Qualche settimana fa, il Prof. Tullio De Mauro scriveva su Internazionale (797 del 28 Maggio 2009, sezione Cultura) un interessante spunto sulla mancanza della Cultura generale nelle scuole.
A partire dalla sua definizione, "la cultura generale è quella che, partendo dagli scritti, dalle arti, dal pensiero, aiuta a orientarsi nella vita e ad affrontare i propri problemi", punta subito il dito alla causa del problema: la compartimentazione e la chiusura delle conoscenze.
A tal proposito cita le posizioni di Edgar Morin, teorico del pensiero "complesso", di cui riporta l'accusa di "cretinismo" alla cultura delle discipline e delle specializzazioni, e lancia un grido di allarme: come facciamo a rigenerare la cultura generale se siamo digiuni di discipline, saperi, scienze e tecniche precise?
Mi permetto di trasporre questo punto di vista in un ambito più ampio: l'intera società contemporanea. Tutti i suoi attori, dalle singole persone fisiche nei loro vari ruoli (manager, politici, dirigenti, madri e padri di famiglia, ecc.) alle organizzazioni di cui fanno parte (aziende, famiglie, enti pubblici, governi, ecc.) soffrono dello stesso problema, ovvero la mancanza di cultura generale, intesa come supremo strumento per orientarsi nella vita di oggi.
Ce ne accorgiamo dalla crisi, che, oramai, ha carattere pervasivo e strutturale, e che, anche se si è manifestata sul campo economico, attanaglia il sistema dei valori, i sistemi di governo delle aziende e delle nazioni: insomma, tutto l'assetto di convivenza civile che abbiamo conosciuto finora.
Allora anche noi tutti abbiamo bisogno di rigenerare questa "Cultura Generale", ma, come dice De Mauro per la scuola, "...se siamo digiuni di discipline, saperi, scienze, tecniche precise, che rigeneriamo?"
Ecco allora che appare più chiaro lo scopo che vogliamo perseguire da queste pagine web e dai mini e maxi (Expo della conoscenza) eventi che stiamo organizzando: promuovere attività comprensibili a tutti, perché, se rimangono elitarie, non servono a creare cultura generale, proprio per fornire strumenti di "rigenerazione". E lo vogliamo fare attingendo a quelle scienze e saperi, nelle quali l'intelletto umano si è già cimentato, distillando strumenti concettuali potenti e innovativi, per affrontare e risolvere le sfide delle varie discipline, che, poi, altro non sono che una istanza del reale quotidiano, nel quale siamo immersi tutti. Solo da essi possono discendere quelle "tecniche precise", alle quali fa cenno il Professore De Mauro, che ci permetteranno la rigenerazione auspicata.
Dunque, necessità di strumenti per generare nuovi Rinascimenti, non ricette preconfezionate da pochi: ecco di cosa abbiamo bisogno oggi.
Nella scuola come nella società contemporanea.
A partire dalla sua definizione, "la cultura generale è quella che, partendo dagli scritti, dalle arti, dal pensiero, aiuta a orientarsi nella vita e ad affrontare i propri problemi", punta subito il dito alla causa del problema: la compartimentazione e la chiusura delle conoscenze.
A tal proposito cita le posizioni di Edgar Morin, teorico del pensiero "complesso", di cui riporta l'accusa di "cretinismo" alla cultura delle discipline e delle specializzazioni, e lancia un grido di allarme: come facciamo a rigenerare la cultura generale se siamo digiuni di discipline, saperi, scienze e tecniche precise?
Mi permetto di trasporre questo punto di vista in un ambito più ampio: l'intera società contemporanea. Tutti i suoi attori, dalle singole persone fisiche nei loro vari ruoli (manager, politici, dirigenti, madri e padri di famiglia, ecc.) alle organizzazioni di cui fanno parte (aziende, famiglie, enti pubblici, governi, ecc.) soffrono dello stesso problema, ovvero la mancanza di cultura generale, intesa come supremo strumento per orientarsi nella vita di oggi.
Ce ne accorgiamo dalla crisi, che, oramai, ha carattere pervasivo e strutturale, e che, anche se si è manifestata sul campo economico, attanaglia il sistema dei valori, i sistemi di governo delle aziende e delle nazioni: insomma, tutto l'assetto di convivenza civile che abbiamo conosciuto finora.
Allora anche noi tutti abbiamo bisogno di rigenerare questa "Cultura Generale", ma, come dice De Mauro per la scuola, "...se siamo digiuni di discipline, saperi, scienze, tecniche precise, che rigeneriamo?"
Ecco allora che appare più chiaro lo scopo che vogliamo perseguire da queste pagine web e dai mini e maxi (Expo della conoscenza) eventi che stiamo organizzando: promuovere attività comprensibili a tutti, perché, se rimangono elitarie, non servono a creare cultura generale, proprio per fornire strumenti di "rigenerazione". E lo vogliamo fare attingendo a quelle scienze e saperi, nelle quali l'intelletto umano si è già cimentato, distillando strumenti concettuali potenti e innovativi, per affrontare e risolvere le sfide delle varie discipline, che, poi, altro non sono che una istanza del reale quotidiano, nel quale siamo immersi tutti. Solo da essi possono discendere quelle "tecniche precise", alle quali fa cenno il Professore De Mauro, che ci permetteranno la rigenerazione auspicata.
Dunque, necessità di strumenti per generare nuovi Rinascimenti, non ricette preconfezionate da pochi: ecco di cosa abbiamo bisogno oggi.
Nella scuola come nella società contemporanea.
Pareto, nel Manuale di economia, cerca di giustificare la sua scelta a favore dell’Homo aeconomicus: l’uomo concreto comprende l’uomo economico, l’uomo etico, l’uomo sociale, l’uomo religioso, e chi più uomini ha ne metta. Ora, considerare questi differenti uomini non equivale che a considerare le differenti proprietà che questi uomini hanno, che sono etiche, religiose, economiche e sociale. E come al solito, chi più proprietà ha ne metta. Tanto per andare in campo di logica formale, chi studia A diverso da B e diverso da C e diverso da D, non equivale a dire che A + B + C + D = UOMO nel suo complesso non sia vero, ma solo che le cose vanno studiate analiticamente in modo separato. Poi, quando dall’astratto si torna al concreto, vanno considerate sinteticamente come insieme; ovvero, se dobbiamo, ad esempio, prevedere cosa accadrà quando un dato corpo viene in contatto con un altro, ci servono conoscenze di meccanica, di fisica e così via. O se dobbiamo prevedere cosa succederà quando parliamo con un’altra persona, dobbiamo mettere assieme le conoscenze sul linguaggio, sull’udito, sulla vista, sulla metabolizzazione dei concetti, sulla comunicazione non – verbale.
RispondiEliminaBene, vediamo di lavorarci un po’. La cosa è interessante.
Innanzi tutto, da un punto di vista formale, Pareto fa due cose che non potrebbe fare, cioè due astrazioni: la prima è che stacca A dall’Insieme Uomo, e la seconda che tratta A come se fosse dotata di vita autonoma. Nel concreto, estrae (o astrae) l’Homo aeconomicus dall’uomo concreto e poi fa finta che esista un uomo concreto solo aeconomicus. Poi, per la sua teoria dei pezzi, mettendolo assieme agli altri Homo estratti (o astratti) ecco che riviene fuori l’uomo concreto.
Quello che esprime Pareto in queste poche pagine del suo Manuale è la tendenza che abbiamo oggigiorno. Quella a parcellizzare, separare, curare per parti e cose del genere.
In realtà il punto è questo, che non esiste il pezzo, esiste il tutto.
Non esiste la malattia, esiste il malato, tanto per capirci.
E come il malato è sempre un insieme di tante cose che stanno assieme, e che non sono riconducibili alle singole cose prese separatamente, allo stesso modo l’essere umano non è una cosa che può essere presa a pezzi estratti, ma va trattato come un tutto. La malattia è sempre individuale: è la mia malattia; allo stesso modo: Io sono Marco.
Vedo di chiarire.
Ricordo di aver letto una volta di una storiella orientale, che parlava di un saggio che disse ad un uomo di pesare tutti i pezzi del mondo separatamente: gli alberi, le case, le persone, la terra, i mari, i fiumi, gli animali e le piante, le navi, la sabbia e persino le nuvole, l’aria e il cielo. Tutto. Ne venne fuori una somma. Dopo di che chiese di pesare tutto il mondo assieme. La somma che ne venne fuori era più grande.
Io credo che Morin aveva in mente qualcosa del genere, quando scriveva che è meglio una testa che abbia una capacità di trattare ed accogliere i problemi piuttosto che una testa piena di sapere. E credo che anche Daniel Golemann parlasse di questo, nei suoi studi sul perché diamine i bambini che erano bravi a scuola finiscono per essere degli sfigati nella società. La risposta, semplice, è che uno studente modello è solo un individuo abile nella prestazione scolastiche, ma tante volte manca la “meta-abilità” che determina quanto bene ci possiamo servire delle nostre capacità. E rimane fossilizzato solo su quello.
La cosa non finisce qui.
Quello che potremmo chiamare attitudine generale o tendenza al pensiero complesso va curata, condotta, accarezzata, coccolata, sviluppata. Di fronte ad un contenuto liquido, serve ancora di più una forma solida. Questa sorta di conoscenza di “forma” che mi permette di essere Io perché Io, e soprattutto di divenire, di adattarmi, di sviluppare, proprio perché è la forza che manipola il contenuto. Proprio di fronte ad una società in evoluzione, serve.
Che poi, detto tra noi, nemmeno la società è una semplice somma.