martedì 12 aprile 2011

Precario è il nostro sistema industriale ed economico.

di
Francesco Zanotti
             

La precarietà certamente genera insicurezza, paura. Anche se, ovviamente, non in tutti. Occorre dire che c’è chi non accetterebbe nulla di diverso dalla precarietà. C’è chi non ha nessuna voglia di legare il proprio futuro ad una sola impresa. Che considera se stesso la propria impresa. Ma questo desiderio di libertà imprenditoriale non può diventare “obbligatorio”. Occorre, ovviamente, costruire posti di lavoro stabili per tutti coloro che, invece, sentono la precarietà come un limite alla propria autorealizzazione.

Per tutti costoro, scrivo il presente post. Ed avanzo una proposta: dobbiamo spostare l’attenzione dal posto di lavoro all’economia. E’ l’economia che è precaria. La precarietà del posto di lavoro è solo una conseguenza della precarietà dell’economia. Il lettore non pensi che sto cercando di difendere la precarietà. Sto cercando una stabilità (per coloro che la desiderano) vera e non finta e insostenibile. Cercando una stabilità vera, metterò sul banco degli imputati gli imprenditori (non solo economici, ma sociali, politici, istituzionali, culturali) non perché sono egoisti  (vogliono guadagnare troppo alle spalle dei precari). Ma perché non innovano questa economia e questa società. Facendo un danno, innanzitutto, a loro stessi e, poi, a tutti coloro che vedono loro come garanti della stabilità.

Spostare l’attenzione dal lavoro all’economia. De-precarizzare l’economia come unica via per 
de-precarizzare il lavoro.
Per illustrare questa tesi,  provo a esaminare cosa voglia dire pensare a de-precarizzare, stabilizzare il posto di lavoro senza occuparci d’altro.
Che tipo di soluzione si propone, in questo caso, al problema dei precari? La stessa soluzione che aveva usato il gran cancelliere Antonio Ferrer per affrontare la crisi del pane: intervenire con la regolazione. In questo caso: eliminiamo la possibilità di assumere con contratti a tempo. Oppure facciamoli costare così cari che non convengono più.

Cosa succede se tentiamo di mettere in pratica questa soluzione regolatoria in una economia precaria? Si innesca una illusione di sicurezza e si crea una precarietà sistemica.
Ripartiamo dai basics. Una impresa paga gli stipendi se ha i soldi per farlo. Se non ha i soldi per farlo non può pagarli. Allora io, imprenditore, posso anche assumere a tempo indeterminato, ma se, poi, a fine mese, non ho soldi per pagare lo stipendio, che faccio? Se non ho i soldi, il tempo indeterminato diventa una promessa irrealizzabile. Possiamo forse fare una legge che impone alle banche di prestare i soldi all’imprenditore? Potremmo anche immaginare di farlo. Ma: le banche dove li vanno a prendere i soldi? Dal loro capitale (che, però, è piccolissimo), ma soprattutto, dai risparmi. E se gli imprenditori a cui hanno prestato i soldi degli stipendi non riescono a restituirli? Ci vanno di mezzo i risparmiatori, che spesso sono i genitori dei precari. Allora intervenga lo Stato. Ma, al di là del fatto che, se lo Stato garantisce gli stipendi delle imprese, allora andiamo verso una economia collettivista che non ha mai funzionato, chiediamoci da dove lo Stato prende i soldi. O batte moneta (ma allora si crea inflazione) o li prende dai cittadini che ce li hanno. Supponiamo anche che si parta depauperando i ricchissimi. Ma non basterebbe. Alla fine si torna sempre al cittadino risparmiatore.
La vera soluzione, allora, è che le imprese riprendano a generare tanta cassa (cassa e non profitti, perché è con la cassa e non con i profitti, spesso virtuali, che si pagano gli stipendi). Poi, ci si porrà il problema di come dividere la cassa generata. Ed allora avrà senso una regolamentazione che guidi ad una equa distribuzione della cassa generata.

Ma per far sì che le imprese riprendano a produrre tanta cassa, è necessario rivoluzionare il nostro sistema industriale, economico e sociale. Cosa che le nostre classi dirigenti (che non sono più imprenditoriali) si guardano bene dal fare.

Se tutto questo è vero, allora cominciamo ad innalzare cartelli che chiedono innovazione profonda. A tutta la classe dirigente. Non solo agli imprenditori o ai politici di parte avversa a chi espone i cartelli.

Ma non possiamo fermarci qui. Abbiamo sostituito i cartelli che esibiamo, ma siamo ancora alla protesta, giusta, ma sempre solo protesta.

Se chiediamo innovazione profonda, non possiamo che fare un ulteriore passo: l’innovazione profonda richiede una progettualità intensa, profonda, diffusa.
Se è necessaria una progettualità intensa, profonda, diffusa, allora deve essere una progettualità di tutti. Gli imprenditori che vorranno innovare profondamente dovranno inevitabilmente chiamare a raccolta l'energia creativa di coloro che lavorano per loro ed allargarla a nuove persone, perché un gruppo che ha costruito un’impresa e ci lavora da anni difficilmente riuscirà ad immaginare un’impresa diversa. Allora, cambia il ruolo del lavoratore: non è solo un fornitore di mano d’opera, ma anche di idee, di innovazione. Se diventa anche operatore di innovazione, allora cambia inevitabilmente il rapporto con l’impresa. E’ l’impresa che vuole legarlo a lungo termine. E questo legame non lo si può realizzare solo con lo stipendio: l’impresa diventa sostanzialmente non solo di chi fornisce i mezzi di produzione materiali, ma anche di coloro che ne forniscono le risorse immateriali di innovazione.

Propongo, infine, di esporre un nuovo cartello: imprenditore, hai bisogno di me per innovare. Tu sai che per costruire un nuovo patto per l’innovazione che ti salva l’impresa non ti serve in nessun modo la dimensione della precarietà. Parliamone, privatamente, pubblicamente, politicamente.

1 commento:

  1. Pubblico con piacere il commento del Dott. Pietro Ichino, senatore PD.

    Ho letto con molto interesse l'articolo, condividendone pienamente l’idea di fondo. Mi permetto solo di insistere sull’idea che la sostituzione del controllo giudiziale sui licenziamenti non disciplinari con un diversa forma di responsabilizzazione economica dell’impresa (che costituisce l’innovazione più incisiva contenuta nel mio d.d.l. n. 1873/2009), oltre a consentire un ampliamento della quota di assunzioni a tempo indeterminato, darebbe anche un contributo assai rilevante al rafforzamento della nostra economia, allo sviluppo in essa dell’innovazione. In altre parole: consentirebbe al tempo stesso di de-precarizzare i rapporti di lavoro e di de-precarizzare la nostra economia.

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...continua

Ce ne stiamo accorgendo a colpi di crisi ricorrentesi in ogni dimensione dell'umano. E' evidente che dovunque guardiamo c'è qualcosa che, gravemente, non va: lo sviluppo economico, la povertà, il rapporto con la natura, la soddisfazione sul lavoro e le profonde esigenze di realizzare una vita degna... E allora vogliamo smetterla di denunciare il passato? Sta diventando stucchevole cercare l'ennesimo cantuccio della stanza della società industriale e scoprire ancora una volta l'accumularsi di una polvere. E' il momento di lasciar riposare per un po' la denuncia e la protesta anche perché, se siamo onesti, dobbiamo chiederci: ma noi dove eravamo in questi anni?

Vivevamo su Marte e improvvisamente siamo tornati sulla terra ed abbiamo scoperto che quegli inetti di terrestri, dopo la nostra denuncia, non aveva fatto nulla. E tocca ancora a noi risvegliare le coscienze? Certo che no! Noi abbiamo vissuto immersi in questa società. Sono anche le nostre azioni che hanno mantenuta chiusa la stanza. Lasciando accumulare e incancrenire polvere. Viene quasi da dire: l’accumularsi e l’incancrenirsi ci fa comodo perché la nostra unica competenza era il contestare. Visto che sul costruire abbiamo dato tutti pessima prova.
E non si dica che qualche potere forte, da qualche parte ha impedito che le nostre folgoranti idee liberassero la stanza dalla polvere dell’ingiustizia, del privilegio … Quelli che sembrano poteri forti lo sono solo di fronte alla nostra incapacità di costruire alternative.
Cara e vecchia società di tutti noi, dunque. Che ci ha permesso di superare secolari infelicità … Certo non tutte, certo non a tutti, certo non ugualmente, ma molto.
Cara e vecchia società dalla quale ora dobbiamo allontanarci con un pizzico di nostalgia. Portandoci dentro lo zaino che accompagna ogni viaggio tutto quello che di buono ha prodotto.
E con il passo che diventa sempre più baldanzoso a mano a mano che diventa chiaro il luogo, la nuova società verso la quale siamo diretti ..
Ma verso quale luogo vogliamo dirigerci? Quale nuova società vogliamo costruire?
Noi certo non lo sappiamo! Sappiamo solo come fare a costruirla!

Allora la nostra proposta è strana. Non abbiamo soluzioni, linee politiche, idee originali. Ma un metodo con il quale generarle.
Primo passo di questo metodo: cambiamo i linguaggi. Secondo usiamo questi nuovi linguaggi per progettare insieme .. Accidenti, mi rendo conto che mi sto avventurando in un sentiero accidentato …
Allora provo con una storiella. Pensiamo di indossare occhiali verdi e di dover dipingere una parete di un nuovo colore: il verde ci ha seccati. Ai nostri piedi abbiamo una vasta gamma di barattoli di vernice. Ma tutti i colori ci sembrano gradazioni del verde. E, così, piano piano ci sembra inutile ridipingere una stanza di un nuovo colore che potrà essere solo una gradazione di verde. Accidenti ai poteri forti che ci costringono a dipingere sempre e solo di verde …
Ma poi arriva qualcuno che ci convince che un certo barattolo contiene il rosso. Ma apparirà rosso solo quando lo stendiamo sulla parete … Così, spinti da nuova fiducia e dalla voglia di avere nuova fiducia, cominciamo a dipingere. Ma, anche dopo averlo steso sulla parete, quel colore continua ad essere l’ennesima gradazione del verde. Allora la nostra collera e massima: certo solo un grande complotto di qualche potentato molto potente ci può costringere a naufragare in un mare di verde …
Maledetti poteri forti .. .
Così attiviamo un Gruppo antiverde. Che, innanzitutto, continua ossessivamente a dimostrare che tutto è di quel verde che, oramai invece di speranza, sta a segnalare schifezza. E poi cerca di buttare via tutti i barattoli …
Cosa significa partire dai linguaggi e dal metodo per usarli?
Significa togliersi gli occhiali verdi. E riuscire così a scoprire che tutti i barattoli sono effettivamente di mille colori. Riuscendo a vedere mille colori rinasce davvero la speranza di poter dipingere diversamente la stanza. Ma non possiamo stare senza occhiali ed ogni tipo di occhiale, anche il più sofisticato, altera i colori … Anche il rosso più sfavillante sarà, poi, sempre, ideologicamente, rosso … Ed allora che fare? Impariamo a cambiare occhiali quando vogliamo vedere cose diverse. Ma, poi, come dipingiamo quella stanza? Inevitabilmente tutti insieme con occhiali diversi. Perché ognuno può portare un solo tipo di occhiali per volta. E per fare della stanza un capolavoro, sono necessari tutti i colori. Quando il dipinto a mille mani sarà finito potremmo vedere un miracolo che piacerà a tutti e che tutti potranno vederlo in modo sempre diverso. Basterà indossare gli occhiali degli altri e se ne scoprirà un bellezza diversa.
Allora il nostro programma è molto semplice. Apparirà forse banale e ininfluente: diffonderemo nuovi linguaggi ed attiveremo gruppi progettuali che li useranno per progettare i mille aspetti di una nuova società.
I linguaggi sono i modelli e le metafore che nell'ultimo secolo, provenendo sostanzialmente dalle scienze della natura, si sono aggiunti a quelli tipici della società industriale.
Il metodo con il quale li useremo sarà Sorgente Aperta …
Ma perché “balbettanti”? Perché nel progettare un nuovo mondo ci rendiamo conto che il primo esprimersi non sarà che un balbettio. E, perché “poietici”? Perché il balbettio dovrà essere fecondo. Si trasformerà certamente in storie che cominceranno ad essere vissute.
Allora anche questo manifesto è un balbettio poietico? Certamente. Speriamo di doverlo riscrivere al più presto meno balbettante e più fecondo.