. Viaggio avventuroso su di una seicento troppo piccola, troppo rumorosa… troppo poco affidabile. Ovviamente si è guastata e il viaggio è durato un'interminabilità di guai. Ma, alla fine (il giorno dopo la partenza), siamo arrivati. E quel paesino e le sue montagne ci sono sembrati subito tutto un mondo: grande, quasi infinito, completo, tanto da contenere tutta la vita. Lo sguardo, in qualunque posto indagasse, sembrava trovare l’infinito di monti che hanno come confine il cielo. Abbiamo iniziato ad esplorarlo, ancora con una carta geografica, ma più di dettaglio e con le storie dei valligiani. Abbiamo scelto i percorsi e… li abbiamo percorsi.
Ogni passeggiata, però, non soddisfaceva, non esauriva. Anzi, ogni passo rivelava curiosità che il voler concludere la passeggiata lasciava senza risposta. Allora, il giorno dopo, la passeggiata era più corta: forse ci chiudeva la speranza di arrivare all’infinito dei monti. Ma permetteva di conoscere profondamente il mondo vicino. Ed era un profondità inesauribile. Anzi una profondità che il nostro cercare rendeva più profondo.
La prima vacanza ha chiuso le Dolomiti in una valle. La altre vacanze hanno, vacanza dopo vacanza, ridotto, nelle nostre menti, nei nostri desideri, quella valle ad un paese, una chiesetta, ciottoli rotolanti ed un pezzo di torrente gorgogliante.
Fuor di metafora …
Noi tutti siamo convinti che la crisi attuale non la si risolve a colpi di ristrutturazioni (le imprese) o riforme (le istituzioni), ma solo progettando una nuova società.
L’esigenza di una nuova e più intensa capacità progettuale è vivissima: è necessario progettare nuove imprese, nuovi sistemi economici nuovi sistemi sociali, nuove istituzioni, nuove visioni del mondo. Insomma: per progettare una società che superi i limiti della società industriale.
Da cosa è nutrita la capacità progettuale? Sicuramente dalla qualità delle mappe delle Dolomiti che possediamo. Noi siamo le nostre “mappe”: le nostre capacità progettuali, decisionali e gestionali dipendono dalla qualità dei linguaggi (modelli, metafore etc.) di cui disponiamo e che sappiamo usare.
In questi decenni, siamo andati via via impoverendo le nostre mappe e la nostra capacità di visione. Oggi,(ecco che arriva la denuncia) abbiamo anche dimenticato le mappe (senza colori, movimento, sapori, odori) che ci hanno portato a quel paesello. Le nostre mappe si sono ridotte alle vie di quel paesello. E, invecchiando, abbiamo scelto di percorrerle sempre meno, rimanendo al bar a giocare a tre sette.
Accidenti, sono tornato alla metafora: ora ne vengo fuori. Le conoscenze (i modelli e le metafore) che le classi dirigenti attuali non hanno e che non hanno nessuna intenzione di procurarsi sono innumerevoli. Sono tutti i modelli e le metafore che sono nati nell’ultimo secolo (ma anche prima) dalle scienze naturali ed umane. Essi potrebbero fornire nuove mappe ed una nuova capacità progettuale alle nostre classi dirigenti. Sì, a tutte le classi dirigenti, non solo a quelle che governano le aziende pubbliche.
Ma perché le classi dirigenti snobbano la conoscenza? Perché non è chiesto loro, da parte di tutti noi, di progettare il futuro, ma solo di far funzionare il presente. E’ questa nostra richiesta di basso profilo che innesca quella banale ricerca del potere che, poi, sfocia inevitabilmente in comportamenti anche illegali.
Le classi dirigenti snobbano la conoscenza, anche perché i consulenti di direzione, cioè coloro che dovrebbero rendere disponibili le nuove conoscenze, ecco, diciamo che si peritano poco di cercarle e di trovare il modo di renderle accessibili. Forse troppo impegnati a costruire relazioni con classi dirigenti che vivono solo di relazioni.
Allora, propongo di partire proprio dai consulenti di direzione. Invece di rincorrere clienti attraverso clientele, attiviamo tutti insieme un grande progetto di ricerca che abbia come obiettivo quello di raccogliere tutte le conoscenze che servono a comprendere come si sviluppano i sistemi umani (le imprese, le organizzazioni non profit, le burocrazie etc.). Costruiamo una sintesi di tutte queste conoscenze e cerchiamo una forma di governo che sia adatta a gestire lo sviluppo dei sistemi umani.
Un esempio. Per comprendere i processi di sviluppo di una organizzazione complessa, è necessaria la teoria quantistica dei campi e la teoria dei sistemi autopoietici. Per governare questo processo di sviluppo è necessario un Governare che non è un decidere, ma un fare emergere e sintetizzare.
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