Articolo di fondo de Il Sole 24 Ore di oggi (5 ottobre 2010), a firma Alberto Orioli. Titolo: "La vera agenda che serve al paese". Con una sintesi sopra il titolo: “Competitività”.
Leggiamo l’agenda che l’Autore riferisce essere quella formulata dalle associazioni imprenditoriali riunite ieri all’ABI: misure per sbloccare le infrastrutture, prorogare gli ammortizzatori sociali, detassare ulteriormente lo straordinario, dare più certezze previdenziali ai lavoratori in mobilità.
L’autore supporta questa agenda e dichiara anche che essa serve a risolvere il problema dei cassaintegrati, valorizzare le migliori risorse imprenditoriali, gli sforzi delle associazioni imprenditoriali …
E come si fa a non commentare?
Ho lasciato i puntini perché la risposta che mi viene è “crudele”: per continuare a vivere come prima.
Per capire la problematicità di questa sintesi vorrei sottoporre alcune considerazioni che a me sembrano gravi e banali. Ma che non ascolto in altri luoghi … Forse, allora, mi sbaglio nel proporle … Per tutti noi lo spero vivamente, altrimenti siamo nei guai molto più di quello che pensiamo. E sono guai che potremo risolvere facilmente, proprio perché sono così radicali …
Considerazione di partenza: non è lo Stato che deve garantire la sopravvivenza degli attori economici e sociali. Sono questi ultimi che devono fornire risorse allo Stato per aumentare il livello di servizi ai cittadini. Lo Stato non guadagna: per definizione spende (e, ovviamente, deve spendere bene) le risorse generate dalla società. Se questa si dichiara incapace di produrne, ma chiede allo Stato di essere sovvenzionata, allora si attiva un circolo vizioso perché lo Stato deve, ovviamente, prelevare i soldi dalla società.
Certo c’è quella congrega di puzzoni che sono gli evasori e quell’altra congrega (sulla quale ci sono meno consensi sul fatto che siano puzzoni) dei “ricchi”. Andiamo a prendere da loro i soldi. Bene, facciamolo. Ma poi come usiamo le risorse? Per continuare tutti a vivere come prima? A vendere gli stessi prodotti, ad usare le stesse tecnologie, la stessa cultura? Se facciamo così accadrà che, prima o poi anche questi soldi finiranno! E se le imprese non ricominciano a produrre ricchezza e la società conoscenza, siamo nei guai.
Che fare allora? Guardate al miracolo economico italiano. E’ stato un periodo in cui tutti si sono comportati da creatori di un nuovo mondo. Cioè da imprenditori (la natura profonda dell’imprenditorialità è quella di creare nuovi mondi): dai singoli imprenditori, ai lavoratori, alle associazioni sindacali ai partiti.
Questa imprenditorialità diffusa, non solo economica, ma sociale, politica, istituzionale e culturale ha generato il nostro Paese attuale, la sua economia, il suo Stato, la sua cultura.
Oggi questo Paese è invecchiato: le sue imprese producono oggetti sempre meno interessanti, i servizi sono antichi, il tipo di democrazia è primitivo. Ed allora serve un’altra stagione di imprenditorialità. Di una imprenditorialità più intensa e complessa che abbiamo definito: imprenditorialità aumentata.
E “imprenditorialità” è l’esatto opposto, se non si vuole dichiarare inutile la semantica, di “competitività”.
Allora provo a proporre un’altra agenda.
Non cancella la prima. Ma le si affianca e serve e ritornare a produrre ricchezza economica, sociale, politica, istituzionale, culturale. Diffondiamo una nuova cultura capace di scatenare una nuova imprenditorialità aumentata. Come? I lettori di questo blog lo sanno: attraverso un Expo della conoscenza …
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