Agli inizi dell’anno del Signore 2010, dell’anno 5770 del calendario ebraico, dell’anno 1431 del calendario mussulmano, dell’anno 2554 del calendario buddhista, dell’anno 4706 del calendario cinese… tutto il mondo, appiattendo tutte quelle differenti ricchezze che producono calendari così diversi, ripete ossessivamente una sola “ideologia”.
“Una crisi è esplosa nel mondo della finanza ed è stata causata da disfunzioni (malfunzionamenti) dei mercati finanziari, aggravati da comportamenti discutibili di troppi finanzieri. Questa crisi, se non si interviene tempestivamente, rischia di risuonare in tutta la società con echi devastanti. Intervenire significa eliminare i malfunzionamenti dei mercati finanziari e iniettare nel mondo della finanza una buona dose di etica. Se si fa tutto questo, si riuscirà a continuare il cammino di sviluppo interrotto.”
Si ripete ossessivamente questa ideologia attraverso tutti i media, ma a me sembra una cantilena retorica e stonata.
Io credo che la crisi finanziaria sia stata solo un classico “piovere sul bagnato”. Ma poiché è stato uno scrosciare intenso ed improvviso, ci siamo dimenticati che stavamo già ben bene impantanati …
Infatti, non una, ma mille altre crisi, stanno affliggendo da tempo l’uomo (tutti gli uomini della terra senza distinzione di sesso, età, religione, origine e quant’altro) e la natura.
Siamo immersi in una ecologia di tante crisi che si sovrappongono, intrecciano, si aggravano reciprocamente. Esse generano un disagio (materiale ed esistenziale) profondo e crescente sia nell’uomo che nella natura.
Il disagio profondo c’era prima della crisi finanziaria. Essa l’ha certamente aggravato. Oggi, quando la crisi finanziaria sembra attenuarsi, questo disagio si guarda bene dallo scomparire, ma continua a crescere, giorno dopo giorno.
Intorno a questa ecologia di crisi si sta sviluppando un confuso caos di storie piccole piccole: analisi di “pezzi” sempre più piccoli di società e altrettanto piccole proposte per sistemare i guai che funestano ognuno di quei piccoli pezzi. Ma sono analisi e proposte localmente conflittuali e complessivamente scoordinate.
La “somma” di una ecologia di tante crisi e del caos di storie piccole piccole genererà una ecologia di piccole rivoluzioni che non genererà, catarticamente, una nuova società, ma rischierà di spegnere la nostra storia.
Da dove vengono l’ecologia di crisi e il caos di storie piccole piccole?
Essi sono causati dall’ “invecchiamento” del modello sociale attuale: la società industriale. Un invecchiamento sempre più evidente, che le fa perdere viepiù di funzionalità.
Se un modello di società non funziona più, allora, è necessario sostituirlo con un altro. Ma, purtroppo, oggi non riusciamo a percepire questo invecchiamento complessivo e, conseguentemente, l’unica cosa che ci viene in mente di fare è quella di mettere delle pezze al modello attuale di società. Tutti sanno cosa accade quando si usa la strategia del rammendo continuo: si rimanda e si rende più drammatica la sostituzione dell’oggetto che si rattoppa.
Così, per dare subito una sensazione di concretezza, quali sono le due “toppe” che cerchiamo di mettere, ostinatamente, al nostro modello sociale attuale? Le due più rinomate ed osannate, ma arlecchineggianti, vere e proprie cure estetiche ad un malato terminale, sono le riforme istituzionali, e la ricerca della competitività.
Ma perché siamo così affezionati al nostro attuale modello di società, tanto da ridurci ad un rammendare disperato e disperante?
La mia risposta è: tutta “colpa” di Galileo!
Infatti, la società industriale è l’incarnazione concreta e tangibile di una visione della scienza e del conoscere che è nata nel Rinascimento e che Galileo ha sintetizzato nella famosa espressione “sensate esperienze e certe dimostrazioni”. Noi tutti abitanti della società industriale condividiamo questa visione della scienza e del conoscere.
Guardando il mondo attraverso questi occhiali abbiamo immaginato e costruito quella società industriale che è stata strepitosa, ma che oggi sta mostrando la corda.
Ora, accade che questa visione della scienza e del conoscere sia, sostanzialmente, ideologica. Cioè ci convince che gli occhiali che ci fornisce sono gli unici possibili. E, così, quando guardiamo alla ecologia di tante crisi che ci sta travolgendo, non riusciamo a pensare ad altro che ad aggiustare una società che non “funziona” più, ma che ci sembra l’unica possibile.
Ed accade anche che questa visione della scienza e del conoscere proponga il valore della specializzazione. Un valore che ci sembra ovviamente assoluto. Una intellighenzia fatta di specialisti ideologici non potrà che produrre un caos di storie piccole piccole e dissonanti.
La mia proposta: una nuova scienza per una nuova società
Se un paio di occhiali si sta oscurando, fino a farci andare a sbattere contro il muro della conservazione, allora è necessario cambiarli.
E’ necessario sostituire la vecchia visione di Galileo delle sensate esperienze e certe dimostrazioni con una nuova visione della scienza e del conoscere.
Quando le persone indosseranno occhiali nuovi, cominceranno a vedere nuovi cieli e crescerà in loro il desiderio di una nuova terra. Nascerà una nuova intensa e diffusa imprenditorialità di popolo, che costruirà una nuova società.
Ma esiste questa nuova visione della scienza e del conoscere?
Sì! Essa sta emergendo piano piano in tutte le scienze della natura, risuona in tutte le scienze umane, vive da sempre nell’arte e nelle religioni.
Conclusione: ma, allora, tutto questo significa che alla radice di tutti i nostri guai vi è un problema epistemologico, risolto il quale potremo ricominciare a costruire magnifiche sorti e progressive? Ecco, può sembrare incredibile, ma è proprio così!
Allora diamoci da fare per risolverlo. La via per riuscirci è quella di incamminarci verso un Expo della conoscenza.
secondo me la crisi è originata dalla denatalità del mondo ricco occidentale che ha perso, non nata, abortita, differita, minimizzata, un intera generazione di consumatori cui erano desinati i beni prodotti dalla struttura industriale in atto che così risulta sovrabbondante, mentre la gente che l'ha sostituita di recente immigrazione e povera non compra quei beni ma ne ha bisogno di altri che non ci sono
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