di
Francesco Zanotti
Da cinque anni stiamo raccontando un’altra storia della
crisi e stiamo costruendo proposte per superarla. Speriamo di riuscire a
convincere prima di diventare eroi. Perché, allora, sarà troppo tardi.
La storia che raccontiamo è
molto semplice: il modello della società industriale sta perdendo di senso. E
nessun altro modello sta prendendo il suo posto.
Vediamo cosa permette di
spiegare questa storia.
Cominciano dal disagio profondo dei giovani che Dario
di Vico descrive oggi sul Corriere (chissà se vorrà farci la cortesia di un suo
commento, così da aprire un dibattito). E’ ovvio che ci sia: i giovani hanno
bisogno di un modello di società di riferimento. Da soli non riescono, però, a
svilupparlo perché non dispongono delle risorse cognitive di rifermento. Ed allora
cercano di sopravvivere negli interstizi della società esistente. Fino
all’autolesionismo sociale di cui parla De Vico.
La stessa cosa sta accadendo alle imprese: producono delle cose che interessano sempre meno, ma da
quelle non riescono a staccarsi ed allora cercano interstizi competiti di
sopravvivenza che diventano sempre più angusti. Tornando all’articolo di De
Vico, il problema non è come sarà il lavoro futuro. Il problema è cosa dovranno
produrre le imprese del futuro. Poi discuteremo di come produrlo: dall’industry
4.0, alle modalità di lavoro.
La stessa cosa sta accadendo alle banche. E’ ovvio che il ruolo di intermediazione sta perdendo
di senso. Ma purtroppo le banche sono solo quello sanno e vogliono fare. Ma così si
riducono a chiedere soldi e buttar fuori persone e imprese che, a causa di
quello che abbiamo detto sopra, diventano “sofferenze” che vengono date in
pasto a puri e semplici esecutori testamentari: escutono le garanzie. A
dimostrazione di questo disinteresse per un nuovo futuro, tutti parlano di nuovo
modello di business per le banche, ma nessuno ne descrive uno.
La stessa cosa sta accadendo alle utilities e alle
infrastrutture. Pensiamo ancora
all’ampliamento delle infrastrutture tipiche della società industriale. Ma essa
sta perdendo di senso funzionale ed esistenziale. Il sociale si accorge della
crescente incongruenza di costruire infrastrutture per una economia che sta
perdendo di senso e a questo modo di procedere si oppone. Non si pensi solo alla
TAV, ma anche alla sorte dei progetti delle società di infrastrutture
La stessa cosa sta accadendo alla politica, ma credo che questo sia auto evidente.
La stessa cosa sta accadendo alla scienza che si sta perdendo in una visione specialistica
esasperata, ispirata ed un riduzionismo altrettanto esasperato, che produce
mostri cognitivi come l’LHC o il progetto genoma.
Non ho trattato il tema delle
riforme. Non l’ho fatto perché esso viene discusso con una leggerezza
sociologica sconvolgente. Basterebbe leggere Luhmann per capire che le strutture fondamentali dello Stato sono solo
ambiente per l’agire economico e sociale. Non hanno un rapporto casuale con questo.
Detto diversamente, non si riesce a calcolare che impatto avrà un cambiamento
strutturale dello Stato sulle riflessioni e i comportamenti degli attori
economici e sociali.
La proposta. In forma molto stringata: dobbiamo far emergere
l’intelaiatura di una nuova società. E lo possiamo fare solo cambiando la
struttura cognitiva di fondo della società industriale: il modo di guardare al
mondo tipico della fisica classica. E, poi, avviando una diffusa nuova stagione
di progettualità. I dettagli di questa proposta li abbiamo definiti: Expo della
Conoscenza.
E che c’entra il non voler essere eroi?
C’entra perché il processo
tipico di accettazione di innovazione profonda della società industriale passa
attraverso tre stadi: “Prima vi derideranno, poi vi combatteranno, poi
diverrete eroi”.
A parte la nostra idiosincrasia
personale al diventare eroi, seguendo questo processo si arriverebbe troppo
tardi ad avviare un processo di riprogettazione di una nuova società. Si
spegnerebbe prima quella attuale.
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