
I primi due, che indicano le cause e le soluzioni che non condivido, sono gli articoli di fondo del Sole 24 Ore, a firma di Alberto Alesina e Ignazio Angeloni, e del Corriere a firma di Francesco Giavazzi.
Cosa sostengono? Che l’attuale crisi è una crisi di sfiducia degli investitori. Che basta riaccendere questa fiducia e il mondo riparte … più bello e più potente di prima … Cioè: la colpa della crisi è il disordine dei mercati finanziari. Rimettiamoci ordine e l’economia tornerà a correre.
L’altro è un articolo è di Paola Bottelli sul Sole 24 Ore il cui titolo è un ottimo riassunto del contenuto: “La moda ai tempi della recessione: così enfatica, così distante.”. L’articolo descrive, appunto, come le sfilate della appena conclusa settimana della moda abbiano presentato capi progettati solo per lo spettacolo mediatico. Ma uno spettacolo, come molti sospettano, che, anche se riesce ad andare in scena con squilli di trombe, non potrà risollevare il mercato. Scrive l’articolista “Molti imprenditori e top manager temono che ora i consumatori siano disposti a fare shopping solo con listini tagliati del 20-30%”.
Questo articolo suggerisce una visione opposta della crisi. Essa nasce nell'economia reale. Produciamo prodotti che interessano sempre meno e sono sempre meno sostenibili. Abbiamo un sistema produttivo e di distribuzione che è sempre meno sostenibile. Allora gli investitori si trovano di fronte ad imprese, produttive e di servizi, che stanno spegnendosi (mediamente, ovviamente) per perdita di significato e non hanno grandi progetti di nuove imprese nelle quali investire risorse. Allora si auto-creano “luoghi” di investimento che acquistano vita autonoma. Crescono e crescono tanto che ad un certo punto, inevitabilmente, iniziano a sembrare bolle. E quando una bolla si riconosce come tale non può che seguire la sua natura: scoppiare.
La distinzione tra le due tesi non ha solo una dimensione accademica. Le due tesi suggeriscono politiche economiche radicalmente opposte.
La prima tesi suggerisce una via “tecnocratica”: lasciamo che i tecnici progettino una nuova struttura dei mercati finanziari. La politica trasformi in leggi questo loro progetto. Diamo al tutto una pennellata di etica, cioè diventiamo tutti un po’ più buoni. E il gioco è fatto. La fiducia tornerà sui mercati finanziari e l’economia tornerà a correre. A questa via, oltre alla obiezione di fondo che la crisi ha origine nella economia e non nella finanza, propongo anche una obiezione “tecnica”. Ai tecnocrati che suggeriscono (nascostamente, perché non hanno il coraggio di dirlo) che sia la loro conoscenza a guidare il mondo, contesto la validità di questa loro conoscenza. Non sono il solo a farlo, ma vorrei porre la questione in questi termini: ci sarà qualche economista che accetta una discussione sui fondamenti (un dibattito epistemologico) delle attuali “leggi” economiche? Credo di no, perché la messa in discussione di una scienza priva i suoi detentori del potere, anche piccolo piccolo, che da essa deriva.
La seconda tesi suggerisce una via apparentemente più complicata. Ma anche, come ho anticipato, molto più emozionante e coinvolgente.
Occorre avviare un grande sforzo di riprogettazione, sociale e non tecnocratico, della economia e della società prossima ventura. Sembra una avventura impossibile? Ma è quanto stanno già iniziando a fare tutti, piccoli imprenditori in testa. Solo che lo fanno in sordina, con la paura che sia uno sforzo velleitario visto che tutti, sapienti e media, dicono che la soluzione può solo venire dall'alto, da riforme che vanno lasciate nelle mani di coloro che sanno e che possono.
Occorre, allora, diffondere la convinzione opposta: tutti voi che state immaginando un nuovo mondo, non fermativi, non accettate le prediche di coloro che vi spingono ad abbandonare la fiducia nel vostro potere sostanziale di costruire questo nuovo mondo.
Occorre, anche, creare un ecosistema perché questa progettualità diffusa sia moltiplicata in intensità ed efficacia. Solo per citare alcune “misure”: occorre dare agli imprenditori nuovi strumenti per moltiplicare la loro capacità progettuale. Il sistema finanziario deve imparare a riconoscere la progettualità che sarà feconda.
Occorre abbandonare i miti della competitività e della produttività. La competitività è una strategia intrinsecamente perdente. Infatti ogni battaglia competitiva finisce inesorabilmente in una competizione di prezzo dalla quale non si salva nessuno. La produttività è un ossimoro: che senso ha produrre sempre meglio cose che interessano sempre meno?
Da ultimo: occorre costruire la vera risorsa di fondo. Intendo riferirmi ad una nuova visione del mondo che sostituisca quella che sta alla base della società industriale, (non importa se nella sua versione capitalista o comunista): la visione delle sensate esperienze e certe dimostrazioni di Galileo. Esistono i “prodromi” di questa nuova visione del mondo e sono nati nell'ambito delle stesse scienze dalle quali è nata la visione galileiana del mondo. Sono tutti quei modelli e quelle metafore che vengono raccolte sotto il “cappello” della complessità.
alcuni consigli per la crisi..che non esioste
RispondiElimina1) Non guardare alla crisi come ad una crisi ciclica
2) Non salvare i settori decotti e indebitati (banche,assicurazioni,auto, immobiliare) per salvare il futuro delle sole elites responsabili del disastro
3) Rifiutare la alternativa tra finanziare il consumo ( che è solo surrogato di una politica dei redditi e dei poteri) e finanziare l'investimento che è gestito dai responsabili del punto 2
4) Riduzione dell'indebitamento, e nazionalizzzazione poco costosa della Banche e poi : puntare Puntare su educazione innovazione, sulla piccola e media impresa creativa, sulle energie alternative in particolare solare e nucleare.