giovedì 30 luglio 2009

ApertaMente

Emergenza e sincronizzazione spontanea sono processi caratteristici nei sistemi che si auto-organizzano. E' quello che è accaduto durante il convegno "Uscire dalla crisi : nuovi modelli per il management", tenutosi a Milano il 21 luglio ed organizzato da Francesco Zanotti della M&C, con la consulenza scientifica dell'AIRS (Associazione Italiana per la Ricerca sui Sistemi), rappresentata dal guru della sistemica italiana, Prof. Gianfranco Minati, e dell' ISEM (Institute for Scientific Methodology), di cui sono con il chimico Mario Pagliaro il fondatore.
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Cosa significa fare impresa in una società che non può più essere modellizzata dalla metafora della macchina?Come si gestiscono i processi di cambiamento (costruzione) dell’organizzazione e del mercato? In sintesi: come si costruisce sviluppo etico ed estetico? Queste le domande comuni ad un operatore nel campo della consulenza d’impresa, ad un epistemologo costruttivista, ad un fisico dei sistemi collettivi che studia i processi di produzione scientifica.
Come le voci di un’invenzione di Bach , tre approcci e linguaggi diversi si sono intrecciati ed integrati in una visione unitaria. L'idea di fondo è che la "crisi" che stiamo vivendo è frutto di miopia culturale e richiede una "riflessione trasgressiva" sulla necessità di nuovi modelli e metafore per leggere e trasformare il reale. Che significa poi ritrovare gli anelli di congiunzione vitali tra economia, ecologia ed epistemologia ed imparare a vederne le possibili rotte di collisione . E' il tema sempre più urgente posto da un sistema in cui la produzione non è più basata esclusivamente sui beni materiali , ma sulle dinamiche delle relazioni intellettuali ed emozionali tra esseri umani e sull’emergenza di nuovi soggetti sociali. Vedi ad es. Andrea Fumagalli e Sandro Mezzadra (a cura di),
Crisi dell'economia globale. Mercati finanziari, lotte sociali e nuovi scenari politici, postfazione di Toni Negri, Verona, Ombre Corte, 2009, e l'indispensabile: Marcello Cini, "Il SuperMarket di Prometeo. La scienza nell'era dell'economia della conoscenza” , Codice Ed.,2008)
Il modo di pensare della società industriale e del mercato è ancora basato invece su un modello riduzionista e meccanico di homo oeconomicus stilizzato quanto quello degli urti perfettamente elastici o dei fluidi perfetti in fisica classica, ed è centrato su nozioni di stabilità, equilibrio e dinamiche deterministiche insufficienti a cogliere la complessità del quadro socio-economico. Come dice Paul Wilmott: "Fidarsi delle formule era come stare seduti con la cintura di sicurezza allacciata guidando come pazzi: non serve a salvarti la vita. Le persone che si occupano di gestione sanno ben poco di ciò che dovrebbero; non hanno spirito critico, non hanno testato i dati e non hanno usato la loro immaginazione per cercare vie d’uscita ai problemi”.
Inutile dire che la "politica" segue a ruota e diventa il paradigma di un modello infecondo.
Una tipica risposta apparente ed "automatica", sono le dinamiche "competitive", che si presentano come liberazione di energie creative e sono invece in larga misura strategie di difesa e conservazione: la concorrenza non nasce dal mercato ma è una forma di auto-costruzione dei partecipanti, di legittimizzazione reciproca e di accumulazione delle “anomalie” ai margini.
Come fisico non ho potuto fare a meno di pensare a molte teorie alla moda che hanno già esaurito il loro ciclo vitale e si presentano invece - anche grazie alla beatificazione mediatica - come vive, combattive ed "eleganti", ben arroccate nel loro castello di papers crescenti con una velocità superiore a quella della luce (possono farlo perché, come dice Bob Laughlin, non trasportano informazione!).
Particolarmente interessante è il caso della mitologia diffusa dell'innovazione tecnologica, che non può colmare il gap della produzione di ricchezza delle imprese tradizionali e sopratutto non cambia il rapporto tra lavoro, capitale ed ambiente. La tecnologia, in sé, non può essere un driver di nuove progettualità, ma assume piuttosto il ruolo di racconto consolatorio sulle sorti magnifiche e progressive alle quali si vuol credere. Questo tipo di "story-telling" ha l'unica funzione di "tirare il collo" alla famosa funzione logistica, la curva ad S usata per modellizzare i processi di sviluppo. All'inizio, la crescita è quasi esponenziale, successivamente rallenta, diventando quasi lineare, per raggiungere una posizione asintotica dove non c'è più crescita. La competizione ed un'errata, o demagogica, visione dell'innovazione ha proprio il ruolo di ritardare il destino asintotico della curva di crescita, dove invece il problema è quello di innescare una nuova singolarità.
Ma questo non avviene, perché gli schemi cognitivi utilizzati sono sempre gli stessi.
E' necessario dunque un ripensamento radicale del rapporto tra conoscenza e mercato, ed accettare la sfida dell'incertezza radicale, la povertà della completezza e la ricchezza dell’incompletezza, imparando a rilevare emergenza (Minati).
Come ha scritto Cesare Sacerdoti sul Tempo Economico annunciando la giornata di studio:
“Per quanto riguarda i “pratictioners” lo stato dell’arte dell’utilizzo della cultura strategica rasenta l’ignavia. Un solo esempio: definire un business plan “Info memorandum” è davvero la dichiarazione, sostanziale se non formale, che la nostra conoscenza riesce solo a descrivere il presente, a prenderne atto. Se, poi, guardiamo a più generali culture e pratiche di Governo lo scenario è ancora più deludente, sia nella teoria che nella pratica”. Clip_image002
Le tradizionali analogie tra ecosistemi ed sistemi socio-economici mostrano una debolezza che è stata la sorgente storica di tante deformazioni "naturalistiche" della teoria economica (vedi L'Orologiaio Cieco e la Mano Invisibile). Un ecosistema non ha un modello cognitivo di sé stesso, un sistema socio-economico si! Il punto essenziale è che il management è non semplicemente una derivazione economica dell'azienda, ma ne costituisce il sistema cognitivo (Licata).
Un esempio è la marginalizzazione del concetto di cooperazione, riservato ad una dimensione "etica" ed "estetica" del mercato e dunque ineluttabilmente "altra".La "cooperazione" di cui parliamo- trasportata dai paesaggi di fitness della Artificial Life- nasce dalla capacità di una classe manageriale di usare più strumenti interpretativi per comprendere il mondo, ed il suo "successo" dipende dall'ampiezza dei suoi strumenti epistemologici e dalla loro capacità di accogliere le dinamiche sociali, non puntando su un "bisogno" o inducendolo, ma entrando in sintonia con le esigenze profonde del tempo. Sfuma dunque la tradizionale distinzione tra stakeholders e shakeholders in una visione costruttivista e sistemica delle dinamiche sociali (Minati). Stesso discorso per la “sostenibilità”, non più fanalino di coda o fiore di carta utopico, ma capacità di pensare il rapporto tra sistema- impresa ed ambiente a lungo termine ed in senso globale.
Il manager è dunque come un “operatore quantistico” che agisce sulle potenzialità del possibile rendendole reali ( Zanotti). Ma non ci si è limitati ad una discussione critica per metafore. All’interno del modello “Sorgente Aperta” di Zanotti è stato proposto un modello di life-cycle e di rating delle imprese basato su una matrice "fuzzy" estremamente facile da usare ed assai più efficace di certi schemi che somigliano alla risposta “quantitativamente esatta” del computer della Guida Galattica per Autostoppisti, di Douglas Adams:
Quarantadue!" urlò Loonquawl. "Questo è tutto ciò che sai dire dopo un lavoro di sette milioni e mezzo di anni?"
"Ho controllato molto approfonditamente," disse il computer, "e questa è sicuramente la risposta. Ad essere sinceri, penso che il problema sia che voi non abbiate mai saputo veramente qual è la domanda."
Un’ immagine, per concludere. Il colosso Sony nacque nel Giappone disastrato del 1946 dalla visione di Akio Morita, un fisico, e Masaru Ibuka, ingegnere, per “riportare alto l'onore del Giappone nel mondo”. A ricordarci che il successo di un’impresa- economica, scientifica, culturale- è sempre il risultato di una storia d’amore con il proprio tempo.

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...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.