giovedì 5 settembre 2013

Rifkin a Milano e la domanda del Professore

di
Luciano Martinoli


Che delusione!
Si è svolto oggi a Milano, nella sede di Assolombarda, l'incontro con Jeremy Rifkin dal titolo "Innovation and Technology for a sustainable future". Da un visionario come lui mi sarei aspettato spunti e provocazioni "innovative" per immaginare futuri diverse e, successivamente, di come le attuali tecnologie possono aiutarci a realizzarne almeno uno. Nulla di tutto questo è accaduto. L'autore della "Civiltà dell'Empatia" e "Il Sogno Europeo", per citare alcuni dei suoi libri più ispirati, ha volato molto basso. Anzi, a dirla tutta, non è mai proprio decollato.
Perchè?
Il teorema iniziale di Rifkin, che ha guidato tutta la sua chiacchierata, è che le rivoluzioni industriali, secondo lui dovremmo inaugurare la terza, sono alimentate da nuove risorse energetiche. Certamente senza il vapore prima e gli idrocarburi poi non avremmo potuto fare nulla di ciò che abbiamo fatto. Ma tali energie sono state abilitanti per uno scenario di migliaia di possibili futuri e tra questi abbiamo scelto, o meglio è emerso, quello che poi abbiamo vissuto e stiamo vivendo. In breve lo scenario che Rifkin ha fatto emergere è che lo Sviluppo e il Progresso Umano siano qualcosa di già scritto, una strada già tracciata, che noi dobbiamo solo decidere con che tipo di energia percorrere. Da questo punto in poi, dunque, è stato solo uno snocciolar di cifre, testimonianze,  fatti a supporto della beltà, efficienza, economicità delle tecnologie energetiche alternative. Energie alternative che dovrebbero servire a fare la stessa cosa di sempre: produrre e consumare.

Nella seconda parte dell'evento, senza Rifkin (perchè Assolombrada, pur pagandolo, lo ha consentito?), il professor Sdogati, che moderava l'incontra e il panel successivo, ha cercato di portare il dibattito sul vero terreno di interesse che il titolo evocava, il tipo di sviluppo e progresso desiderato, con il seguente quesito: tra 30 anni dove vogliamo essere?
Domanda semplice ma non banale che riporta anche, forse inconsciamente, a considerare il vero punto di vista sul futuro: esso non va previsto ma va costruito.
Purtroppo nessuno dei partecipanti al panel ha raccolto la sfida lanciata dal professore. Forse la difficoltà è stata svelata, inconsciamente, da un partecipante del panel che ha richiamato l'importanza di alcune tecnologie per perseguire "l'unico modo per la crescita e sviluppo industriale".

Ecco, fin quando avremo in testa solo l'aggettivo "industriale" con tutto quel che significa, è come se fossimo in un buco considerando l'unica realtà possibile ciò che vediamo intorno a noi, incapaci di immaginare un progresso umano diverso da quello perseguito per carenze di conoscenza diversa da quella che ha generato il progresso di cui abbiamo finora goduto.
E allora prima ancora di parlare di energie e tecnologie varie, pur tenendone in debito conto ma come potenzialità abilitatrici di migliaia di sviluppi possibili, la domanda più opportuna da farsi, prima di quella del professor Sdogati, è: di quali conoscenze abbiamo bisogno per poter immaginare e progettare dove vogliamo essere tra 30 anni?
Da questo blog l'abbiamo indicata ormai da qualche anno: l'Expo della Conoscenza.
E penso che nel contesto di quanto emerso da questo evento risultino chiare tutta la sua drammatica urgenza e tangibilissima concretezza.

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...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.