di
Francesco Zanotti
Stamattina sulla Domenica
del Sole 24 Ore appare una lettera a firma di alcuni Membri dell’European
Molecular Biology Organization e indirizzata al Premier Renzi sullo Human
Technopole.
Questi eminenti scienziati
sostengono che “Alcuni aspetti dell’iniziativa come annunciata non paiono
rispondere adeguatamente ai principi di competitività
e meritocrazia che regolano l’accesso
e la distribuzione delle risorse per la ricerca scientifica in tutti i Paese
avanzati.”.
Ora, innanzitutto io credo
non abbia alcun senso parlare di competitività relativamente alla ricerca.
Innanzitutto non capisco come si voglia intendere con la parola “competitività”.
Essa (nel modo in cui viene usata oggi) si rifà ad una specifica
tradizione culturale all’interno della strategia d’impresa. Tradizione
culturale per altro superata. Essa intende la competitività come misura della
forza di una impresa rispetto ai concorrenti. Si riferisce a giochi
rigorosamente a somma zero. Si tratta di una tradizione superata anche all’interno
della strategia d’impresa dove sta prevalendo il concetto di progettualità sociale.
Fuori dalla strategia d’impresa
di parla di competitività tra Sistemi Paese, ma, come rivela, Giorgia
Giovannetti su http://www.treccani.it/enciclopedia/competitivita_(Enciclopedia-Italiana)/,
P. Krugman sostiene che la competitività "è un'espressione senza alcun
significato quando fa riferimento alle economie nazionali", ciò perché
"quando diversi sistemi economici interagiscono tra di loro non competono
in modo antagonista (come le imprese) ma gareggiano all'interno di un gioco che
non ha somma zero in quanto tutti ne traggono un reciproco beneficio.
A maggior ragione nella
ricerca serve la cooperazione. Forse i nostri intendono che a questo gioco di
cooperazione possono partecipare solo i “migliori” perché parlano di meritocrazia.
Ma così dicendo peggiorano ancora la situazione. Non ha alcun senso scientifico
parlare di merito in assoluto. Un giudizio di merito ha senso solo all’interno
di una comunità (di un sistema autopoietico). E, infatti gli autori indicano
una comunità dei pari a cui affidare il giudizio sull’attribuzione dei fondi. Ma
ogni comunità dei pari sociologicamente è sempre e solo una comunità di amici.
E all’interno della comunità degli amici non può che prevalere il valore della
conservazione.
Ma ci sono almeno altre due
osservazioni sulle quali invito a riflettere.
La prima è che la logica dei
“Peer” porta al dramma della specializzazione. Un Signore di nome Henry Markram
che ha ottenuto un miliardo di dollari per finanziare le sue ricerche (quindi è
molto competitivo. I nostri amici firmatari dovrebbero ascoltarlo, magari con
invidia) sostiene che le neuroscienze si sono spezzettate un tanti “comunità di
amici” (sistemi autopoietici in accoppiamento strutturale tra di loro) che
fanno scoperte di dettagli, ma non danno alcun contributo ad una conoscenza
integrata del cervello
La seconda nasce dalla riflessione
sulle celebrazioni, l’anno scorso, del centenario della Relatività Speciale.
Essa è stata “scoperta” da un Signore che nessuna comunità dei pari avrebbe
selezionato per finanzianti. Un Signore che faceva il tecnico di seconda classe
all’Ufficio brevetti di Berna e che si chiamava Albert Einstein ...
Da ultimo, posso suggerire
di leggere “Reinventing Discovery: the New Era of Networked Science” di Michael
Nielsen tradotto anche in italiano da Giulio Einaudi Editore?
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