di
Francesco Zanotti
Se ci foste entrati
provereste le stessa tristezza che provo io …
Ovviamente non è la
stessa cosa: ne è una caricatura orribile. Intendo: i campi di mais finti
davanti al Castello Sforzesco.
Pensate. Quando entravamo
in un campo di mais, beh aveva un nome: era di Giovanni. Lo stesso Giovanni che
incontravamo al bar, che vedevamo tutte le mattine pedalare verso i suoi campi.
Quelle piante e quelle pannocchie erano sue. Il rispettarle era comandato dall’amicizia.
Poi i piedi
camminavano sulla stessa terra che dava vita alle piante. Era un dialogo nella
natura con le piante. Nessuno girovagava per un campo di mais in bicicletta …
Ci entravi e l’avevi
visto crescere quel campo. Sapevi che era stato terra ... Sapevi che, poi,
tutte le pinte sarebbero state tagliate per far tornare il campo terra. E sapevi
che Giovanni ci manteneva la famiglia: temevi con lui la grandine.
Poi c’erano gli
spigolatori: coloro che passavano dopo la raccolta per prendere quello che Giovanni
aveva lasciato a disposizione di tutti: quasi un obolo alla Comunità.
E c’erano anche i malandrini,
ma malandrini piccoli piccoli. Quelli che entravano nel campo prima della raccolta
di Giovanni. Malandrini ai quali la tradizione popolare aveva dato un epiteto
che era un’opera d’arte. Per spigolare occorre stare chini, per raccogliere le
pannocchie lasciate. Chi raccoglieva indebitamente, lo poteva fare, però,
stando in piedi perché le piante di granoturco sono alte. Ed allora venivano
chiamati “spiguladu’ d’impè”. Degli “spigolatori” che possono tranquillamente
spigolate stando in piedi. Ironia impagabile.
Ecco, chi viaggia in
bicicletta tra cassette di legno da cui spuntano piante di granoturco in un’area
metropolitana nulla percepisce di quel mondo. E le piante di granoturco fuori
da quel mondo, sono solo tristi macchine da cibo.