di
Francesco Zanotti
Stamattina ho letto una breve commemorazione di Tullio Regge (fisico) da parte di Edoardo Boncinelli. E mi sono scandalizzato. E, spero, si scandalizzeranno con me tutti coloro che, con contributi diversissimi, stanno dando una mano nel realizzare l’Expo della Conoscenza.
Non riguarda quello che dice di Tullio Regge.
Riguarda il finale che riporto testualmente: “La
scienza può essere bellissima e illuminante nella mani giuste. Non tutti, però,
possono giungere a tale altezza.”
La prima tentazione è quella di fare ovvie
osservazioni psicologiche e sociologiche sul sostenere che esistono le mani
giuste (e, quindi, le altre, quelle di tutti noi che oggi non facciamo scienza
professionalmente, sbagliate) e che le vette della scienza solo per una élite
che, ovviamente, ha le mani giuste. Ma sono, davvero, troppo ovvie.
Lascio la tentazione e voglio solo esporre una tesi radicalmente diversa.
Oggi abbiamo una scienza elitaria per il banale
motivo che abbiamo coltivato uno specialismo che è frutto di una visione
riduttivistica del mondo. Ora, ogni area di conoscenze elitaria diventa, inevitabilmente,
autoreferenziale e finisce col perdere di significato. L’esempio più eclatante
è quello della fisica dove si pensa di essere riusciti a sapere (quasi) tutto,
ma solo su circa il 4% della materia-energia (le cose di cui si occupa la fisica)
che esiste nell'Universo. Questo significa che la scienza si trova, oggi, complessivamente,
di fronte ad una crisi di crescita: grandi conquiste del passato che stanno
girando solo su loro stesse. La tecnologia è figlia di questo avvitarsi. Siamo
solo capaci di costruire il sempre più grande e il sempre più piccolo. Ma non
il diverso.
Cosa accade quando si vive in una crisi di
crescita?
Vi è il tentativo di conservare il passato che è
giustificato, psicologicamente e sociologicamente (nonché per i suoi risvolti
economici), dalla voglia di non vedere minacciato il proprio ruolo sociale e
politico acquisito. Se non si afferma che deve esistere una élite di esperti,
come si fa a campare facendo gli esperti che non possono essere messi in
discussione proprio perché sono esperti?
Insieme al tentativo di conservare vi è, però,
anche la voglia di nuovo. La storia insegna che questa voglia di nuovo non
nasce mai dagli esperti che si considerano tali per diritto divino (o del “caso”,
secondo Boncinelli; “caso” che, però, sociologicamente svolge la stessa
funzione di dio nello scegliere gli eletti).
La voglia di nuovo e la generazione di nuovo
verrà solo quando la scienza romperà i suoi steccati specialistici e professionali e si attiverà un processo di creazione di conoscenza socialmente diffuso. Gli specialisti
dovranno avere l’umiltà di diffondere le conoscenze necessarie, ammettendo: noi
siamo arrivati a questo punto, con questo modello di ricerca. Più avanti non
sappiamo andare. Rendiamo disponibile la nostra conoscenza a tutti perché nasca
una nuova modalità di fare scienza ed una nuova scienza. Certo questo mettere a disposizione non potrà essere
un divulgare, semplificare. E chi accetta di partecipare a costruire una nuova
scienza non dovrà fare sconti alla fatica necessaria. Dovrà studiare duramente
per non perdere nulla di quanto oggi sappiamo. Non ha il diritto di banalizzare,
semplificare. Deve sentire il dovere di andare molto oltre. Se mi si permette
uno slogan: nessuno ha diritto di divulgare (considerandosi detentore di una
qualche verità) e nessuno ha diritto di chiedere divulgazione. Cioè sconti alla
fatica dell’apprendere.
Dopo tutto, questo è il messaggio dell’Expo della
Conoscenza.
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