giovedì 17 giugno 2010

Ma quale comunicazione scientifica?


Introduzione

Francesco Zanotti
Ieri (15 giugno 2010) sul Corriere della Sera è uscito un articolo a firma di Armando Torno che mi ha fatto riflettere sul tema della comunicazione scientifica.
E’ un articolo che annuncia un risultato matematico giudicato di grande rilievo. Ma la comunicazione è sensazionalistica e, anche molto imprecisa. Non è un servizio alla collettività insomma.
Un solo esempio: il titolo rivela che “ … hanno trovato una soluzione alla equazione di Boltzmann”.


Nel testo si legge “hanno dimostrato la correttezza dell’equazione di Boltzmann”. Trovare la soluzione di una equazione o dimostrarne la correttezza (fenomenologica, suppongo) non è esattamente la stessa cosa.
 No, non un solo esempio, anche qualcosa d’altro. Ma cosa è stato scoperto in fin dei conti? ..Leggendo qua e là su internet (grazie al contributo del Prof Minati di cui sto introducendo un intervento) mi sono fatto l'idea che, in effetti, Gressman e Strain hanno trovato una soluzione all'equazione di Boltzmann riportata nell'articolo stesso http://www.sciencedaily.com/releases/2010/05/100513162755.htm. E questa soluzione (nei limiti nei quali è valida l’equazione) dice che, nella diffusione dei gas, non vi saranno comportamenti di tipo “catastrofico”, cioè tale da cambiare, a fronte di piccoli disturbi, l’andamento del processo di diffusione dei gas che l’equazione descrive. E mi sono fatto anche una idea delle tecniche matematiche usate. Si tratta di ragionare su spazi che hanno dimensioni frazionarie.
Ma l’articolo non cita questi risultati. Ne immagina solo alcune conseguenze che si attende affascinino il lettore. L’articolo si conclude cercando di far capire l’importanza della matematica, ma non si esce dal paradigma “è utile”.
Io credo che questo tipo di comunicazione scientifica non serva a nessuno. A me dà anche la sensazione della presa in giro. Quasi la comunicazione di un mago che, iniziato alle segrete cose, si degna, ogni tanto, di parlarci. Ma lo fa partendo dall’ipotesi (e dichiarandola tra le righe) che siamo tutti ignoranti e che mai diverremo colti come lui. Quasi temesse che gli andiamo a levare la “cadrega” che la forza del mistero gli garantisce.
Io non credo a questo tipo di comunicazione scientifica, ma forse sono troppo azzardato, polemico. Ma il tema è importante. Allora, ho chiesto al Prof. Gianfranco Minati, Presidente dell’AIRS (Associazione Italiana per la Ricerca sui Sistemi) di aiutarci a capire.
Ecco il suo contributo.

Dalla divulgazione alla traduzione

Gianfranco Minati
Solitamente, la divulgazione è considerata come un processo di esplicazione facilitata della conoscenza per chi è ritenuto non  essere in grado di accedere a quella originale.
Il ricevente è così considerato in modo generico come non in grado di accedere alla conoscenza originale.
Il processo di esplicazione facilitata, solitamente, avviene combinando uso di a) linguaggio semplificato usante analogie come corrispondenza o proporzionalità parziale  (es. cresce come un fiore) e metafore con cui si usano espressioni linguistiche di un contesto per rappresentarne un altro (es. flusso del tempo); b) minimi riferimenti tecnici e scientifici senza contesto aventi la finalità di dare importanza al testo, con un minimo di legittimante non-comprensibilità;  c) riferimenti storici o a libri che il lettore generico non conosce certamente e che mai leggerà; d) induzione di rappresentazioni gratificanti nel lettore che diano l’idea di un minimo di comprensione tuttavia con l’aggiunta di un senso di incompletezza a cui si deve rassegnare riconoscendo così la statura del divulgatore.
Si tratta di convertire immagini dal colore a bianco e nero, riducendo il numero dei pixel senza o con pochi interventi sul significato.
Tale divulgazione è spesso attuata da chi si assume un tal ruolo professionale per cui deve vendere comprensione parziale e rassegnata. Solitamente nessuno valuta e controlla tale divulgazione che può permettersi così per definizione ogni livello di imprecisione come la pubblicità che millanta percentuali di soddisfacimento e dimostrazioni scientifiche di efficacia. Si rivelano veleni capaci di togliere vita ad ogni tentativo di pensare declinando cultura e scienza. Con effetti devastanti sul modo di pensare dei giovani.
Le rare volte che chi possiede la conoscenza completa si impegna nel renderla fruibile, accessibile, rappresentarla concettualmente solitamente procede usando non un linguaggio generico, falsamente democratico, ma quello che ritiene più condiviso dal pubblico a cui si rivolge. Si abbonda in ridondanze disciplinari non-equivalenti, rappresentazioni multiple, reti di significati la cui simultaneità ha lo scopo di generare astrazioni adeguate e proporre reti concettuali che considerano concetti e processi considerati già capiti. Si tratta concettualmente di tradurre. Si deve fare un modello non vuoto del lettore ricevente.
Si tratta, poi, di attivare processi di traduzione,  rappresentando e raccontando significati non solo in modo testuale, ma con una multimedialità culturale, usando, ad esempio, il teatro, filmati e videogames. Si tratta di attivare una didattica implicita anche non richiesta, ma semplicemente piacevole e fruibile.
Oggi poi, citare solo lavori di riviste scientifiche irraggiungibili dal lettore (e spesso ignoti al 
divulgatore-millantatore stesso) non è certo validante, ma mistificante se non si aggiungono riferimenti precisi anche a diversi livelli di fruibilità come links in Internet. La divulgazione-traduzione deve essere una porta per il lettore aperta ai livelli di approfondimento che sceglierà.

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...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.