domenica 14 marzo 2010

Sorgente Aperta: sette principi per un nuovo metodo di Governo


Sorgente Aperta è una nuova metodologia di governo dello sviluppo dei sistemi umani. Dallo sviluppo di piccoli gruppi sociali, imprese, istituzioni. Allo sviluppo dei grandi processi di dialogo tra Stati, Nazioni e Popoli. Fino allo sviluppo di una nuova alleanza tra gli uomini e la Natura.
E’ radicalmente diversa, scientificamente più fondata, umanamente più “empatica” (si veda l’ultimo libro di Rifkin) delle strategie di dialogo a livello internazionale che oggi vengono considerate profezie così lungimiranti da essere ritenute utopiche (si veda la presentazione di Gianni Riotta sul supplemento domenicale del Sole di domenica 14 Marzo 2010).
E’ radicalmente diversa, scientificamente più fondata, umanamente più empatica delle metodologie di governo nazionale e locale tipiche della società industriale.
E’ radicalmente diversa, scientificamente più fondata, umanamente più empatica delle metodologie di progettazione strategica di tipo direttivo dalle quali ci attendiamo il cambiamento profondo di identità delle imprese (manifatturiere e di servizi) attuali, lo sviluppo di nuove imprese il riemergere di quella imprenditorialità di popolo che hanno generato lo sviluppo dei nostri territori .
E’ radicalmente diversa, scientificamente più fondata, umanamente più empatica delle metodologie di gestione del cambiamento che guidano i grandi processi di ristrutturazione delle imprese e dei settori industriali.
Di Sorgente Aperta descriverò i principi fondamentali. Perché si veda che essa non è
un banale meccanismo di ascolto. Perché non la si svilisca ad un modo linguisticamente diverso di parlare di partecipazione. Sorgente Aperta è un nuovo processo politico che non richiede ulteriore comunicazione. Che produce direttamente azione.
Sorgente Aperta in sette punti, dunque.
1
La vastità e la profondità dello sguardo:
il giardino di casa o una nuova società?
Ogni movimento, ogni impresa quando agisce, pensa e racconta, definisce i confini della sua speranza, consapevolmente o inconsapevolmente che sia. La vastità e la dimensione di questa speranza determineranno la vastità e la dimensione del suo destino. Se la speranza finisce dove finisce il giardino di casa, allora il movimento è destinato a difendere i confini di questo giardino.
Se lo sguardo cerca di estendersi in tutte le dimensioni dell’umano, allora raccoglierà come compagni di viaggio tutti gli uomini. E disegnerà il giardino di tutti.  
Diventerà, insomma, il luogo dell’esodo verso una nuova società.
Oggi la vastità e la profondità dello sguardo non è più solo una opzione. E’ una necessità.
Voglio dire che oggi è fuorviante (cioè molto peggio di egoistico) pensare solo al giardino di casa. O ad una qualità della vira “minuta” e borghese. Oggi grandi problemi bussano alla porta del destino della (di tutte) nostra città, del nostro paese, del nostro pianeta. E trasformano, trascendono i problemi quotidiani.
Proviamo ad elencarne alcuni.
Prendiamo in considerazione il problema dello sviluppo economico. E’ evidente che oggi la produzione di ricchezza (non dico profitto, dico ricchezza, una ricchezza che può essere distribuita a tutti) sta calando. Non è il caso di dettagliare questo calare perché è … nelle tasche di tutti. E’ vero che esistono ancora nicchie di benessere. Ma queste nicchie non saranno preservate a lungo da questo tipo di economia.
Questo progressivo calo di produzione di ricchezza avviene proprio oggi, quando sarebbe necessario che aumentasse. Perché si affacciano ai nostri confini mille popoli che ci stanno chiedendo conto del nostro egoismo, perché la demografia cambia.
Oggi, per le classi privilegiate, questi problemi sono ancora teorici. Ma .. solo in teoria. Anche le classi privilegiate stanno cominciando a declinare nel personale la crisi economica: i managers che vengono espulsi e che non riusciranno a rientrare. I professionisti “istituzionali” che rischiano di perdere le protezioni. I nuovi professionisti, liberi e creativi, che rischiano di non trovare clienti per la loro creatività.
Esistono le classi protette dalle rendite, ma sono destinate ad intristirsi ed a spegnersi.
Allora la domanda "In che modo il nostro sistema paese dovrà produrre ricchezza nel futuro?” sta diventando una delle grandi domande che toccano profondamente il quotidiano.
Come questa, anche un’altra grande domanda sta riguardando il quotidiano: in che modo dovrà trasformarsi il tessuto urbano delle nostre città? Credo che, nel rispondere a questa domanda, fino ad oggi, siamo riusciti a mettere in fila solo aggettivi. “Città accogliente, dinamica, tollerante, talentuosa, tecnologica, innovativa, solidale” riassumeva un importante giornalista di cronaca e costume di Milano. Certamente aggettivi belli e nobili. Ma solo aggettivi ai quali ognuno dà significati diversi. Ed allora, tutti sono d’accordo fino a che ci si limita ad elencarli. Quando si cerca di renderli operativi, ecco che cominciano le declinazioni diverse da parte di popoli e generazioni. Declinazioni che nessuno riesce a sintetizzare e che generano conflitti. Rischiano di trasformare davvero le nostre città in luoghi di scontro di civiltà.
Un accenno alla cronaca drammatica: non si può costruire una civiltà multietnica quando un'etnia, la nostra, accetta di accogliere e tollerare, ma non di rimettere in discussione i suoi fondamenti. Esiste anche il fondamentalismo della conservazione che non è direttamente rivoluzionario, ma costringe gli altri alla rivoluzione.
Io credo che esista una terza domanda la cui risposta costituisce la pietra angolare dello sviluppo: in che modo dobbiamo tornare a produrre cultura?
Detto meno genericamente, poiché le vecchie visioni dell’uomo, del mondo e della storia proprie della civiltà industriale sono superate, come pensiamo di svilupparne delle nuove? Se non rispondiamo a questa domanda mancano le metafore ed i modelli di riferimento per rispondere alle altre due.
Fino ad oggi abbiamo cercato di rispondere delegando la risposta a professori ed artisti di corte. Possiamo continuare a questo modo?
Io credo che lo sforzo di rispondere a questa domanda sia la palestra più emozionante per la nuova classe dirigente.
Ma l’elenco delle domande può continuare e diventare più generale.
Perché i governi non riescono né a costruire direttamente sviluppo, né a costruire contesti dove altri possano costruire sviluppo e le parti politiche non riescono a produrre governi profetici?
Perché gli attori sociali non riescono a coagulare consenso intorno a progetti di sviluppo sociale?
Perché le istituzioni non riescono a produrre e far rispettare sistemi di norme che siano funzionali allo sviluppo?
Tutte queste domande sono la declinazione di un’unica grande domanda: la civiltà industriale ha fatto il suo tempo. E se ne vedono i segni in tutte le domande senza risposta. Quale altra società costruire?
2
L’umiltà della ricerca: vi sono domande, ma non risposte.
Noi operiamo come se le risposte alle domande importanti che ho provato ad elencare ci fossero. E fosse solo colpa di qualche incompetente o disonesto se non vengono messe in pratica. E immaginiamo la politica come una partita di caccia a questi incompetenti disonesti.
Questa tentazione è forte, soprattutto per coloro che sembrano vivere in isole felici, dove i grandi problemi (del lavoro e della emarginazione, ad esempio) non albergano.
Ma dovremmo riuscire ad ammettere che alle domande importanti vi sono solo le piccole risposte parziali e individuali che sappiamo dare noi in solitudine. Ed allora, capiremo che, se gli altri non le accettano, è perché banalmente non le riconoscono proprie. Gli altri che hanno la stessa nostra legittimazione nell’immaginare risposte.
E dovremmo concludere che non esistono ancora risposte socialmente condivise, cioè le uniche risposte che hanno la possibilità di essere realizzate.
Se le risposte, le proposte non ci sono, allora occorre cercarle. Ma come?
3
Il desiderio di essere ovunque … con domande di senso.
Per costruire proposte profonde e socialmente condivise occorre intraprendere un viaggio.
Per popoli, per movimenti, per generazioni, per culture, per speranze.
Sta accadendo oggi qualcosa apparentemente di paradossale: vi sono mille risorse, novità e speranze per rispondere alle domande. Dalle banali novità tecnologiche, alle più profonde novità valoriali e culturali, ad un diffuso e profondo desiderio di partecipazione. Dai mille movimenti che testimoniano impegno e responsabilità, al mischiarsi delle razze e delle culture, al crescere di grandi reti di trasporti fisici e virtuali che fanno da moltiplicatori delle novità e delle speranze che nascono in luoghi diversi.
Le diverse risorse, novità e speranze sono, però, solo nuvole, alte, ma tenui.
Esse non riescono a precipitare in una pioggia che fecondi la nascita di una nuova società.
Sono novità e speranze che, non riuscendo a diventare globali, si nascondono negli interstizi del sociale. Rimangono novità e speranze da catacombe psicologiche e sociali. Novità e speranze che non vedono, per tornare ad usare una espressione abusata, al di là del giardino di casa.
Oppure sono nuvole che diventano tempesta e si manifestano in rifiuti e rivoluzioni.
Allora occorre provare ad esplorare le risorse e le opportunità, ma non con la compiacenza dell’antropologo. Portando, invece, con sè una sfida di significato: popoli e generazioni, quale è il vostro contributo specifico ed originale alla costruzione di una nuova città ed un nuovo paese?
Voglio dire che, se si vuole costruire una risposta comune alle domande senza risposta, occorre che ogni attore di questo processo, contemporaneamente, proclami la sua identità come contributo. E, subito dopo, se ne spogli per assumerne una comune, più grande.
4
Il dovere della proposta
Il porre domande non esime dal tentare delle risposte. Senza lo sforzo della proposta, un movimento rimane un “volgo disperso che nome non ha”. E la proposta deve essere all’altezza della profondità dello sguardo.
Purtroppo oggi il vero collante è la protesta. Ma la protesta non raduna popoli. Genera rivoluzioni che finiscono nel Terrore.
5
La responsabilità della sintesi
Le risposte vanno cercate socialmente. E’ importante arrivare a risposte condivise profondamente che, proprio perché condivise profondamente, sembreranno giuste e belle. E diverranno realtà.
Io credo che oggi sia immorale costringere a scegliere tra risposte banali e parziali che vengono urlate come se fossero assolutamente indiscutibili.
La costruzione di una proposta sociale, che emerga da proposte singole, non nasce per caso. Sono necessarie competenze e passione di sintesi.
Costruire sintesi è il nuovo compito fondamentale di una classe dirigente. Pensate ad una classe dirigente che si dà come compito non di formulare programmi, ma di farli nascere tra i popoli. Questa classe dirigente non sarà tentata dalla droga del potere perché la sua realizzazione consisterà nel rendere gli altri protagonisti.
La misura del suo successo sarà, allora, etica ed estetica. La stessa misura che abbiamo proposto per lo sviluppo.
6
La profezia dell’azione
Parlare della profezia dell’azione non significa soltanto dire che alle parole occorre far seguire i fatti.
Ma significa anche dire che i fatti devono nascere dalla vastità e dalla profondità dello sguardo. Scavare nel giardino di casa dà certamente un sapore di concretezza, ma rimane la concretezza della polvere. Occorre realizzare fatti che nascano da provocazione, ascolto e sintesi e costruiscano le risposte ai problemi fondamentali.
7
La suggestione del racconto.
Quando si dispone di una forte proposta condivisa occorre renderla visibile ed ammirabile attraverso un raccontare appassionato.
Forse, occorre smettere di usare la parola “comunicazione”. Oramai è sinonimo di autorappresentazione. Un'autorappresentazione anche “pelosa” che ha come obiettivo unico e dichiarato il potere. Noi abbiamo bisogno di un raccontare che crei comunità.

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...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.