mercoledì 8 luglio 2009

21 Luglio “terza”. Discernimento e nuova progettualità


"Discernimento e nuova progettualità" è una espressione dell’Enciclica “Caritas in veritate”.
Essa rappresenta quella che a me sembra una risposta ad una stringente necessità: dobbiamo trovare un nuovo senso del fare impresa. Guardando con occhi più profondi l’oggi (discernimento) e con la voglia etica di costruire una nuova modalità di intendere e fare impresa.

Nella letteratura economico-manageriale questa sfida è riassunta in una sigla: CSR (Corporate Social Responsibility). Ma a me sembra sia ora di ripensare profondamente a questo concetto, forse proprio nell’ottica del discernimento e della nuova progettualità.

Fino ad oggi ha prevalso una concezione della CSR, che possiamo definire “industriale”. Si può sintetizzare nel modo seguente: fare ben il proprio “mestiere”, rispettando le leggi, non sfruttando le persone e la natura. E, auspicabilmente, rinunciando a parte del profitto per aiutare le aree del disagio o, mecenatescamente, per favorire una cultura che, detto per inciso, viene oggi mediamente intesa in senso “museale”.

Questa concezione spinge a valutare i vantaggi della CSR in modi molto “banali”: serve a dare una patina di “bontà” (quasi di buona educazione) che viene, enfaticamente, considerata: “vantaggio competitivo”. Ma che appare, sempre più, come solo e soltanto una medaglietta da esibire nei convegni.
Oppure, si sostiene che questa “medaglietta” possa venir premiata dal mercato azionario con una migliore valutazione del titolo. Ma i dati di questo ultimo anno smentiscono clamorosamente questa correlazione.

Dietro questa concezione “industriale” della CSR vi è una precisa visione dell’impresa: è un attore economico con una mission ed un business definito e stabile. Cioè con una funzione sociale definita, riconosciuta e stabile all’interno di una società altrettanto stabile e di una natura con risorse infinite. Questa impresa è immaginata avere una proprietà monolitica.
Il ruolo degli stakeholders viene considerato “di controllo” perché l’impresa non esageri nella ricerca del profitto.
Si considerano, insomma, le imprese come corpi staccati e specialistici della società.

In questa concezione della CSR si usa una specifica e limitata accezione di “sociale”. Con “sociale” si intendono, sostanzialmente, specifici settori della società: dalle aree di disagio al mondo del no profit. In sostanza, si contrappone il mondo economico del profitto e il mondo “sociale” della gratuità; considerando l’impegno nella gratuità come un modo per farsi perdonare il profitto.

Oggi questa concezione della responsabilità sociale e dell’idea di fare impresa che ci sta dietro non funziona più.

La recente crisi sta dimostrando che le imprese attuali hanno perso la loro capacità autonoma di produrre valore. Tutti credono che si possa superare la crisi solo se l’impresa viene soccorsa dallo Stato. In una società industriale (sia nella sua versione capitalista che collettivista) questo tipo di rapporto tra impresa e Stato nega la ragione stessa dell’esistere dell’impresa. Infatti, in una società industriale, è l’impresa che produce valore che, poi, lo Stato decide come impiegare. Lasciandolo, dopo le tasse, nella libera disponibilità dell’imprenditore se si tratta di uno Stato che crede nel mercato. Decidendone direttamente tutti gli impieghi in una società collettivista. Se si suppone che l’impresa non possa più produrre si trasforma una impresa in una burocrazia. Si dice che i sussidi sono solo temporanei e causati da una crisi eccezionale. Ma la tesi non è convincente. Non si sa quanti dovranno essere. Si dice addirittura: tutti quelli che servono. Non si sa fino a quando.

La proprietà dell’impresa è tutt’altro che monolitica. E’ rappresentata da un variegato “parterre” di attori i cui interessi non sempre coincidono: dai risparmiatori, ad investitori istituzionali di tipo diversissimo, a soci “industriali”. Fino ad arrivare ad imprese dove entrano nei “giochi proprietari” anche il sindacato ed altri attori sociali. Non solo, ma anche il sistema di interessi del management non è esattamente sovrapponibile con quello degli azionisti.

Sia i business delle imprese che la società che li “contiene” stanno/devono evolvere. E questa evoluzione non è indipendente, ma è una coevoluzione. Consideriamo, ad esempio, le compagnie di assicurazione. Le loro più nuove e rilevanti aree di business sono la previdenza e la sanità. Ora l’evoluzione di queste aree di business dipende/determina l’evoluzione del sistema di Welfare complessivo.

Le strategie di business non sono necessariamente determinate dal gioco competitivo, ma possono essere ispirate da scelte sociali. Facendosi ispirare non dai competitors, ma dalla società (le nuove istanze sociali, le nuove conoscenze, la nuove speranze) si riescono ad immaginare strategie di business veramente rivoluzionarie. Forse è questo il significato più profondo dell’apertura alla società ed alle sue esigenze: attivare intensi processi di innovazione.

Gli stakeholders non accettano di essere relegati ad un ruolo di controllo formale. Ma cercando di “impicciarsi” sempre di più nella vita delle imprese.
Gli stakeholders costituiscono una ecologia variabile. Infatti, stanno acquisendo sempre più ruolo gli stakeholders “emergenti” che si formano come reazione “emergente” alle scelte strategiche delle imprese.

La natura, che ospita la coevoluzione di business e società, è tutt’altro che infinita. Anzi, si sta dimostrando capricciosa e molto esigente. Quasi non sopporta più l’invadenza di una società come quella industriale e inizia a non essere più in grado di soddisfare esigenze “igieniche” come quelle di materie prime e cibo.

Allora è necessaria un’altra visione del rapporto tra imprese e società. Se, nel passato, l’impresa era un corpo separato dalla società, oggi dobbiamo dire che la società ha invaso l’impresa. E l’impresa la società. L’impresa deve cambiare il suo “mestiere” tradizionale e la società, coerentemente e contestualmente, deve cambiare la sua struttura profonda.

Conseguentemente è necessario recuperare il senso complessivo di “sociale”. Con questo aggettivo non intendiamo qualche parte della società, ma ci riferiamo alla società nel suo complesso.

Se cambia il rapporto tra impresa e società, come abbiamo cercato di esemplificare, allora deve cambiare il concetto di CSR.

In una società così profondamente dinamica, è necessaria una concezione della CSR che possiamo definire “strategica”. Essa vede l’impresa come un attore profondamente immerso in questa società del cambiamento. Contribuisce ed è condizionata dallo sviluppo complessivo della Società.

1 commento:

  1. per fare tutto questo, che è fondamentale, è davvero necessario un defreezing mentale, perchè le azioni sono guidate dal nostro pensiero...dall'altro lato è fondamnentale che questo eprcorso di cambiamento del punto di vista non sia fatto a lviello individuale, il rendelo sociale, overo tramite reciproco riconoscimento, permette di convalidare, sentirsi insieme ad altri e dare "potere" al cambiamento.
    un vento partecipato, preceduto e seguito da dialoghi e conversazioni, la genesi di micro e macro "comunità di pensiero ed azione" identificano bene il processo di cambiamento, per dove? lo si può solo de-cidere insieme.

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...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.