di
Francesco Zanotti
Presidente ApEC
E che tristezza
non essere ascoltati.
Visti gli attuali
segnali sull’andamento del PIL comunicati dall’ISTAT, mi permetto di riproporre
un post di ben otto anni fa dove si diceva esplicitamente che l’attuale
economia non poteva riprendersi. E in questi successivi anni non si è ripresa:
solo qualche contingente rimbalzo. Dove si diceva anche che era necessario
progettarne un’altra. E si indicava come provarci.
Ecco il testo,
riproposto integralmente… e un invito alla classe dirigente: perché non prova a
dare una occhiata al libro che abbiamo costruito e che proponiamo nello spazio
accanto a questo post? Contiene la traduzione (fatta da Lorenzo e Luciano
Martinoli) di un libro che illustra il pensiero di un sociologo tedesco:
Nicklas Luhmann. Il suo pensiero viene snobbato perché troppo difficile, ma
descrive cosa sta accadendo .. in modo inevitabilmente non semplice, in un mondo
complesso. In quel libro vi è una mia appendice che cerca di “utilizzare" il
pensiero di Luhmann per poter agire dopo aver capito.
“Leggo sul Sole
24 Ore di oggi (2 dicembre 2008), a firma Carlo Basastin, un pregevole articolo
dal titolo La fiducia e il costo delle riforme.
Mi ha colpito
molto una affermazione, quasi una certezza, che a me sembra proprio sbagliata. E
se è sbagliata rende problematiche tutte le osservazioni (non mi sembra vi
siano proposte) e le esortazioni al Governo presenti nell’articolo. Come quando
togliete una pietra angolare …
L’affermazione
è “Anche gli scenari peggiori contano in una ripresa globale nell’arco di
6-16 mesi.”.
Beh una prima
cosa da dire è che previsioni di questo tipo lasciano perplessi. Hanno una
variabilità così rilevante (16 mesi sono quasi tre volte 6 mesi) che è come se,
quando andate a comprare le scarpe, dite al commesso che avete un numero tra il
32 e circa il 90. Francamente: di una previsione di questo tipo non ce ne
facciamo quasi nulla.
Ma la domanda più
importante è un’altra.
Si prevede, sia
pure con una incertezza quasi esiziale, la ripresa dell’economia, ma: di quale
economia?
Se la risposta è:
di questa economia, allora è una risposta completamente errata.
La ripresa di
questa economia non vi sarà. Le ragioni sono sostanzialmente due … Più tante
altre …
La prima delle due è che il sistema di output (i prodotti che
stanno sugli scaffali) di questa economia interessano sempre meno. Quindi
dovremo attenderci un calo del Pil generato da questa economia. Non vi sarà
ripresa di questi consumi.
La seconda delle due è che, anche se tutto il mondo volesse
alla follia i prodotti generati dall’attuale sistema produttivo, non vi
sarebbero le risorse (materie prime, energia etc.) per farli. E non vi
sarebbero le risorse e l’energia per costruire il sistema di infrastrutture
necessario a far viaggiare materie prime e prodotti.
E poi vi sono le altre ragioni. Citando in ordine sparso …
Le strategie di sviluppo sono sostanzialmente competitività e
produttività. Ma esse portano a ridurre gli occupati nelle imprese. Si
immagina, forse, che essi saranno assorbiti da altre imprese che, poi, dovranno
espellerli per essere più produttive e più competitive? E se si riducono gli
occupati, questi licenziati, quando diventano consumatori, dove prendono i
soldi per consumare?
Forse si gioca sulla innovazione tecnologica? Ma abbiamo
valutato quanta occupazione potranno generare tutte le start-up su nano e
biotecnologie possiamo immaginare? E che tipo di occupazione? O pensiamo che le
innovazione tecnologiche sapranno rilanciare l’interesse per i prodotti
attuali, aumentandone il contenuto tecnologico?
Allora che fare se questa economia non può riprendere?
Banale: progettarne un’altra all’interno di una nuova società.
Più precisamente … Non dobbiamo cercare di fare funzionare
meglio le imprese esistenti. Dobbiamo progettare un nuovo sistema di imprese
che costruisca un nuovo sistema di consumi. Dobbiamo progettare un nuovo
sistema di servizi e di infrastrutture. Nuove istituzioni ed un nuovo modo di
fare politica.
Per riuscirci? Certo non riesco a costruire una proposta
complessiva, ma alcuni semplici balbettii, sì! Sarà poi la riflessione comune
che trasformerà i balbettii in proposta.
Primo balbettio: dobbiamo abbandonare le parole mito. La
prima è: competitività. Essa ha oramai perso il suo significato originario di
“produrre maggior qualità a prezzo più basso dei concorrenti”. E’ diventata una
parola-valigia che oramai sta ad indicare tutto il buono ed il bello. Tutti
sono d’accordo che la competitività è un valore, ma è un valore così generico
che ognuno poi propone di raggiungerla in modo diverso. Soprattutto tutti sono
d’accordo sul fatto che non va bene il modo proposto dall’avversario politico o
aziendale che sia.
Secondo balbettio: dobbiamo aumentare la capacità di
consapevolezza e progettualità di imprese e banche.
Intendo dire che le imprese e le banche devono sapere quando
i prodotti di una impresa hanno perso di senso, cosicché la competitività è
strutturalmente impossibile. Ed è necessario riprogettare l’impresa, ma con una
sapienza progettuale molto più intensa dell’attuale, mortificata dai confini
angusti della competitività.
Terzo balbettio: dobbiamo superare le tentazione di
semplificare il politico ed il sociale. Ma imparare a considerare un valore e a
gestire il continuo loro (del politico e del sociale) aumento di complessità,
cioè di ricchezza della società.
Quarto balbettio: ripensiamo alle previsioni. La prima cosa
che dobbiamo è smetterla di prevedere. Il futuro non è costruito da qualche dio
minore o maggiore. E’ frutto dei nostri comportamenti. Se viviamo una crisi che
diventa sempre più grave è perché ce la siamo costruita noi e ci crogioliamo
dentro. Se continuiamo ad aspettare che la crisi passi e continuiamo nei
comportamenti precedenti, allora la crisi peggiorerà. Come quando ci si tira la
zappa sui piedi. Per non sentire male si può solo smettere di zappettare i
piedi. Se si continua, magari proponendosi di farlo competitivamente, non si
può attendere che in tutti i prossimi sedici mesi ci si farà sempre male.
Balbettio finale: ma come fare a balbettare in questo modo?
Mollando la zappa. Se si tiene in mano la zappa si menano
colpi … Voglio dire che oggi stiamo usando per guardare il mondo e viverci la
cultura che ha fondato la società industriale: il pensiero vetero-scientifico
di Galileo. Vogliamo costruire una nuova economia ed una nuova società?
Dobbiamo cambiare la nostra visione del mondo di riferimento. Dobbiamo mollare
la zappa.
E cosa prendiamo? Esiste una interamente nuova cassetta di
strumenti (cultura, linguaggi) che viene etichettata come “complessità”. Vi
sono strumenti per aumentare la consapevolezza e la progettualità di banche ed
imprese. Vi sono strumenti per gestire la complessità politico sociale. Si
tratta di una nuova cultura che ci spinge non a prevedere ed a costruire.”
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