lunedì 17 gennaio 2011

La FIAT: né sì, né no…Ma: diverso!

di
Francesco Zanotti

La tesi che voglio proporre all’attenzione del lettore è brutalmente semplice.
Non ha vinto nessuno. Due classi dirigenti (quella FIAT e quella Sindacale) hanno scelto di scontrarsi. Così hanno aggravato il problema e sono riusciti a nascondere a tutti quella grande opportunità che è costituita dalle nuove conoscenze disponibili per costruire una nuova impresa e nuovi mercati, per ripensare in modo radicalmente diverso dal passato alle sfide del cambiamento strategico ed organizzativo. E per impostare in modo radicalmente diverso l’annosa, dibattuta, ma mai vinta sfida della rappresentatività.

Ecco la “dimostrazione” della mia tesi. Che inizia con il raccontare una storia …

Si narra che in una grande azienda metalmeccanica vi fossero due operai che, ad ogni cambio di attrezzo di una certa macchina, si impegolavano in discussioni lunghe e difficili. Ad ogni spettatore di queste dispute la materia del contendere sembrava sempre molto flebile. Immediatamente, si intuiva che la contrapposizione di contenuto era solo uno strumento per esprimere il disagio che queste due persone provavano nel relazionarsi tra di loro.

Questa diatriba a puntate generava problemi non solo di produttività, ma anche di sicurezza e di qualità del prodotto.

In ogni giornata lavorativa di “grane”di questo tipo se ne manifestavano a bizzeffe, in ogni angolo dell’organizzazione. Solo per fare qualche altro esempio, ma davvero solo qualcuno: opinioni diverse, ma rigide ed ideologiche, che portavano a scontri continui; scorie ideologiche che generavanopregiudiziali atteggiamenti anti-impresa, desideri di auto realizzazione che si sfogavano in trasgressione delle regole, comprese quelle di sicurezza; meccanismi sociali negativi come la ricerca dal capro espiatorio, il formarsi di gruppi chiusi, difensivi.

Tutte queste “grane” erano la causa più rilevante di scarsa produttività, scarsa sicurezza, scarsa qualità. Come si dice oggi, queste grane erano l’ostacolo più rilevante all’acquisizione di competitività.

Come ha affrontato il problema questa impresa?

Ha cominciato col riflettere che una organizzazione è fatta di due parti.
Una parte formale, fatta di accordi, regole, procedure, controlli. E’ la parte più visibile, ma non è l’unica. Potrebbe essere l’unica, se si potesse ridurre tutto a procedure, cioè se si riuscire a prescrivere tutti i comportamenti delle persone. Ma questo è ovviamente impossibile.
Allora, l’organizzazione formale costituisce, in realtà, solol’ambiente in cui si sviluppa un'organizzazione spontanea che viene creata, forse non nella consapevolezza, ma nella sostanza, liberamente dalle persone. Il management decide l’organizzazione formale, le persone, inconsciamente, ma sostanzialmente, decidono autonomamente come vivere all’interno di questa organizzazione formale.
L’energia che nutre questo emergere dell’organizzazione spontanea è il bisogno di auto realizzazione delle persone.

Tutte le grane che si manifestavano ogni giorno in quell’impresa stavano ad indicare che questo emergere autonomo dell’organizzazione spontanea era molto disordinato. Era questo disordine che generava sia problemi di produttività sia di qualità sia di sicurezza. In sostanza, quell’impresa aveva capito che, se si permette che le energie delle persone si esprimano senza guida, il risultato è un’organizzazione spontanea che convoglia le energie delle persone verso il disordine organizzativo.

Come trasformare questo disordine in ordine?

La prima soluzione che viene in mente (quella che sta tentando di applicare Marchionne) è quella di aumentare la funzionalità dell’organizzazione formale, renderla più precisa, più dura. Ma si tratta di una soluzione controproducente. Infatti, visto che non si può arrivare a determinare i singoli comportamenti delle persone, “ottimizzando” (in realtà irrigidendo) l’organizzazione formale, si ottiene solo il risultato di ridurre gli spazi di libertà delle persone. Questa riduzione smorza l’energia, la voglia di auto realizzazione delle persone. Ed allora, all’interno di quegli spazi ridotti, aumenta il rischio che le energie delle persone si sfoghino in conflitti tra gli Operai, con i Capi, con l’azienda nel suo complesso. Provate a racchiudere una miscela esplosiva in un recipiente: non gli impedite di esplodere, la stimolate solo a fare più danni.

Insomma, cercando di governare tutto attraverso l’organizzazione formale, invece di migliorare la produttività, la si peggiora, peggiorando allo stesso tempo, qualità e sicurezza.

Proviamo a rileggere la vicenda FIAT alla luce delle riflessioni che sono nate all’interno di quella azienda metalmeccanica (e che non fanno altro che riconoscere la validità dei risultati delle scienze organizzative attuali). … La volontà della FIAT è certamente quella di aumentare la produttività, la qualità e la sicurezza. Ma lo fa cercando di rendere più efficiente l’organizzazione formale. Il così vantato metodo Toyota sembra valorizzare gli uomini e la loro partecipazione, ma, in realtà, cerca solo di inserire le energie delle persone in un’organizzazione formale decisa dall’alto.
La conseguenza è quella di peggiorare la funzionalità dell’organizzazione spontanea e, quindi, il “funzionamento” complessivo dell’organizzazione.

Purtroppo, il Sindacato non ha contestato la visione fondamentale dell’organizzazione che sta cercando di applicare Marchionne, gli chiede solo di non applicarla così duramente.

Giulio Sapelli riassume tutte queste considerazioni con un linguaggio diverso, ma molto efficace: "I costi di controllo in una fabbrica in rivolta, lo ripeto, sono altissimi, mentre la solidarietà organizzativa riduce molto questo tipo di problemi.”.

Detto tutto questo, nasce spontanea una domanda: se l’obiettivo è quello di aumentare produttività, sicurezza e qualità (i tre obiettivi non sono mai antagonisti) allora perché la Dirigenza FIAT e i Sindacati non si sono provocati a vicenda per esaminare i malfunzionamenti della organizzazione spontanea e cercare ad essi una soluzione?

E’ una domanda, una perplessità alla quale non abbiamo una risposta.

E molte altre domande, perplessità ed osservazioni “emergono” affrontando il caso FIAT da un punto di vista strategico: ma perché questa spasmodica esigenza di produttività e qualità?

La visione e la strategia di mercato che stanno guidando Marchionne e che egli usa per giustificare l’esigenza di un’organizzazione (formale però) più dura sono radicalmente sbagliate. Anche un po’ banale. E la banalità è proprio un bell’indizio di poca significatività.
La sua visione, infatti, è quella,banaleappunto, che si ripete oggi per ogni mercato: è aumentata la competizione, occorre diventare più competitivi, quindi occorre aumentare la produttività.

La via scelta da Marchionne per aumentare la produttività, come ho detto, è quella del“macho management” (maggiore durezza di comando e controllo) ed è, come ho cercato di dimostrare, contro producente.

Ma ora voglio illustrare come sia l’obiettivo stesso della competitività ad essere controproducente. E’ figlio di una analisi strategica “antica”. Credo che, se il Sindacato antagonista volesse davvero contrastare Marchionne non danneggiando coloro che crede di difendere, dovrebbe contestare i presupposti strategici da cui parte Marchionne.

Inizio con una domanda che nasce spontanea: ma se l’obiettivo è quello di diventare più competitivi, perché lo si vuole raggiungere copiando i metodi di produzione del maggiore Player mondiale, cioè la Toyota? Se si copia il maggiore concorrente, si è destinati ad essere un suo follower, non a competere con lui.

Ma lasciamo stare questa domanda birichina e affrontiamo direttamente il nodo della competitività.
La prima osservazione di carattere generale da fare è che ogni strategia di competitività finisce nel buco nero della battaglia di prezzo, dal quale nessuno esce vivo. Le vicende stesse di Pomigliano dimostrano questa tesi.
Tutti sanno che a Pomigliano, due o tre  anni fa, si è già tentata una rivoluzione. Si è chiuso lo stabilimento per due mesi, si sono avviate attività di ristrutturazione fisica e di formazione delle persone che sono costate più di 100 milioni. Ma sembra che i risultati non siano bastati. Oggi, è necessario un ulteriore inasprimento della qualità della vita e del lavoro che costerà 700 milioni. Sarà la “soluzione finale”, l’investimento finale? No di certo! A breve, ne servirà un altro perché i concorrenti non staranno certo fermi.

La strategia della competitività è intrinsecamente conflittuale. Parte dall’ipotesi che esiste una coperta che si sta restringendo e che il problema negoziale tra Capitale e Lavoro è quello di competere sulle calanti risorse prodotte dall’impresa.

Se la strategia della competitività è contro producente, quale altra strategia è possibile?

Per rispondere a questa domanda, cerchiamo di capire perché il mercato dell’auto sia diventato così competitivo.

Il mercato dell’auto è così competitivo perché tutti credono che il ruolo funzionale e sociale dell’automobile non possa cambiare. In sostanza tutti sembrano credere che la civiltà umana sia arrivata, per quanto riguarda il trasporto individuale, alla fine della sua evoluzione: abbiamo imparato a desiderare, costruire ed usare questo tipo di auto in questo modo e faremo così fino alla fine dei secoli. O allo spegnersi del sole. O, più verosimilmente, all’esaurirsi del petrolio.
Oggi è doveroso cominciare ad immaginare un nuovo utilizzo ed un nuovo significato del trasporto personale e dell’auto che ne è lo strumento principale. Se si abbandona la vecchia ideologia dell’auto, allora si iniziano a progettare auto completamente nuove. E la competizione è banalmente evitata: rimangano gli altri a “leticare” nel fare sempre meglio auto che hanno sempre meno significato e che, per questo, saranno vendute e pagate sempre meno.
E’ una strategia che definirei “imprenditoriale” e non "competitiva”.

Mi si può obiettare che la FIAT ha iniziato un processo di innovazione sul fare auto. Io credo, però, che si sia badato solo alla innovazione tecnologica (ad esempio, l’innovazione nei motori perché consumino meno e perché inquinino meno). E si sia tentato un’unica innovazione stilistica con la nuova 500. Ma anche questa innovazione stilistica ha prodotto soloun oggetto post-moderno che non propone una nuova visione della vita e della società come, invece, ha proposto la vecchia 500.

Detto diversamente: con la tecnologia e lo stile non si rivoluziona il mercato. Si respira qualche boccata d’aria fresca nell’atmosfera mefitica della competizione, ma non gli si sfugge, né si riesce a domarne la continua escalation che porta a dover vivere in un ambiente di business di irragionevole durezza.

Ma, come è possibile rivoluzionare il mercato? Trovare un sistema di prodotti (un sistema, non uno solo) che possa essere il simbolo di una società prossima ventura, migliore di quella attuale, come hanno fatto tutti gli imprenditori di successo?

E qui ritorna in ballo la figura dell’Operaio con una funzione assolutamente inedita.
Per progettare un’innovazione sociale e non tecnologica è necessario delegare questo compito non a tecnologi, sociologi o ricercatori di mercato, ma ad attori che, opportunamente preparati ed assistiti da tecnologi, sociologi e ricercatori di mercato, possono più facilmente legarsi al profondo della società per costruire il nuovo senso del fare auto.
Chi vive dentro la pancia profonda della società (e nel caso della FIAT delle società di mezzo mondo) sono proprio gli Operai. È ad essi che, opportunamente formati e guidati, la FIAT dovrebbe affidare processi di ascolto della società e di riprogettazione profonda di senso e funzionalità dell’auto.

Così impostato, il problema strategico non è più un problema, ma un’opportunità. Un’opportunità di iniziare a costruire oggetti più ricchi di valore delle attuali automobili. Costruiti dalle persone stesse che ne hanno ispirato la progettazione.

Se l’Operaio acquista un ruolo strategico-progettuale, allora il problema della rappresentanza si pone in un modo radicalmente diverso. Non si tratta di strappare (da parte degli Operai) potere alla Dirigenza che non lo vuole cedere. Si tratta di creare le condizioni perché gli Operai possano essere motivati a svolgere davvero il loro ruolo progettuale e strategico.
Come gli Operai, così occorre coinvolgere strategicamente e progettualmente anche gli stakeholders.
In questo modo si ottiene come “sottoprodotto” la costruzione di una vera e propria rete di supporto allo sviluppo strategico organizzativo dell’impresa. Tra gli stakeholders ne voglio citare uno importhe il futuro rapporto tra Capitale e Lavoro dovrà essere costituito da una forte alleanza di sviluppo tra Risparmiatori ed Operai.ante, ma dimenticato: i Risparmiatori che sono, insieme agli Operai, coloro che sopporteranno una probabile crisi sistemica futura della FIAT se si continua in una visione meccanicistica dell’impresa. Credo c

Ma come si fa a realizzare questo processo che somiglia ad un sogno? Ecco, servono una nuova cultura e nuovi metodi di governo (di management). Essi sono oggi disponibili, anche se praticamente sconosciuti. Derivano dalle scienze della complessità. In particolare dal quel “nucleo generatore” di una nuova scienza della complessità che è la meccanica quantistica. Attraverso le nuove scienze della complessità, quantisticamente ispirate, è possibile davvero trasformare una classe esecutiva in una classe che prima progetta e poi realizza. E la classe dirigente in una classe che è capace di guidare processi di progettazione e di costruzione sociale. Che vanno bel al di là della partecipazione strumentale dei processi di produzione World Class.

Riflettendo su tutto quello che ho scritto, credo che una conclusione sia inevitabile: un reale e sostanziale cambiamento strategico ed operativo della FIAT deve iniziare da un reale e sostanziale cambiamento della cultura delle due classi dirigenti che ora si confrontano. Non si tratta di scegliere tra un innovatore (Marchionne) e i conservatori della FIOM. Credo che dobbiamo aiutare tutte e due i contendenti a superare quella cultura vetero-industriale che li accomuna.

Forse, invece di tanti riferimenti culturali complessi, bastava riferirsi alla saggezza popolare: l’esempio trascina. Vuoi guidare un cambiamento epocale? Realizza prima tu un tuo personale cambiamento epocale.

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...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.